Fabio Colagrande – Città del Vaticano
Con l’apertura degli archivi vaticani relativi al Pontificato di Papa Pio XII, avvenuta nel marzo del 2020, gli studiosi di tutto il mondo hanno potuto accedere a una serie archivistica eccezionale conservata nell’Archivio Storico della Segreteria di Stato che riguarda la Sezione per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni Internazionali. Si tratta della serie denominata con la dicitura “Ebrei” che raccoglie le richieste di aiuto inviate a Papa Pacelli da ebrei, battezzati e non, dopo l’inizio delle persecuzioni nazi-fasciste.
Per volontà di Papa Francesco, dal 23 giugno scorso, quel patrimonio prezioso di documenti, che comprende 170 volumi, è in gran parte consultabile su internet in versione digitale, liberamente accessibile a tutti. Oltre alla fotoriproduzione di ogni singolo documento, l’archivio ha reso disponibile un file con l’inventario analitico della serie, in cui sono stati trascritti i nominativi dei destinatari d’aiuto rilevati nei documenti. Finora è disponibile on-line il 70% del materiale complessivo, che sarà in seguito integrato con gli ultimi volumi.
La decisione del Papa, oltre a dare ulteriore impulso alle ricerche storiografiche, permetterà ai familiari dei perseguitati di ricostruire più facilmente le vicende dei loro congiunti che chiesero aiuto alla Santa Sede durante il Secondo conflitto mondiale. Lo ha spiegato, in questa intervista alla Radio Vaticana, il dottor Johan Ickx, responsabile dell’Archivio storico della Sezione per i rapporti con gli Stati, presso la Segreteria di Stato.
Dott. Ickx, che cos’è la serie “Ebrei”?
La serie “Ebrei” è una serie un po’ particolare, speciale – come ha ricordato l’arcivescovo Paul Richard Gallagher – perché normalmente le serie, nel nostro archivio storico della Segreteria di Stato, sono distinte dal nome di un Paese, di uno Stato, con cui la Santa Sede aveva normali rapporti bilaterali in un determinato periodo storico. Sotto il pontificato di Papa Pacelli, però, all’incirca nel 1938, all’improvviso nasce una serie archivistica con questa denominazione – “Ebrei” – come se, per la Santa Sede, si trattasse di una Nazione specifica. La serie resta aperta per sette, otto anni, fino al ’46 e poi, con la fine della Seconda Guerra Mondiale, viene chiusa.
Cosa significa che questa serie è ora online?
Ha un grande significato. Non è la prima volta che Papa Francesco decide un’apertura di questo tipo. Già in passato aveva voluto aprire in anticipo gli archivi vaticani relativi agli anni della dittatura in Argentina, per aiutare le famiglie delle vittime a risalire a quelle verità che gli archivi vaticani avrebbero potuto nascondere. In questo senso il Vaticano, negli anni ’70, durante il pontificato di Paolo VI, aveva già fatto un passo in questo senso, con la pubblicazione degli Actes et documents du Saint-Siège relatifs à la période de la Seconde Guerre Mondiale che contenevamo molto del materiale archivistico di questo periodo. Ma è sorprendente che di questa serie Ebrei non ci fosse alcuna traccia.
Quindi ora un qualsiasi navigatore su internet può accedere a questa serie?
Esatto. Qualsiasi individuo nel mondo può collegarsi al nostro sito e andare a vedere, in formato pdf, tutte le richieste di aiuto rivolte alla Santa Sede dai perseguitati e poi i dossier che ne derivano, riguardanti i singoli individui, le famiglie, o i gruppi che hanno chiesto aiuto a Papa Pio XII.
Una serie però già consultabile presso il vostro archivio dal 2 marzo 2020…
Esatto. Ma non è difficile capire il valore aggiunto della scelta del Pontefice. Mettendo on-line questo materiale Papa Francesco ha pensato sicuramente anche alle famiglie, ai discendenti delle persone perseguitate e ha voluto facilitarli nella raccolta di qualche elemento di verità sulle loro vicende.
Quali frutti si attende dalla pubblicazione on-line di questo materiale?
Prima di tutto, penso che sarà possibile in tutto il mondo, a distanza, cominciare degli studi a livello locale. Nella serie Ebrei ci sono infatti casi di richieste d’aiuto che provengono da tutte le parti d’Europa. Quindi sarà interessante vedere come lavoreranno su questi documenti le università, le associazioni che si occupano di questo tipo di ricerche, ma anche i Musei della Shoah in tutte le città europee. Questi centri di documentazione possono adesso attingere più facilmente e in tempo reale a questo materiale.
Nel suo libro “Pio XII e gli ebrei”, del 2021, lei aveva citato alcuni dei documenti della serie Ebrei. Cosa dimostrano queste testimonianze, secondo lei?
Prima di tutto, dimostrano la grande volontà della Santa Sede di aiutare i perseguitati dal nazi-fascismo. Ma poi anche la sua incapacità spesso di farlo, perché molte volte la Santa Sede fu ostacolata. I nazisti erano all’epoca presenti in mezz’Europa e impedivano qualsiasi iniziativa di aiuto. Ma anche il regime fascista, in Italia, attuava la persecuzione ostacolando quindi spesso le azioni di salvataggio vaticane. Molte volte anche i governi nazionali non collaboravano. La storia si ripete: anche oggi, quando si parla di rifugiati e perseguitati, per mettere in atto le azioni umanitarie di soccorso ci vuole tanta buona volontà di tante persone e soprattutto dei governi. Quando questi non danno questo appoggio diventa molto difficile lavorare su territorio.
Da questi documenti della Serie Ebrei si deduce che in quegli anni, tra gli ebrei perseguitati, fosse diffusa l’idea che rivolgersi al Papa fosse una via di salvezza?
Sì. È un’idea che viene ripetuta spesso nelle lettere. Anche nella lettera citata dall’arcivescovo Gallagher, presentando la serie, Werner Barasch, un giovane tedesco di origini ebraiche, detenuto in un campo di concentramento in Spagna, afferma che altri nel campo gli hanno indicato la via del Papa, come possibilità per trovare uno spiraglio di salvezza. Ma anche in altre lettere, citate nel mio libro, troviamo le stesse affermazioni. Anche Mario Finzi, allora a capo della DELASEM (Delegazione assistenza emigranti ebrei), a Bologna, lo scrive a Papa Pio XII, riferendosi a una specifica richiesta di aiuto di una famiglia: “Lei è l’ultimo che può fare qualcosa per questa famiglia”. Oggi sappiamo che parte di quella famiglia, i cui membri come spesso accadeva erano sparsi sul territorio, è stata salvata.
Sappiamo dunque da questi documenti che le richieste di aiuto che arrivavano a Pio XII e al suo ufficio erano davvero numerose. Ma per verificare se l’aiuto vaticano ci fu e quale esito ebbe, occorre spesso effettuare altre ricerche…
Certo. Oggi, proprio con questo allargamento dell’accesso agli archivi, sarà possibile per chi è veramente interessato, ripercorrere le vicende delle singole persone o delle famiglie che furono sistemate in determinate diocesi, anche al di fuori dell’Italia e capire da dove provenivano, chi erano. Penso anche al Brasile, l’Ecuador, la Repubblica Dominicana, l’Argentina: tutti paesi dove, durante la Seconda guerra mondiale, arrivarono dall’Europa dei perseguitati che forse oggi possono ricevere un’identità.
Sono più di due anni che gli archivi vaticani relativi al Pontificato di Pacelli sono stati aperti agli studiosi. Con quali esiti finora?
Ci sono state già alcune pubblicazioni. Arrivano i primi risultati storiografici e sono di varia natura. Non riguardano, naturalmente, solo le vicende della persecuzione degli ebrei. Ma anche quelle del regime nazista e fascista e della loro relazione con gli stati europei e non solo. I primi risultati sono incoraggianti, perché evidenziano in modo sempre più chiaro l’impegno della Santa Sede per la ricerca della pace e della giustizia dei popoli.
Si inizia a capire molto di più anche sul reale atteggiamento di Papa Pio XII rispetto al nazismo, un tema da tempo materia di dibattito…
C’è un cambiamento in atto, ma è un po’ presto, per dire l’ultima parola su questo aspetto. Forse non sarà mai possibile, ma io penso che fra due o tre anni avremo veramente dei cambiamenti storiografici a proposito di questo tema.