Seconda giornata del convegno sulla dimensione comunitaria della santità, organizzato dal 13 al 16 novembre dal Dicastero delle Cause dei Santi all’Istituto Patristico Augustinianum di Roma. Due le relazioni nella mattinata che hanno messo a fuoco il tema del camminare insieme verso Dio nella Chiesa dal punto di vista spirituale e filosofico: la prima tenuta da fra Luciano Manicardi, monaco di Bose, e la seconda dal filosofo e saggista Massimo Borghesi
Adriana Masotti – Città del Vaticano
La riflessione di fra Luciano Manicardi, monaco di Bose, ha aperto la sessione mattutina del convegno di studi “Dimensione comunitaria della santità” promosso dal Dicastero delle Cause dei Santi all’Istituto Patristico Augustinianum di Roma. “La mistica di vivere insieme” – questo è il titolo dell’intervento – Manicardi la riferisce nel contesto di una concreta comunità ecclesiale, quella comunità di cui Gesù ha detto: “Voi siete tutti fratelli”, espressione alla base della chiamata della Chiesa ad annunciare il Vangelo. Gesù, prosegue il monaco di Bose, dice anche dei cristiani: “Voi siete il sale della terra, la luce del mondo” e lo sì è nella misura in cui si vive lo spirito delle Beatitudini. “La testimonianza per il mondo della santità della comunità ecclesiale, espressa nel testo evangelico con le immagini del sale e della luce – commenta fra Manicardi – risiede tutta nella fraternità vissuta al suo interno”. La testimonianza al mondo dipende dalla relazioni all’interno della Chiesa. “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli…”
La potenza della testimonianza di una comunità
I cristiani sono chiamati a formare un solo corpo e la testimonianza di questa realtà è potente, supera le capacità dei singoli, prosegue Manicardi, si esprime nel servizio reciproco e diventa nei momenti di grazia “luogo di passaggio dello Spirito”, ma è anche una realtà fragile. Le comunità infatti sperimentano squilibri, disfunzionamenti, divisioni, doppiezze, ipocrisie, protagonismi, Gesù ne aveva messo in conto il fallimento: “se il sale perdesse il sapore…” La santità comunitaria è un evento sempre in divenire, per questo secondo fra Manicardi “la mistica del vivere insieme nella comunità cristiana richiede l’assunzione delle virtù teologali: credere l’incredibile, sperare l’insperabile, amare il non amabile, cioè il nemico”. Essenziale, osserva il relatore, è agire nell’oggi avendo presente la meta da raggiungere. “E la meta coincide con il cammino”. La fraternità è un evento dinamico che deve ricrearsi ogni giorno e dice: “Ho vissuto 40 anni in una comunità monastica e ho sperimentato che occorre riscegliere ogni giorno il lavoro di diventare fratello dell’altro”.
L’umanità di Gesù rivela il volto di Dio
Come in ogni tempo, anche nel nostro emerge una particolare comprensione e quindi un’immagine di Dio. Oggi, sostiene il monaco di Bose, è il momento di sottolineare Gesù nella sua piena umanità e il Vangelo come “scuola di umanizzazione”. Una visione che non è minimalista, spiega, ma apre alla conversione di tutti gli aspetti dell’essere umano “il suo parlare e agire, il suo rapportarsi al mondo, agli altri e alla natura, il suo guardare e ascoltare, il suo amare e il suo pensare. Insomma, il suo modo di declinare l’umano che è il luogo dell’immagine e somiglianza con Dio”. Come parlava, come amava, come agiva Gesù? Dietro alle Beatitudini c’è il suo vissuto: l’umanità di Gesù è il modello delle relazioni umane, del vivere insieme.
La mistica del vivere insieme come trasformazione dell’umano
L’ultima parte della riflessione del monaco di Bose evidenzia le tante ragioni per cui l’uomo da sempre cerca la comunità per concludere, citando l’
Il convegno in corso all’Augustinianum a Roma
La santità nel magistero di Papa Francesco
Che cosa pensa Papa Francesco della santità, qual è il santo a lui più vicino, da dove nascono l’espressione “santi della porta accanto” tante volte pronunciata e il concetto di “popolo fedele infallibile nel credere” così centrali nel suo pontificato? Il professor Massimo Borghesi, docente all’Università di Perugia, inizia la sua relazione su “La santità costruttrice di comunione alla luce del Magistero di Papa Francesco” osservando che può forse sorprendere che la scelta del Papa di assumere, primo nella storia, il nome di Francesco non indica una sua preferenza maturata nel tempo con il Poverello di Assisi benchè siano innegabili “analogie sensibili” tra le due figure. La spiritualità di Papa Bergoglio, dice Borghesi, è rimasta quella di Sant’Ignazio di Lojola – la cui visione valorizza “le cose piccole all’interno di grandi orizzonti” – ed è un gesuita il santo che sente più vicino. Si tratta di Pierre Favre, canonizzato da Papa Francesco il 13 dicembre 2013, era uno degli amici più cari ad Ignazio ed espressione viva del suo aspetto mistico, opposto ad un cristianesimo ascetico, duro, ed esempio perfetto, afferma Borghesi, dell’unione tra “contemplazione e azione” i due poli indissolubili della fede cristiana.
La “classe media della santità”
“L’ideale di Favre è il ‘ritorno alla vita della Chiesa primitiva’ – scrive Michel de Certeau in un libro a lui dedicato che Borghesi cita più volte nella sua relazione -. È la risposta alla crisi morale e religiosa della Chiesa del tempo, profondamente mondanizzata, un progetto che ricorda da vicino quello del giovane Provinciale Bergoglio nella Chiesa argentina degli anni ’70”. Borghesi prosegue osservando che tuttavia, nell’esortazione apostolica sulla santità nel mondo contemporaneo, Gaudete et exsultate, del 2018, Papa Francesco non cita Favre, ma pone tutta l’attenzione su una dimensione della santità piuttosto trascurata: “quella della santità che caratterizza i semplici battezzati, i membri del popolo cristiano che vivono e traducono la loro fede nelle opere di tutti i giorni. Sono ‘i santi della porta accanto'”, quelli che vivono vicino a noi, la “classe media della santità”.
La santità del popolo credente
Borghesi cita un brano di Francesco a proposito di questo concetto di santità: “Accanto, o meglio, in mezzo a questa moltitudine di credenti, che ho definito ‘santi della porta accanto’, vi sono coloro che la Chiesa indica come modelli, intercessori e maestri. Si tratta dei Santi beatificati e canonizzati”. Borghesi afferma: “la santità ordinaria non esclude quella straordinaria”, e “non è solo quella ordinaria che si nutre di quella stroardinaria (…), è vero anche l’inverso: la santità canonica è resa possibile dalla sua immersione nella santità del popolo cristiano.” I santi canonici sono diventati tali, dunque, “grazie al legame affettivo che li ha uniti ad una compagnia di amici senza i quali la loro testimonianza non sarebbe stata possibile”. Diventano così simboli del popolo credente, il Pueblo fiel, simboli di “una fede comunitaria vissuta”.
I santi della vita quotidiana
Borghesi cita ancora le parole di Francesco: “La santità germoglia dalla vita concreta delle comunità cristiane. I Santi non provengono da un ‘mondo parallelo’; sono credenti che appartengono al popolo fedele di Dio e sono inseriti nella quotidianità fatta di famiglia, studio, lavoro, vita sociale, economica e politica”. E una caratteristica imprescindibile della santità è la gioia e il cuore aperto alla speranza. “Il malumore non è segno di santità”, scrive Papa Francesco. Borghesi sottolinea quindi un’altra caratteristica comune a tanti grandi santi: l’unione tra contemplazione ed azione al cui centro è Cristo. E concludendo cita ancora Francesco che ha affermato: “Non possiamo capire la santità senza capire questo scandalo: che Dio si è fatto Cristo, cioè uomo come noi”.