L’osservatore permanente presso FAO, IFAD E PAM all’università Lumsa per un seminario che vuole potenziare il coinvolgimento dell’associazionismo dal basso nell’azione dei governi: “Solo se le relazioni interpersonali sono animate dalla fraternità, potremo sperare in relazioni internazionali animate dall’amicizia sociale”. L’economista Zamagni auspica che nell’agenda della prossima Assemblea straordinaria Onu sia inserita la creazione di una assemblea equivalente che rappresenti i popoli
Antonella Palermo – Città del Vaticano
Insieme, alleanza, fraternità. Sono le parole chiave indispensabili per rafforzare una efficace cooperazione tra organizzazioni internazionali e società civile, tema di cui si è discusso stamane, 22 maggio, all’università Lumsa, a Roma, in un seminario promosso dalla Missione permanente di Osservazione della Santa Sede presso FAO, IFAD e PAM e dal Forum romano delle Ong d’ispirazione cattolica. Seminario organizzato anche guardando alla 50.ma Settimana Sociale dei Cattolici in Italia che si terrà a Trieste dal 3 al 7 luglio e che avrà per tema “Al cuore della democrazia”.
Arellano: superare le dinamiche di conflitto nelle relazioni internazionali
A farsi portavoce della triade di queste direttrici è l’Osservatore della missione vaticana monsignor Fernando Chica Arellano, intervenuto a chiusura dell’incontro, il quale muove dalla considerazione del fatto che “il disorientamento e il disinteresse reciproco sembrano provocati dal proliferare di ideologie che mettono a repentaglio la sicurezza di tutti e dalle numerose dinamiche di conflitto e contrapposizione che – afferma – dominano le relazioni internazionali e che rendono sempre più difficile il dialogo non solo tra gli Stati all’interno della comunità internazionale, ma anche a livello degli Organismi multilaterali ed associativi”. Convinto che la cooperazione tra organizzazioni internazionali e attori non statali è da rinforzare perché nella relazione reciproca si possono creare ponti e far fruttificare le competenze specifiche per realizzare più compiutamente l’interesse generale, Chica Arellano insiste sulla necessaria unità di intenti che dovrebbe animare un’azione partecipata. Inoltre, parla di cooperazione anche in termini di “fedeltà di Dio che deve essere da esempio per noi, perché è una fedeltà altruista”. E chiosa: “Solamente se le relazioni interpersonali saranno animate dalla fraternità, potremo sperare in relazioni internazionali animate dall’amicizia sociale”. A fare da filo rosso è, conferma ancora monsignor Arellano, la carità.
Zamagni: bisogna andare verso una governance globale
L’alleanza è quanto mai necessaria se si tiene conto del fatto che il contributo della società civile nelle istituzioni è stato percepito spesso con sospetto, osserva Vincenzo Conso, coordinatore del Forum Roma, e dall’altra parte la società civile non sempre ha colto questa come opportunità preziosa. Ad approfondire le ragioni per cui è importante riflettere concretamente su questi aspetti è l’economista Stefano Zamagni, presidente emerito della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali. Spiega la necessità della ripresa del pensiero neo-rinascimentale, che si distingue dalla tradizione neo-hobbesiana per la quale lo Stato viene prima della società civile. Per la linea neo-rinascimentale è il contrario, è la società a inverare lo Stato. “La conseguenza di un approccio di questo tipo è l’applicazione del principio di sussidiarietà”, precisa Zamagni che aggiunge: “Se si vogliono risolvere le questioni dei beni comuni globali, l’ambiente o la conoscenza per esempio, bisogna accettare di andare verso una governance globale, ‘orizzontale’. Ciò è riflesso anche dalla logica del multilateralismo, tema che la Santa Sede non ha mai smesso di avallare. “Dobbiamo fare in modo che nell’agenda della prossima Assemblea straordinaria delle Nazioni Unite sia inserito la creazione di un’analoga assemblea che rappresenti i popoli”: è un aspetto, rimarca Zamagni, su cui la Santa Sede sta molto spingendo. Peraltro è la pace l’orizzonte complessivo in cui innestare queste prospettive: “Noi affidiamo il destino della pace solo alle decisioni dei governi che, per quanto ce la mettano tutta, non possono farcela, e poi non sempre la ragione di Stato è una ragione di pace”. Non si può prescindere, dunque, da questa alleanza con la società civile: lo si vede per esempio nella cosiddetta agricoltura rigenerativa rispetto alla quale oggi, dice, non c’è alternativa. Il presupposto, certo, è che la società civile sia organizzata, altrimenti diventa un concetto astratto, e sappia mettere davvero in atto azioni comuni.
L’inverno democratico
Il rettore della Lumsa, Francesco Bonini, parla dell’inverno della democrazia, recuperandone i fondamenti nella Centesimus Annus di Giovanni Paolo II. Spiega che l’inverno è generato da tutte le “forme di totalitarismo aperto oppure subdolo, quello cioè di carattere ideologico” e che “la democrazia è sottoposta a una duplice tenaglia, una esterna e una interna”. C’è la guerra, prepotentemente tornata ad essere una possibilità, endless war, guerra senza fine. Poi c’è quella leva interna che “ha a che fare, anche attraverso la retorica sull’Occidente, con un processo di erosione, di svuotamento delle democrazie stesse”. Bonini cita la “democrazia woke” che, basata su un’idea di purificazione, di dare la parola a minoranze svantaggiate ma escludendo l’idea della dialettica democratica, falsifica alla radice il processo democratico. Anch’egli approda così alla conferma della necessità di una globalizzazione della governance in cui prezioso è il ruolo dei cattolici. “Il cambiamento d’epoca ci trova spaesati ma l’universo cattolico ha a disposizione strumenti nuovi e antichi: il partito di ispirazione cristiana che ha partecipato alla costruzione delle democrazie così come le energie dei movimenti popolari, che tanto stanno a cuore a Papa Francesco, e che hanno al centro proprio la soggettività del popolo. “Sono strumenti che vanno combinati perché, se è vero che la violenza si è incistata nei sistemi democratici, è necessario agire in termini soprattutto culturali perché si rinnovi la partecipazione. Noi ci troviamo di fronte a forme di rappresentanza che non reggono più, vedi l’astensionismo diffuso alle chiamate elettorali: bisogna dunque innestare meccanismi che traducano quella sinodalità che il Pontefice sta cercando di promuovere a livello ecclesiale”.
La società civile superi la frammentazione, i governi garantiscano più spazio
Augusto Reggiani, della Fondazione ABCD Ong e con una lunga esperienza nelle Comunità di Vita Cristiana, elenca alcuni dei contributi della società civile alle organizzazioni internazionali: dalla promozione della trasparenza alla definizione delle politiche di advocacy, dalla implementazione dei progetti sul campo all’innovazione e alla conoscenza locale, dal rafforzamento della legittimità democratica alla promozione della giustizia globale. E ancora: mobilitazione di risorse, costruzione di consenso e compromesso attraverso dialogo e mediazione. Interviene al seminario anche Mario Arvelo Caamano, ambasciatore della Repubblica Dominicana presso il Polo Romano dell’Onu, presidente del Comitato di Agricoltura famigliare dell’Onu. Si sofferma sul tema dell’inclusione, di cui si ha sempre maggiore consapevolezza “anche se costa ammetterlo”, tanto che anche i Paesi più recalcitranti nei confronti della società civile alla fine sono rimasti nell’alveo delle Nazioni Unite. “Significa che i governi devono riconoscere che non possono fare tutto da soli. Ed è solo l’inizio”. La società civile ha ora l’occasione per alzare l’asticella ed essere più influente ma dovrebbe stanziare più energia, afferma il diplomatico, e superare frammentazioni interne. Dall’altra parte, i governi dovrebbero creare più spazi di accesso.
Fao, Ifad, Pam: il coinvolgimento dei popoli nei progetti di aiuto
Tre donne condividono l’esperienza dei tre organismi coinvolti nel panel. Fatouma Seid, vice direttrice della Divisione Partenariati e Collaborazione con le Nazioni Unite, FAO, spiega che l’organismo si trova di fronte a situazioni senza precedenti per cui si deve necessariamente oltre le frontiere tradizionali della collaborazione. “Dobbiamo perseguire risultati anche a lungo termine; abbiamo 700 milioni di persone che patiscono la sicurezza alimentare. Ancora non siamo sulla giusta strada per raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile, ma faremo la nostra parte”.
Federica Cerulli, Chief Partnership and Resource Mobilization Officer, IFAD, illustra i fini di questa istituzione finanziaria specializzata per lo sviluppo rurale che si confronta continuamente con le istanze di contadini e popolazioni indigene. “Oggi non si può più contare solo sull’assistenza pubblica”, denuncia. L’80% percento della popolazione è povera, ricorda, e non ha accesso al cibo: la maggior parte sono piccoli agricoltori e produttori del 50 percento delle calorie del fabbisogno mondiale. Ciò vuol dire che “l’agricoltura familiare è efficiente, sebbene i piccoli coltivatori siano i più esposti al cambiamento climatico ma anche i più flessibili a mitigarne le conseguenze”. Altro dato evidenziato da Cerulli è relativo al gap finanziario in agricoltura che è di 35 miliardi di dollari annui; l’Ifad cerca di finzianziare con un programma annuale di circa un miliardo e duecento milioni di dollari. Tra gli esempi di coinvolgimento della società civile: il Farmer Forum e il Forum delle popolazioni indigene (costituiti già nel 2005), che periodicamente ridefiniscono insieme le loro priorità; un progetto in Kenya di portabilità dell’acqua potabile; la certificazione tramite il presidio Slow Food dei prodotti di qualità che rispettino tradizioni e biodiversità. Poi c’è tutto il lavoro con le diaspore: il 40 percento delle rimesse va nelle zone rurali e l’Ifad si impegna che possano essere reinvestite in risorse rurali.
Anche il Programma Alimentare Mondiale (PAM), la più grande agenzia umanitaria che implementa programmi di assistenza e sviluppo, e protezione sociale in Paesi fragili, opera tantissimo con le diaspore, sottolinea Jihan Jacobucci, Head of the Key Accounts Unit. Sono tra i 130-140 milioni le persone assistite dal PAM che non ce la farebbero senza l’aiuto di Ong locali, soprattutto nelle regioni di difficile accesso. L’anno scorso il PAM ha collaborato con 900 Ong in 70 Paesi, l’80% sono locali. Jacobucci riferisce che il PAM si adopera affinché l’80 percento del cibo venga acquistato localmente. Nel 2023 ha canalizzato 3 miliardi e mezzo di dollari solo attraverso le Ong, il 30 percento delle risorse a disposizione. Sono un centinaio le Ong di carattere religioso con cui collabora. Grazie a queste sinergie, non sarebbe stato possibile, per esempio, abbiamo consegnato 7 milioni di pasti caldi nelle ultime settimane.