La Santa Messa del Papa per i birmani per tenere vive le speranze di un popolo

Vatican News

Antonella Palermo – Città del Vaticano

E’ molto spigliata nel parlare e mostra di avere una sana determinazione e tanta speranza per le sorti del suo Paese d’origine. Yimon Win Pe è una giovane donna birmana arrivata a Roma vent’anni fa sfruttando una occasione di lavoro nel settore albeghiero. Lasciò una famiglia borghese, che le avrebbe garantito una condizione di vita sufficientemente stabile; ciò che non le avrebbe potuto assicurare era la libertà, il rispetto dei diritti umani in uno Stato dove la democrazia era ed è ancora un sogno. La nostalgia è visibile nei suoi occhi, ma ormai le energie sono concentrate in Italia, dove ha messo nuove radici. La incontriamo nel centro della capitale. La sua è una storia di grandi ideali: dice di credere nella potenza della preghiera e della fraternità. Andrà alla Messa insieme con tante altre persone che si stanno preparando da varie parti della penisola, all’indomani delle ultime riaperture tra Regioni. E’ entusiasta e spera in un riscatto.

Che cosa rappresenta per te l’Italia?

R. – L’Italia per me è una seconda famiglia, un Paese che mi ha accolto, dove ho conosciuto la diversità e la libertà. L’Italia ormai fa parte di me e anche io faccio parte dell’Italia.

Ascolta l’intervista a Yimon Win Pe

Come hai vissuto questo trasferimento?

R. – Sono stata in Myanmar fino ai 19 anni, poi sono venuta qui. Mi ricordo tanto affetto ricevuto durante la mia infanzia. Ma mi ricordo anche la paura e i limiti che vivevamo. Certi discorsi non bisognava farli e poi c’era il timore per le divise militari. Però non avevo la consapevolezza dei motivi finché sono vissuta lì. Per me era normale vivere così. Nessuno della mia famiglia guardava i telegiornali. Non mi sono mai chiesta perché. Facevano vedere solo i militari che sfilavano, oppure che andavano a fare visita ai monaci buddisti portando loro dei doni. Era una specie di manipolazione della religione. Mi ricordo queste figure con tutti intorno sottomessi a venerarli.

Come hanno preso i tuoi la decisione di andare via?

R. – Hanno preso atto di questa scelta. Quando sono arrivata qua mi sembrava di essere arrivata su un altro pianeta. Non mi immaginavo di trovare strade asfaltate così lisce, per esempio… Mi ricordo tanta inadeguatezza da parte mia, mi sentivo fuori posto all’inizio. Mi sembrava tutto molto strano. Poi, piano piano, vivendo l’esperienza ho capito che siamo tutti uguali, che la diversità è una ricchezza. Mi sono resa conto allora che ero intrisa di una mentalità per cui il mondo era diviso in due: birmani da una parte e occidentali dall’altra. Secondo loro gli occidentali erano da disprezzare. Ho dovuto combattere dentro di me contro questa credenza. Ho scoperto che bisognava invece valorizzarla la diversità e ora l’apprezzo tantissimo.

Uno spaccato del Myanmar nel racconto di una giovane donna birmana, a Roma da vent’anni

Tanto che sei arrivata a organizzare piccole manifestazioni per sostenere il popolo birmano nella lotta per la democrazia…

R. – Fino al 1° febbraio non ero scesa in piazza. Ogni anno che tornavo in Myanmar negli ultimi tempi vedevo piano piano che il Paese stava cambiando e non mi facevano più tanti controlli. Invece con il colpo di stato due mesi e mezzo fa è salita la rabbia. Ci siamo uniti noi birmani in Italia e crediamo che non possiamo più accettare tutto questo inasprimento, crediamo sia giusto contrastarlo pacificamente. Abbiamo avuto tanto appoggio, singole persone e varie organizzazioni ci hanno consentito di fare tante cose che non avremmo mai potuto immaginare. Quando silenziano con la paura la libertà vuol dire che dobbiamo agire in qualche modo, ci credo fortemente.

Tu vieni da una famiglia medio borghese, ma in Myanmar tante sono le disuguaglianze sociali…

R. – E’ vero, e tra l’altro pure mio padre ha perso il lavoro. Era dipendente pubblico della Polizia e, poiché aveva appoggiato Aung San Suu Kyi, gli hanno imposto la pensione forzata. Mi ricordo che non riusciva a trovare nessun altro tipo di occupazione, subentrò una forma di decadenza, la depressione. Intorno a noi tanti bambini poveri e noi pure non sapevamo come andare avanti. Ma non mi facevo domande sul perché alcune persone si arricchivano in maniera sproporzionata e molti altri invece vivevano male. Poche persone, delle élites, credono che il Paese sia esclusivamente di loro proprietà, per loro la gente si divide in due: chi governa e chi viene governato, e basta.

Si può superare tutto ciò?

R. – Sì, restando uniti. Ovunque e per qualsiasi gruppo sociale vale il desiderio universale della pace. Poi ci sono gli estremisti che rendono difficile la convivenza. Dobbiamo capire questa cosa fondamentale: che dobbiamo fidarci della nostra intelligenza e seguire la strada del rispetto reciproco. Sono successe tante cose drammatiche nel Paese. Ogni giorno arrivano notizie inimmaginabili. Il 7 maggio, per esempio, è stato arrestato un poeta che manifestava pacificamente. Due giorni dopo è morto. I familiari hanno dovuto ‘corrompere’ i militari per poter riavere il corpo e firmare una dichiarazione di morte naturale, mentre c’erano tutti i segni delle percosse. Un’altra volta hanno sparato ad un ragazzo con problemi mentali, mentre la madre supplicava di non farlo. Come è possibile? Sono tragedie. E intanto perseguitano i media perché non vogliono che questo tipo di notizie esca dalla nazione.

Domenica la messa con il Papa per i birmani in Italia. Con che stato d’animo ti appresti a partecipare, pur essendo tu non credente?

R. – Ci andrò con tanta gratitudine. Per me è stato sorprendente che il Papa abbia avuto tanta compassione e disponibilità. Ha mandato tante volte appelli e preghiere per il popolo. Una Messa in San Pietro – un luogo così conosciuto nel mondo e con una figura così carismatica – ha un valore importantissimo. Servirà al Myanmar ma anche a tutti coloro che sperano nella pace nel mondo. Serve l’amore nel mondo, è una roccia fondamentale. E servono i diritti umani. Questa Messa è un dono dal cielo.