Chiesa Cattolica – Italiana

La preghiera del Papa per il Myanmar: si promuovano giustizia e stabilità

Marina Tomarro –  Città del Vaticano 

Al termine della preghiera dell’Angelus il Papa esprime tutta la sua preoccupazione per il delicato momento che sta attraversando il Myanmar, in seguito al golpe militare che il 1 febbraio ha portato all’arresto della leader e nobel per la Pace, Aung San Suu Kyi. Un Paese che è rimasto “con tanto affetto” nel cuore di Francesco sin dal tempo della sua visita apostolica nel 2017 e per il quale richiama i fedeli ad una preghiera comune e silenziosa:

In questo momento così delicato, desidero assicurare nuovamente la mia vicinanza spirituale, la mia preghiera e la mia solidarietà al popolo del Myanmar e prego affinché quanti hanno responsabilità nel Paese, si mettano con sincera disponibilità al servizio del bene comune, promuovendo la giustizia sociale e la stabilità nazionale per un’armoniosa convivenza democratica. Preghiamo per il Myanmar.

Domenica di preghiera e digiuno

Le parole del Papa arrivano nel giorno in cui la Conferenza episcopale birmana (Cbcm) ha chiamato i fedeli a partecipare ad una speciale giornata di digiuno e di preghiera per la pace. I vescovi hanno chiesto intenzioni e omelie che rilancino l’appello al dialogo, alla non violenza e al ripristino della democrazia, che già il cardinale Charles Bo presidente della Conferenza episcopale, aveva chiesto nel suo appello al popolo e alle istituzioni, lo scorso 4 febbraio. Alle sue parole che ricordavano quanto pace e democrazia siano l’unica strada percorribile, si sono aggiunte in questi giorni quelle del cardinale Vincent Nichols, presidente della Conferenza episcopale dell’Inghilterra e del Galles  (Cbcew) che in una breve dichiarazione si è unito alla preghiera per la riconciliazione in Myanmar e per la liberazione di tutti i prigionieri politici.

Le proteste pacifiche 

Intanto anche oggi, come negli ultimi giorni, in Myanmar molte persone hanno protestato pacificamente contro il colpo di stato avvenuto lunedì scorso, e numerosi arresti sono proseguiti. Nonostante le sollecitazioni internazionali a liberare tutte le persone in carcere o ai domiciliari, non si hanno notizie certe di Aung San Suu Kyi, leader della Lega nazionale per la democrazia(Nld) il partito vincitore, al voto dell’8 novembre scorso, contestato per brogli dagli oppositori sostenuti dall’esercito.  Al momento, dopo l’arresto del 1 febbraio e la dichiarazione dello stato di emergenza, la leader sembra sia stata accusata di aver violato le leggi riguardanti l’import-export per il possesso di walkie-talkie e si trovi in arresto in una località sconosciuta. In carcere anche Win Htein, storico dirigente del partito di Aung San Suu Kyi, e Sean Turnell, professore australiano, consigliere economico della deposta leader birmana e primo arrestato tra gli stranieri dopo il golpe. 

Inutili finora gli appelli internazionali 

Mercoledì,  il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite hanno chiesto al nuovo governo affidato al generale Min Aung Hlaing, la liberazione di tutti gli arrestati, il rispetto dei diritti umani evitando il ricorso alla violenza e il ripristino del processo democratico, senza peraltro condannare esplicitamente il colpo di Stato per l’opposizione della Cina e della Russia. Inoltre, l’Indonesia e la Malesia hanno chiesto la convocazione una riunione straordinaria dell’Asean, l’Associazione dei Paesi del sud-est asiatico, di cui il Myanmar è membro. Ma finora tutto sembra inutile. Fino ad oggi anche il silenzio dei social media imposto, ha accresciuto l’isolamento del Paese. Lunica voce possibile per esprime il malcontento è la piazza che continua ad animarsi sin da martedì scorso. Così anche negli ospedali, dove i medici in 30 città hanno esibito un fiocco rosso, colore del partito della San Suu Kyi. 

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