di Dario E. Viganò
«Il film girato in un periodo particolarmente difficile, dal marzo al giugno del corrente anno, è risultato di grande efficacia morale, artistica e tecnica ed ha riscosso gli unanimi consensi delle autorità e del numeroso pubblico presente». In questo modo il 22 dicembre 1944 L’Osservatore Romano commentava la speciale prima proiezione del film La porta del cielo allestita la sera precedente presso il Planetario di Roma dall’Azione Cattolica italiana, che con la sua casa di produzione Orbis aveva prodotto la pellicola. La singolare varietà delle presenze in sala quella sera aggiungeva altri elementi alla straordinarietà di quella iniziativa organizzata a ridosso del primo Natale della capitale dopo la liberazione dal nazifascismo. Accanto al regista Vittorio De Sica e allo sceneggiatore Cesare Zavattini spiccavano le attrici Maria Mercader e Marina Berti affiancate dagli interpreti maschili del film: Roldano Lupi, Massimo Girotti, Carlo Ninchi. A questo gruppo, tra le massime espressioni dello star system italiano di quegli anni, faceva contrasto lo stuolo di alte gerarchie ecclesiastiche – tra gli altri, il sostituto alla Segreteria di Stato, Giovanni Battista Montini, il nunzio in Italia Francesco Borgongini Duca, il presidente della commissione cardinalizia dell’Azione Cattolica italiana Luigi Lavitrano –, tutte figure ben poco avvezze alla mondanità degli ambienti cinematografici. A fare gli onori di casa il presidente del Centro Cattolico Cinematografico Luigi Gedda, grande architetto di tutta l’operazione.
Un film con un’aura di leggenda
In questo “quadretto” sui generis possono vedersi addensati alcuni tra i tanti motivi di interesse di un film che è senza dubbio oggi tra i meno conosciuti del duo De Sica-Zavattini, formidabile binomio del neorealismo italiano. La diretta partecipazione della Santa Sede alla produzione e le condizioni estreme in cui il film fu girato durante l’occupazione di Roma tra bombardamenti e rastrellamenti, unite alla sua sostanziale invisibilità dopo l’uscita sugli schermi nell’immediato dopoguerra, hanno contribuito col tempo ad ammantare La porta del cielo di una giustificata aura di leggenda che è andata al di là degli ambienti cinefili. Si capisce dunque quale significato assuma oggi il ritorno in circolazione di questo film grazie al progetto di restauro promosso dal Centro di ricerca Cast (Catholicism and Audiovisual Studies) dell’Università UniNettuno che troverà una prestigiosa accoglienza alla Festa del Cinema 2022 di Roma, nell’ambito della sezione “Storia del cinema”, con la proiezione fissata per il 16 ottobre alle 18 presso la Casa del Cinema.
Il restauro del film e il documentario
Perduti da tempo i negativi originali, il film era stato oggetto di un primo intervento analogico di restauro nel 1996 lavorando i materiali sopravvissuti che versavano tutti in pessime condizioni. Quella copia, presentata con grandi aspettative al festival di Venezia di quell’anno, conservava però molti difetti con immagini di scarsa qualità e un sonoro spesso incomprensibile che ne hanno di fatto limitato la diffusione. Grazie al Cast il film torna oggi a nuova vita attraverso un’operazione di ampio respiro, tecnico e culturale, che ha coinvolto diversi soggetti e che intende porsi nel solco tracciato dalle recenti sollecitazioni di papa Francesco riguardo all’improcrastinabile urgenza di mettere in atto efficaci politiche di tutela del patrimonio audiovisivo legato alla storia della Chiesa per frenare la perdita della memoria audiovisiva del cattolicesimo capillarmente diffusa in ogni parte del mondo. Il film è stato in primo luogo rilavorato con tecnologia digitale dalla Cineteca Nazionale, presso il laboratorio di Cinecittà, per avvicinarsi il più possibile alla versione originale rendendo più nitide le immagini e comprensibili i dialoghi. Oltre al Centro Sperimentale di Cinematografia il restauro è stato realizzato grazie all’apporto dell’Associazione Officina Cultura e Territorio (col sostegno degli sponsor AVL Cultural Foundation, Fabio Varlese e Paolo Golini) e alla fondamentale collaborazione della Presidenza nazionale dell’Azione Cattolica Italiana, detentrice dei diritti di sfruttamento del film, che si è valsa anche del supporto scientifico dell’Isacem (Istituto per la storia dell’Azione cattolica e del movimento cattolico in Italia Paolo VI). Per aggiungere valore culturale al progetto è stato infine realizzato il documentario Argento puro, per la regia di Matteo Ceccarelli, una produzione di Officina della Comunicazione attraverso la quale si ripercorre la storia del film e si racconta l’operazione di restauro. Dopo il passaggio alla Festa di Roma, film e documentario, troveranno poi una prima importante diffusione per mezzo della società VatiVision recentemente approdata sulla piattaforma Chili.
Lo sguardo neorealista
Il documentario – che è arricchito dalla testimonianza dell’attore Christian De Sica e propone interviste ai promotori del restauro (Dario Edoardo Viganò e Gianluca della Maggiore, presidente e direttore del Cast, ndr) al presidente nazionale di ACI, Giuseppe Notarstefano, al conservatore della Cineteca Nazionale Alberto Anile e al responsabile dei restauri Sergio Bruno – è uno strumento prezioso per comprendere l’eccezionalità de La porta del cielo nella storia del cinema italiano ma anche nella storia della Chiesa. Probabilmente proprio a causa della sua invisibilità il film è stato infatti generalmente considerato fino ad oggi un’opera minore nell’ambito della produzione desichiana ma, per la sua capacità di prefigurare la grande stagione neorealista, appare invece un film degno di quelli che lo precedono e lo seguono come I bambini ci guardano (1943) e Sciuscià (1946), che vengono acclamati in tutto il mondo. Non è un fatto secondario in tal senso che la trama del film e la sua storia produttiva si richiamino, per certi versi, a vicenda: il viaggio di un gruppo di malati su un “treno bianco” in cerca di un miracolo al santuario di Loreto che è al centro del film, è quasi metafora di sentimenti e situazioni vissute dalla troupe durante la sua lavorazione in clandestinità nel pieno di una Roma in balia degli emissari del Terzo Reich. Storia narrata e storia vissuta si specchiano così nello sguardo avvolgente e caldo di De Sica, ma anche nell’arte zavattiniana di pedinare il reale mescolando con maestria schizzi umoristici e ciniche visioni.
La Santa Sede e il ruolo di Montini
Il diretto coinvolgimento della Chiesa cattolica e delle sue più alte gerarchie nella produzione dona poi certamente ulteriore interesse a questo restauro. «Gedda – spiega il direttore del Cast Gianluca della Maggiore – aveva costituito la Orbis Film animato da una precisa strategia: proporre soggetti che pur sembrando di carattere profano fossero permeati di sentimenti cristiani. Questo disegno trovò in Giovanni Battista Montini uno sponsor convinto in Vaticano, al punto che fu proprio il futuro Paolo VI a proporre la concessione della basilica di San Paolo Fuori le mura quale eccezionale set per la ripresa delle ultime sequenze del film». Quella stessa basilica che, godendo dello status di extraterritorialità, durante la guerra e l’occupazione tedesca aveva funzionato da rifugio di materiale bellico della Resistenza e per un numero imprecisato di persone ricercate (ebrei, renitenti alla leva, rifugiati politici). Mai nessuno avrebbe immaginato però che nelle settimane più calde che precedettero la liberazione del 4 giugno 1944 uno dei luoghi di culto più importanti della Roma papale avrebbe spalancato le porte al cinema, divenendo un rifugio sicuro per la troupe, gli attori, ma anche per lo stesso Vittorio De Sica. «Fu mia madre Maria Mercader a convincere mio padre a fare la regia e fu la sua salvezza – racconta Christian De Sica –, grazie a questo film “commissionato dal papa” poté declinare l’invito di Goebbels che voleva portarlo a Venezia per costruire la cinematografia di Salò. Ma La porta del cielo, come ha raccontato mio padre, significò certamente anche un’àncora di salvataggio per tanti attori, tra cui molte famiglie ebree».