Michele Raviart – Città del Vaticano
“Benedetta medicina, la professione più bella del mondo, che ha colto il segreto dell’esistenza e ne fa la sua ragion d’essere: un’umanità messa a disposizione, disposta a perdere tutto per ritrovare la bellezza e la verità della sua identità”. È la riflessione di suor Maria Chiara Ferrari, medico internista e francescana alcantarina, che come molti religiosi ha lasciato il suo servizio e deciso di mettere a disposizione le sue conoscenze per aiutare i malati di Covid-19 durante la prima ondata della scorsa primavera. Medicina e umanità, infatti sono uno binomio che non è possibile separare di questi tempi.
Le difficoltà sono un’opportunità per una chiamata
“Ogni difficoltà e ogni momento difficile possono sempre essere lo spazio di una chiamata”, spiega presentando la sua testimonianza per il webinar “Medicina e umanità al tempo della pandemia”, organizzato dal Laboratorio scienza e fede della diocesi di Trieste insieme alla Pastorale universitaria e al Dipartimento di Scienze mediche, chirurgiche e della salute dell’Università di Trieste. Un momento di ascolto – al quale sarà possibile partecipare mercoledì 3 febbraio dalle 18 alle 19.30 iscrivendosi sul sito della pastorale universitaria di Trieste – di storie di vita che si sono particolarmente impegnate durante il primo lockdown.
Niente può togliere la relazione con l’altro
Suor Maria Chiara lo scorso marzo ha lasciato il suo impegno alla Caritas per dedicarsi due mesi al lavoro al pronto soccorso di Piacenza, “un’esperienza che nella sua straordinarietà mi ha ridetto alcuno verità fondamentali e semplici della nostra vita di uomini, verità capaci di illuminare i momenti più bui a partire dalla nostra povera e meravigliosa umanità”. Nel segno della preghiera di Papa Francesco in una Piazza San Pietro vuota lo scorso 27 marzo, l’esperienza a Piacenza è stata per suor Maria Chiara “un viaggio che mi ha restituito con forza il mistero di ogni vita: non c’è altro senso di fronte all’assurdo della fine e della morte se non quello di trascorrere il tempo che ci è dato facendone un dono per qualcuno, per poter così vivere dell’unica cosa che resta per sempre, che nessuna malattia e nessun distanziamento può portarci via: la relazione con l’altro”.
Lasciarsi guidare dal desiderio di condividere
È la stessa sensazione che ha avuto il frate francescano Andrea Dovio, che ha lasciato la Porziuncola di Assisi e, anche lui, da medico, ha lavorato per un mese nel Covid Hospital di Tortona, in Piemonte. Anche lui è stato chiamato a decidere e per lui “la vera battaglia è stata vincere le paure, soprattutto la paura della morte”. “È stato bello”, spiega, “scegliersi di lasciarsi guidare non dalla paura, ma dal desiderio di donare e condividere”.
Il rapporto con i pazienti
Condividere la vita con i colleghi, gli altri volontari e il cappellano dell’ospedale, ma soprattutto “riassaporare” la bellezza della professione medica soprattutto nel rapporto con i pazienti: “la fatica e la bellezza della cura quotidiana; il sostegno a chi, insieme alla malattia, affrontava il lutto della perdita di un genitore, del coniuge, di un amico; la condivisione delle lunghe giornate di ospedale; la gioia della guarigione e del rientro a casa, e tanto altro”.
Eroi che abbiamo il dovere di ascoltare
“Soffermarsi ad ascoltare storie di vita che uniscono scienza e fede, passione per l’uomo e amore per Dio è un balsamo in questi momenti faticosi”, sottolinea don Lorenzo Magarelli, responsabile del Laboratorio Scienza e Fede nel presentare l’iniziativa. “I medici e gli operatori sanitari sono davvero degli eroi” spiega, anche se “va evitata l’accezione retorica del termine”. “Abbiamo il dovere di pensare a loro, di ascoltarli, trovando dei luoghi e degli spazi di incontro con loro e per loro. L’intento dell’incontro è proprio quello di offrire un piccolo spazio di ascolto e di condivisione per medici, personale sanitario, studenti di medicina, per vedere l’esperienza di questo periodo da un osservatorio particolare: quello di due religiosi che sono anche loro colleghi».