Erano i due pilastri maggiori del cattolicesimo praticato. Italia e Stati Uniti. Paesi con storie e società diverse, ma in cui la fede sembrava trasmettersi solidamente – pur con qualche dimagrimento – dalle famiglie ai figli.
Non è più così. Le indagini sociologiche in America rivelano che l’appartenenza religiosa mostra crepe non irrilevanti. Mentre in Italia quel cattolicesimo popolare di massa, su cui puntavano all’inizio del secolo le gerarchie cattoliche per esercitare ancora un potere di influenza politica, si è andato progressivamente sgonfiando.
L’ultimo libro del sociologo Luca Diotallevi ha un titolo azzeccatissimo: La messa sbiadita. Perché fotografa lucidamente l’affievolirsi inesorabile della partecipazione ai riti religiosi in quanto fenomeno, che non nasce da una contestazione radicale nei confronti della Chiesa come poteva avvenire negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, e nemmeno dal salto verso un altro mondo religioso.
No. Ciò che avviene è un progressivo allontanamento perché i soggetti non si riconoscono più né nella struttura ecclesiastica né nell’architettura mentale e spirituale della religione in cui sono cresciuti.
Il dato più eclatante è la totale lontananza dalla messa delle giovani generazioni. Il terzo millennio dell’era cristiana registra che in Italia soltanto il 10 per cento dei giovani tra i 18 e i 24 anni si recano a messa ogni settimana. Non è molto meglio il comportamento della classe tra i 25 e i 35 anni: va a messa ogni domenica solo un po’ più del 10 per cento. Si sapeva già che dopo la cresima gli adolescenti cominciano a perdere il contatto con l’ambiente ecclesiale. Ma gli ultimi segnali mostrano che ora la fuga inizia già all’indomani della prima comunione.
Altro fenomeno impressionante è il ritmo con cui si restringe la forbice tra maschi e femmine. Tradizionalmente le donne affollavano i banchi delle chiese più degli uomini. Ma tra gli adolescenti si nota un progressivo avvicinarsi dei comportamenti femminili a quelli maschili. Il che significa in prospettiva un notevole restringimento della partecipazione ai riti religiosi anche da parte delle persone adulte. E’ la regola del turn-over. Le generazioni mature, ancora maggiormente attaccate alla tradizione, lasceranno il posto agli ex giovani sostanzialmente de-cristianizzati. Anche se magari culturalmente continuano a definirsi cattolici.
In ogni caso va sempre tenuto presente in queste statistiche che una cosa è il rapporto o non-rapporto con i sacramenti e la messa e altra cosa è la sfera spirituale delle persone e la loro relazione con una Entità superiore. Per le analisi statistiche Diotallevi si è basato sui dati Istat 1993-2019, da cui risulta che in quasi venti anni la partecipazione ai riti domenicali è calata complessivamente (per la popolazione dai diciotto anni in su) dal 37,3 per cento al 23,7 per cento.
Ma anche quest’ultimo dato, è stato notato, può dare una falsa immagine: perché nelle realtà urbane la frequenza regolare alla messa cala drasticamente. E poi c’è sempre da tener presente che il fedele, rispondendo ai sondaggi, può abbellire la situazione magari inconsciamente.
Le riflessioni di Diotallevi vanno comunque al di là dei numeri, cogliendo fenomeni di lungo respiro. Il primo dato è quella che si può definire la “fragilità” della trasmissione della svolta conciliare. Il grande evento, così profondo nella disamina di tanti aspetti della vita di fede e specialmente nel rigore spirituale della riforma liturgica, non è stato assorbito pienamente dai credenti e dai loro nuclei familiari – tradizionalmente primi motori dell’educazione religiosa – e quindi non è diventato forza propulsiva per le successive generazioni.
Il secondo elemento è legato al vissuto dei singoli: se ancora fino alla fine del XX secolo e ai primi anni del Duemila chi ricordava un aspetto bello ed emozionante della sua vita di religione lo ricollegava ad un evento accaduto nell’ambiente parrocchiale, a partire dal 2005 il fattore emotivo si sposta sulla personalità del Papa. Allora Giovanni Paolo II, ora Francesco. In altre parole si passa dal tessuto comunitario alla relazione con il leader carismatico.
Nel frattempo – ed è il terzo elemento significativo – l’influenza sociale e politica del cattolicesimo si è drammaticamente ridotta. Proprio la stagione del “ticket Wojtyla-Ruini”, come lo chiama Diotallevi, che coincide con una forte centralizzazione della struttura ecclesiale italiana (e sul piano politico si esprime con le lotte contro le unioni civili e la fecondazione artificiale – entrambe vinte solo apparentemente), finisce per accelerare la marginalizzazione del cattolicesimo politico.
Molti altri spunti interessanti si trovano nel saggio sulla “messa sbiadita”. Netta è soprattutto la conclusione che Diotallevi ci confida: “La messa usa un linguaggio difficile, esige un’educazione rigorosa. Bisogna tornare all’enciclica Ecclesiam suam di Paolo VI, dove si sottolinea che essere un cristiano moderno esige energie anche maggiori del passato”. Perché, dice il pontefice del Concilio, “non molle e vile è il cristiano, ma forte e fedele”.