La magia del sorriso, sensibilizzazione per aiutare i bambini in ospedale

Vatican News

Fino al 29 aprile sarà possibile contribuire, con un sms o con una telefonata, alla campagna di sensibilizzazione “La magia di un sorriso”, della Fondazione Dottor Sorriso, che da anni si occupa di migliorare lo stato d’animo e la salute dei bambini ricoverati in ospedale. Uno dei primi clown dottori in Italia: un tempo si pensava che noi facessimo solo distrarre, poi si è compresa di più la nostra importanza a vari livelli

Gabriele Rogani – Città del Vaticano

Il sostegno dei piccoli pazienti pediatrici ricoverati negli ospedali, che attraverso la “Terapia del Sorriso”, trovano momenti di allegria e serenità utili ad alleviare le sofferenze dei ricoveri e quelle dei propri familiari. Questo l’obiettivo della campagna solidale “La magia di un sorriso”, grazie alla quale fino al 29 aprile sarà possibile contribuire attraverso un sms o una telefonata. Un’iniziativa della Fondazione Dottor Sorriso, che da trent’anni è al fianco del personale medico, donando ai bambini tranquillità dal punto di vista emotivo, oltre che benefici effetti dal punto di vista sanitario: dall’aumento delle difese immunitarie all’innalzamento della soglia del dolore, passando per la riduzione dei tempi di degenza.

L’effetto del sorriso

Da uno studio effettuato dallo psicoterapeuta dell’Università di Bologna Mario Farnè, emerge che grazie alla terapia del sorriso si registra un aumento del 94% delle difese immunitarie, che determina un incremento al 90% del livello di endorfine: la conseguenza è l’innalzamento della soglia del dolore nei piccoli. “Siamo artisti professionisti che vanno in ospedale ad incontrare i bambini, oltre che tutti coloro che vogliono relazionarsi con noi, dai loro genitori al personale ospedaliero”, afferma a Vatican News Rodrigo Morganti, tra i primi clown dottori in Italia. Una forma d’arte che tocca ogni emozione, in un processo finalizzato a costruire un rapporto empatico con i piccoli: “Con il nostro intervento riusciamo a condurli ad un sistema parasimpatico, e tramite un respiro più diaframmatico, si torna ad uno stato di normalità. Vivere le proprie emozioni e trasformarle, come testimoniato da diversi studi, attiva dei processi che ci permettono di star meglio”.

Ascolta l’intervista con Rodrigo Morganti

Il lavoro sulle emozioni e la partecipazione genitoriale

Sia i pazienti che i loro familiari, faticano a esternare in ospedale le proprie emozioni, che vengono facilmente nascoste: “C’è una comunicazione interrotta – continua Morganti – e a volte il nostro percorso permette che questa ritorni alla normalità”. Uno sforzo enorme quello degli operatori, al pari di quello mostrato dal personale medico e dalla componente genitoriale, la cui collaborazione è sempre fondamentale: “Quando arriviamo in ospedale – racconta il dottore – riceviamo dalle infermiere una scheda del paziente che contiene informazioni anche sul presunto stato psicologico del bambino. Quando quest’ultimo ci permette di entrare, noi cerchiamo di fare con le nostre strategie una nuova diagnosi. La partecipazione dei genitori è una nostra assoluta priorità”.

Come è cambiato il clown nell’immaginario collettivo

“Quando sono entrato in ospedale la prima volta, si pensava che il nostro intervento fosse solo una distrazione per il bambino mentre riceveva delle cure – spiega Morganti – ma è una concezione che con il tempo è cambiata radicalmente: si è compresa la necessità di lavorare con una spiccata sincerità emotiva”. Importante è intervenire per alleviare il dolore, cercando di sfruttare le qualità immaginifiche del bambino, al fine di rappresentare un supporto di valore per il personale medico: “Iniziando a lavorare sono nati progetti come quello dell’accompagnamento chirurgico: ci si presenta alle 7 di mattina, stando vicini ai bimbi fino al momento dell’anestesia, essendo presenti spesso anche al momento del risveglio. È un modo di procedere che – conclude Morganti -, quando io ho iniziato, era inimmaginabile. Se oggi invece qualcuno vede un clown, gli chiede se lavora in ospedale”.