Tiziana Campisi – Città del Vaticano
Con la visita al Carcere di Civitavecchia, Francesco è tornato a celebrare la Messa in Coena Domini fra i carcerati. Lo ha fatto per la sesta volta, dopo averla presieduta in tre Istituti penitenziari a Roma, fra i minori di Casal del Marmo, nella Casa circondariale di Rebibbia e al Regina Coeli, e ancora nella Casa di reclusione di Paliano in provincia di Frosinone, e nel carcere di Velletri. Già a Buenos Aires, quando era arcivescovo della diocesi, Jorge Mario Bergoglio usava celebrare la Cena del Signore in un carcere, in un ospedale o in case di accoglienza per poveri ed emarginati.
La prima Messa in Coena Domini di Francesco
Ad appena due settimane dalla sua elezione sul soglio pontificio, il 28 marzo del 2013, Francesco sceglie il carcere minorile di Casal del Marmo per fare memoria dell’Ultima Cena e della Lavanda dei piedi. Lava, asciuga e bacia i piedi di 12 giovani detenuti, fra cui 2 ragazze. Nella sua omelia spiega, a braccio, il suo gesto rivelando: “È un dovere che mi viene dal cuore: lo amo. Amo questo e amo farlo perché il Signore così mi ha insegnato. Ma anche voi, aiutateci: aiutateci sempre. L’uno verso l’altro. E così, aiutandoci ci faremo del bene”. Quindi, chiarisce il senso di ciò che Gesù insegnò ai suoi discepoli e invita a riflettere: “Ciascuno di noi pensi: ‘Io davvero sono disposta, sono disposto, a servire, ad aiutare l’altro?’. Pensiamo questo, soltanto. E pensiamo che questo segno è una carezza che fa Gesù, perché Gesù è venuto proprio per questo: per servire, per aiutarci”.
Con i detenuti del carcere di Rebibbia
Nel 2015, il 2 aprile, Papa Francesco va a Rebibbia, per ripetere con 12 detenuti – 6 uomini e 6 donne – quanto Gesù fece con i suoi discepoli. Ma saluta e bacia uno ad uno i 300 detenuti che lo attendono per la celebrazione che da inizio al Triduo Pasquale. “L’amore di Gesù per noi non ha limiti – sottolinea nell’omelia, ancora una volta a braccio – sempre di più, sempre di più. Non si stanca di amare. Nessuno. Ama tutti noi, al punto da dare la vita per noi”. Aggiunge che Cristo ha dato la vita per ciascuno di noi e che il suo amore “è così: personale”, poi conclude: “Ma anch’io ho bisogno di essere lavato dal Signore, e per questo pregate durante questa Messa perché il Signore lavi anche le mie sporcizie, perché io diventi più schiavo di voi, più schiavo nel servizio della gente, come è stato Gesù.”
A Paliano, fra i collaboratori di giustizia
Due anni dopo, il 13 aprile 2017, Francesco decide di presiedere la tradizionale Messa vespertina del Giovedì Santo a Paliano, in provincia di Frosinone. Fra i detenuti ai quali lava i piedi 3 donne, un argentino, un albanese, un musulmano e 2 ergastolani. Il Papa preferisce ancora parlare a cuore aperto, senza un testo scritto preparato, e sottolinea: “Dio ci ama fino alla fine, nonostante i nostri peccati”, “sapeva che era stato tradito, che stava per essere consegnato da Giuda, ma ama ‘fino alla fine’ e dona la vita ‘per ognuno di noi’”. Evidenzia inoltre che “amare fino alla fine non è facile, perché tutti noi siamo peccatori, tutti abbiamo i limiti, i difetti, tante cose”, che “tutti sappiamo amare”, ma che “non siamo come Dio che ama senza guardare le conseguenze, fino alla fine. E dà l’esempio: per far vedere questo, Lui che era ‘il capo’, che era Dio, lava i piedi ai suoi discepoli”. E così “c’è un capovolgimento: quello che sembra il più grande deve fare il lavoro da schiavo, ma per seminare amore”. Da qui l’invito di Francesco ai detenuti ad aiutarsi reciprocamente, a fare “un servizio” ognuno per il proprio compagno, “perché questo è amore, questo è come lavare i piedi. È essere servo degli altri”. Per questo, conclude il Papa, la Lavanda dei Piedi “non è una cerimonia folkloristica: è un gesto per ricordare quello che ha dato Gesù”.
Nello storico Regina Coeli
Anche per la Messa in Coena Domini dell’anno successivo Francesco preferisce un carcere. È il Regina Coeli, non lontano dal Vaticano, dove già si sono recati i suoi predecessori Giovanni Paolo II (2000), Paolo VI (1964) e Giovanni XXIII (1958). Nella rotonda del penitenziario, dove sono radunati 600 detenuti, prima di prendere catino e brocca, come ha fatto Cristo durante l’ultima Cena con i dodici, il Papa ribadisce che “Gesù volle fare questo servizio, per darci un esempio di come noi dobbiamo servirci gli uni gli altri” e ricorda il monito rivolto ai discepoli: “I capi delle Nazioni comandano, si fanno servire, e loro stanno bene. Pensiamo a quell’epoca dei re, degli imperatori tanto crudeli, che si facevano servire dagli schiavi … Ma fra voi – dice Gesù – non deve essere lo stesso: chi comanda deve servire. Il capo vostro deve essere il vostro servitore”. Poi, riflettendo sugli eventi della storia il Pontefice considera: “Se tanti re, imperatori, capi di Stato avessero capito questo insegnamento di Gesù e invece di comandare, di essere crudeli, di uccidere la gente avessero fatto questo, quante guerre non sarebbero state fatte!”. E prosegue trasponendo nel presente la Lavanda dei piedi: “Gesù viene a servirci, e il segnale che Gesù ci serve oggi qui, al carcere di Regina Coeli, è che ha voluto scegliere 12 di voi, come i 12 apostoli, per lavare i piedi. Gesù rischia su ognuno di noi”. Poi continua: “Oggi io, che sono peccatore come voi, ma rappresento Gesù, sono ambasciatore di Gesù. Oggi, quando io mi inchino davanti a ognuno di voi, pensate: ‘Gesù ha rischiato in quest’uomo, un peccatore, per venire da me e dirmi che mi ama’. Questo è il servizio, questo è Gesù: non ci abbandona mai; non si stanca mai di perdonarci”. Il Papa si china, quindi, a lavare i piedi a 4 italiani, 2 filippini, 2 marocchini, un moldavo, un colombiano, un nigeriano e un sierraleonese. Tra loro 8 cattolici, un ortodosso, 2 musulmani e un buddista. E infine, prima di rientrare a Santa Marta, incontra alcuni detenuti in regime di isolamento.