Francesca Sabatinelli – Città del Vaticano
L’ultimo sanguinoso attentato in Somalia rivela una indiscutibile e drammatica verità: che il conteggio delle vittime per mano terrorista non si fermerà mai. È un copione tristemente conosciuto. Può variare per Paese e per matrice, ma non per il dolore di familiari e amici di chi ne viene colpito, che è uguale per tutti. A queste persone è dedicata la Giornata internazionale di commemorazione e omaggio alle vittime del terrorismo, indetta dall’Onu, che cade ogni 21 agosto, e che quest’anno è alla sua quinta edizione.
Una ferita sempre aperta
Nel momento in cui, ricordano le Nazioni Unite, il mondo lotta per uscire dall’emergenza Covid, “le vittime del terrorismo continuano a vivere nell’incertezza e nell’ansia, poiché i conflitti armati, gli attacchi violenti e gli atti terroristici in tutto il mondo continuano a fare notizia e forse ad esacerbare o a scatenare i loro traumi”. La storia delle vittime del terrorismo è una storia di vite spezzate e oltraggiate, una ferita che non si rimargina mai, che si parli guardando al passato italiano di terrorismo rosso o neofascista, o che si parli dell’oggi, del terrorismo jihadista o di altra origine.
L’abbandono delle vittime
Il tema di quest’anno è “I ricordi”, perché sono i ricordi, spiega ancora l’Onu, che “ci uniscono come se fossero collegati da un filo rosso, un fil rouge: un filo che significa la nostra comune umanità e solidarietà con coloro che hanno subìto perdite irreparabili nelle circostanze più atroci”. Giovanni Berardi è il presidente dell’Associazione Europea Vittime del Terrorismo, dopo esserlo stato anche di quella italiana. Suo padre, Rosario, maresciallo di pubblica sicurezza, viene ucciso il 10 marzo del 1978, a Torino, dalle Brigate Rosse, sei giorni dopo vi sarà l’attentato di via Fani a Roma, con il massacro degli uomini della scorta di Aldo Moro, che verrà ucciso due mesi dopo. “L’omicidio di mio padre fu l’ennesimo tentativo di fermare il processo che si teneva a Torino ai capi storici delle Brigate Rosse, un tentativo vano, perché comunque il processo andò avanti”. Per Berardi che al ricordo delle vittime ha dedicato tutta la vita, parlare di “filo rosso tra l’umanità e le vittime è un po’ difficile”, perché a 44 anni dall’omicidio Moro, e dopo tutti gli atti criminali del terrorismo internazionale, lui è certo “che questo filo sia molto sottile, per non dire invisibile, e che le vittime siano lasciate al loro destino”.
Troppa forma e poca sostanza
Per Berardi finora il tributo alle vittime non è, dunque, mai stato come avrebbe dovuto, piuttosto è sempre apparso più di forma che di sostanza. “Nelle scuole ad esempio – spiega – nei libri di storia degli scolari, la pagina grave del terrorismo non esiste. I ragazzi non conoscono assolutamente cosa sia accaduto in quel periodo in Italia, in che stato si viveva, è una pagina che molti oggi vorrebbero chiudere, ma non si può, ritorna sempre a galla. Sono troppi i segreti di Stato che incombono sulle stragi”. L’Unione europea, dopo l’attacco terrorista di matrice islamica a Madrid, nel 2004, stabilì che l’11 marzo fosse il Giorno della memoria delle vittime del terrorismo all’interno dell’Unione europea, ma il punto per Berardi resta lo stesso. “Si rimane sempre in queste giornate che hanno molto di formale, che sono un’esposizione di princìpi. Però poco si fa per tutelare gli interessi e la memoria di chi si è sacrificato, poco si fa, soprattutto guardando alle nuove generazioni e a quello che si dovrebbe insegnare loro”.