Chiesa Cattolica – Italiana

La forza della cura: economia e lavoro per combattere la tratta

Michele Raviart – Città del Vaticano

La tratta è “una profondissima ferita nel costato dell’umanità”, che riguarda soprattutto donne e bambini “venduti come oggetti, come fossero beni materiali”. A sottolinearlo è suor Jolanta Kafka, presidente dell’Unione Internazionale Superiore Generali (Uisg), in apertura della maratona online di preghiera e riflessione per la Giornata mondiale contro la tratta, che quest’anno ha come tema “La forza della cura”. L’invito di suor Kafka è a unire tutti insieme le mani in preghiera, nel segno di Santa Giuseppina Bakita, perché “solo nell’impegno condiviso di si può sradicare questo male”.

Testimonianze da tutto il mondo

Oltre otto le ore di diretta – durante le quali è intervenuto anche Papa Francesco con un videomessaggio – che permetteranno a tutto il mondo di collegarsi per dire finalmente “no” a questa piaga, che per le Nazioni Unite riguarda almeno 40 milioni di persone. Testimonianze dai cinque continenti di donne che sono uscite dalla schiavitù, di volontari della rete internazionale di Talitha Kum e di chi ha iniziato buone pratiche per un’economia della cura, perché spesso solo avviando le vittime al lavoro si riesce a trovare una vera via d’uscita.

Diventare protagonisti del riscatto

A ribadirlo è anche padre Fabio Baggio, sottosegretario della sezione migranti e rifugiati del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, partner della maratona organizzata dall’Uisg, insieme, tra gli altri, a Caritas Internationalis, Unione Mondiale delle Organizzazioni Femminili Cattoliche, Movimento dei Focolari e Jesuit Refugee Service. “Da situazioni estremamente drammatiche ci si può alzare e riscattarsi”, grazie a un amore “che restaura un’umanità ferita e violentata”, ha affermato. Per questo non bisogna piangere, ma si deve diventare “protagonisti del riscatto”.

La storia di Zaineb

A dare l’esempio storie come quella di Zaineb, rifugiata siriana ora in Libano. Una vita di abusi da parte del padre alcolizzato e della madre adottiva, un matrimonio forzato ad appena quattordici anni. Poi l’arrivo dell’Isis, il rapimento, una fuga nel deserto durata due settimane e la vita in strada a Beirut. La speranza rinasce proprio nell’incontro con le suore di Talitha Kum e il loro impegno di recupero con il progetto “Fonti di speranza”. Una testimonianza dal Medio Oriente, regione in cui le guerre in Siria e Iraq hanno creato le condizioni di sfruttamento per migliaia di profughi.

I bambini venduti in Asia

La pandemia è invece una delle cause che ha peggiorato la situazione delle persone più vulnerabili, soprattutto lo sfruttamento sessuale in Asia, continente di partenza e di arrivo delle vittime della tratta. Dal 2017, ad esempio sono state 800mila le persone, soprattutto bambini, venduti al confine tra India e Nepal, mentre sono migliaia le donne vendute per poche migliaia di dollari in Asia centrale e costrette a prostituirsi in Pakistan. Tra le attività promosse per fermare alcuni di questi fenomeni, ad esempio, c’è l’istituzione di una “Child Line” nello Stato frontaliero indiano dell’Assam, un numero telefonico per denunciare i matrimoni forzati delle bambine e gli sfruttati del lavoro minorile.

Solo l’8% delle donne africane ha un salario

Guerre, malattie, cambiamenti climatici e mal governo fanno sì, invece, che ogni nazione africana sia coinvolta nella tratta. Milioni di sfollati vittime di accattonaggio, prostituzione, ma anche traffico di organi e vendite di neonati. Una situazione aggravata dal coronavirus che, limitando gli spostamenti, rende ancora più difficile la fuga. L’auspicio è che, nell’intero continente, le donne diventino agenti di cambiamento. Producono infatti il 62% dei beni economici, ma solo l’8% riceve un salario. In questo senso è esemplare la storia di un’azienda di cosmetici piemontese, che fornisce lavoro alle donne in Burkina Faso.

Serve una cultura dell’incontro

Dal Brasile, poi, partono 41 tratte verso i Paesi esteri. Migliaia le persone coinvolte, in aumento, perché con la pandemia sono 13,5 milioni le persone che hanno perso il posto di lavoro. Difficile anche raccogliere i dati, visto che manca un database condiviso, anche se il rapporto nazionale 2017-2020 ha segnalato decine di violazioni dei diritti umani, in numero superiore alla media internazionale Onu. Anche in questo caso, soprattutto, per sfruttamento sessuale, schiavitù, traffico e vendita di organi. È quindi ancora più chiaro, come ha ricordato il preposito generale dei gesuiti padre Arturo Sosa, che serve “un’azione globale e condivisa”. La tratta è un problema mondiale, “un’espressione della cultura dello scarto”, mentre serve invece una “cultura dell’incontro”.

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