Francesca Sabatinelli – Città del Vaticano
A dieci anni dalla morte di Vincent Van Gogh, l’intenso sentimento di dolore nel cuore di Paul Gauguin fece sì, che nel suo periodo a Tahiti, dipingesse girasoli, omaggio al grande amico, il cui ricordo non si era mai affievolito. Il prezioso dipinto, raffigurante appunto dei girasoli, mai apparso in pubblico, perché mai esposto in un museo, fa parte, con altre 50 opere, alcune delle quali mai viste, o che rarissimamente appaiono in Occidente, della mostra “La forma dell’infinito”, a Udine, dal 16 ottobre al 27 marzo 2022.
L’infinito al quale l’uomo aspira
Gauguin, racconta don Alessio Geretti, curatore della mostra, non riusciva a “cancellare dal suo cuore” l’amico Van Gogh, “come a dire: per me sei ancora qui, e tra non molto ci ritroveremo per sempre nell’infinito in cui siamo attesi”. Quell’infinito al quale ciascuno aspira e che, l’esposizione, dall’impressionismo all’astrazione, propone attraverso opere di raffinati interpreti. Da Mikalojus Konstantinas Ciurlionis a Odilon Redon, a Emilio Vedova, sono tanto diversi tra loro, ma uniti dall’obiettivo di ricordare all’uomo che si cerca qualcosa, “oltre le prime apparenze, oltre la materia, magari senza sapere se la troveremo, ma con questo non soffocabile desiderio di spingerci più in là”, è la spiegazione di Geretti.
Un viaggio di cento anni
La mostra, allestita a Casa Cavazzini, Museo d’Arte Moderna e Contemporanea della città friulana, prosegue il curatore, è “un momento di grazia e di bellezza, un lungo viaggio dal mondo esterno al cuore dell’essere umano. Un viaggio nei cento anni che hanno cambiato la storia dell’arte, in cui l’arte prende sentieri diversi, difficili da accostare, ma con un istinto comune: andare al di là delle apparenze, cercare l’essenza delle cose e del cosmo”.
L’europeismo della mostra
Il visitatore è dunque condotto a riflettere sul tema fondamentale dell’esistenza, la grande domanda di infinito e trascendenza a partire dalla finitezza umana, per mezzo di diversi artisti tra cui Monet, Cezanne, Sisley, Matisse, Nesterov, Kandinskij, Goncarova, Boccioni, Picasso. La mostra espone opere che arrivano dai più grandi musei d’Europa e rappresenta, come gli artisti protagonisti, una sorta di “condensato di cultura europea”, spiega Antonio Zanardi Landi – ambasciatore dell’Ordine di Malta presso la Santa Sede, la cui legazione ha ospitato la presentazione dell’evento – che si oppone ad un “momento di riscoperta e di valorizzazione talvolta eccessiva dei localismi”. Il diplomatico sottolinea anche la grande importanza dell’interesse della mostra per gli artisti russi, poiché – afferma – è difficile che la cultura europea possa crescere se non si tiene conto “di quel polmone slavo di cui parlava San Giovanni Paolo II”.
La ricerca del senso della vita
L’arte e la bellezza risvegliano nell’uomo l’incompiutezza che ha bisogno di trovare nell’oltre, nella fede, che la bellezza riesce a rappresentare o fare intuire, il soffio di Dio che abita nell’essere umano, aggiunge Paolo Ruffini. Il Prefetto del Dicastero per la Comunicazione Vaticana, spiega come anche per i non credenti l’indicazione della mostra sia “evocare la domanda”. “Anche chi non crede cerca un senso alla sua vita, avverte l’incompiutezza delle nostre vite; anche chi non crede cerca di tramandare se stesso verso l’oltre”. In fondo la fede, conclude Ruffini, “è un dono ed è un percorso. I percorsi cominciano da qualche parte: è bello pensare che possano cominciare dalla contemplazione della bellezza”.