Fausta Speranza – Città del Vaticano
E’ vivo il dibattito sul processo di normalizzazione della Libia. Il lungo comunicato finale – 58 punti divisi in sei sezioni – pubblicato al termine della cosiddetta Conferenza II di Berlino che si è svolta il 22 giugno – ripete richieste e promesse che erano già state messe nero su bianco in altri documenti: dalle conclusioni di Berlino 1, a gennaio 2020, all’accordo per il cessate il fuoco, a ottobre 2020.
La Conferenza II, che ha incluso i rappresentanti del governo segnando così un significativo passo in avanti rispetto alla prima nel 2020, ha ribadito importanti dichiarazioni di principio ma non ha portato a impegni concreti per far sì che la data delle elezioni del 24 dicembre possa essere rispettata. Per l’avvio di una reale fase di normalizzazione del Paese servono passi avanti significativi sul fronte interno ma anche un’assunzione di responsabilità da parte di Paesi stranieri chiamati a ritirare le forze militari dispiegate sul territorio.
Non può esserci un ruolo significativo della comunità internazionale nel caso libico senza allargare l’orizzonte e senza cercare una visione politica a lungo termine: è quanto raccomanda Laura Terzera, docente di Demografia sociale (mobilità e migrazioni) all’Università Bicocca di Milano:
Terzera sottolinea l’importanza di cercare di capire la sfida epocale che ci troviamo di fronte. L’Unione Europea, che si affaccia sul Mediterraneo, è direttamente interessata – chiarisce la studiosa – ma l’Onu è altrettanto coinvolta perché si tratta di una situazione potenzialmente esplosiva e molto grave, per i morti in mare e per le violenze ai danni dei migranti nei campi in Libia e non solo. Terzera chiarisce che le implicazioni sono tante. Ricorda che c’è anche un effettivo deficit di informazione: sappiamo qualcosa – spiega – di quello che alcuni reportage giornalistici, che definisce coraggiosi, raccontano su alcuni campi, su alcune violenze, su alcune storie, e ci sono poi i dati di alcune ong, ma – afferma – non possiamo dire che si tratta di dati completi organicamente organizzabili.
I buchi neri dell’informazione
Terzera sottolinea che se di quanto accade nel Mediterraneo e in Libia sappiamo qualcosa, invece davvero non abbiamo nessuna informazione di quello che accade nelle tratte che portano in Libia. Non ci sono resoconti, dati dei percorsi dei migranti sulla rotta “diretta” in Africa. E la docente avverte: i drammi, le tragedie di cui veniamo a conoscenza per quanto riguarda il tragitto verso l’Europa e sulla rotta che passa per la Turchia potrebbero non essere nulla in confronto a quanto accade nei tragitti interni nel cuore dell’Africa. A proposito della situazione in Libia va detto che è positivo l’annuncio della riapertura della strada costiera tra Misurata e Bengasi: si tratta di un nodo importante perché apre all’arrivo sul campo degli osservatori dell’Onu con il compito di monitorare il cessate il fuoco e rilevare, probabilmente, l’avanzamento del ritiro dei mercenari. Terzera sottolinea l’importanza dell’arrivo effettivo del personale delle Nazioni Unite, auspicando che abbia libertà di manovra perché – ribadisce – è fondamentale far sapere qualcosa dei progressi su questo fronte.
La necessità di una visione
L’esperta ricorda che siamo di fronte a flussi epocali, che non si può continuare a ragionare in termini di emergenze di un periodo. Solo se la politica si assume la responsabilità di uno sguardo a lungo termine – chiarisce – si può pensare di parlare di strategie, altrimenti si tratta solo di interventi destinati a risultare insufficienti. Ricorda che l’Europa è un continente in cui si fanno pochissimi figli mentre l’Africa è un continente giovane in cui si moltiplicano le nascite e sottolinea poi altri fattori scatenanti: la fame, i confitti e le diseguaglianze sociali che portano a migrare. Anche solo questi elementi – dice – devono far capire quella che sarà la tendenza di domani. Guardando agli anni passati, Terzera spiega che il processo verso l’Europa unita ha significato un percorso lungo e difficile durante il quale i Paesi hanno continuato a muoversi su piani di accordi bilaterali, anche per la storia pregressa del colonialismo e dei rapporti intessuti. Questo ha contribuito a rendere debole la visione e soprattutto l’ha tenuta legata alle logiche della politica a breve termine.
I nodi da sciogliere sul piano politico interno della Libia
A Tripoli il nuovo governo transitorio di unità nazionale, che si è insediato a febbraio 2021 e che è guidato da Abdul Hamid Dbeibeh, ha il compito di traghettare il Paese verso le elezioni previste per il 24 dicembre. Regge per ora il cessate il fuoco concordato otto mesi fa. Il testo della Conferenza reitera la data del voto ma non segna passi in avanti per il suo svolgimento: non c’è nulla di concreto per la normativa elettorale, non è stato stabilito nulla a proposito della necessaria base costituzionale. Resta anche da valutare il percorso per il rinnovo di posizioni strategiche come quella dei vertici delle principali istituzioni economico-finanziarie, a partire dalla Banca Centrale. Nel Paese c’è un governo di unità nazionale ma le Forze Armate sono tutt’altro che unificate e gli apparati di sicurezza devono essere risistemati.
La presenza di truppe straniere e mercenari
Nel documento finale della Conferenza II di Berlino viene ribadita la richiesta di far ripartire dal territorio libico le migliaia di militari stranieri attualmente presenti: l’ONU ne stima 20.000. L’articolo 5 chiede il ritiro di “tutte le forze straniere e i mercenari”. Il testo non è cambiato rispetto alla bozza iniziale, trapelata alla vigilia del vertice: non specifica quali mercenari si debbano considerare – se solo i citati mercenari siriani che combattono in Libia su entrambi i fronti o anche altri soldati o consiglieri di altre nazionalità – e non prevede alcun meccanismo specifico per l’implementazione del ritiro. Secondo i media statunitensi, russi e turchi starebbero effettivamente contrattando un ritiro graduale dei loro mercenari, ma l’accordo non è stato ancora siglato. Va considerato che sono migliaia i mercenari ciadiani, sudanesi e di altri Paesi subsahariani che gravitano attorno alle fazioni libiche rivali.