La croce, testimonianza viva di Cristo

Vatican News

Tra la reliquie della Passione non è inusuale imbattersi in quelle dei frammenti della Croce. Il ritrovamento da parte di Elena, madre di Costantino, suscitò un’enorme risonanza al tempo, raccontato dalle fonti agiografiche e dall’arte. La croce fu divisa in tre pezzi che presero le strade delle città più importanti: Gerusalemme, Costantinopoli e Roma, poi a loro volta suddivisi per l’adorazione dei fedeli di tutto il mondo cristiano

Maria Milvia Morciano – Città del Vaticano

La croce: il segno apparso nel cielo che, come promesso, aveva fatto vincere la battaglia al ponte Milvio, nel 312, divenne presto il simbolo stesso dell’impero di Costantino, oltre che della nuova religione. La croce porta in sé la totalità di Cristo e del suo disegno di salvezza sulla terra. Nessun altro simbolo è più dirompente e icastico. Nessuno più riconoscibile e indelebile.

La ricerca della Vera croce

Per questo motivo si fece largo nell’intendimento dell’imperatore di dare concretezza alla novità cercando il legno autentico su cui Cristo era stato crocifisso. L’imperatore sostenne il viaggio della madre Elena nei luoghi santi proprio per cercare le testimonianze tangibili della nuova religione. L’imperatrice partì e fu in Palestina tra il 326 e il 328. Un viaggio archeologico sulle tracce della vita di Gesù, della sua Passione e Risurrezione.

Piero della Francesca, Storie della Vera Croce, affresco, 1452-1466, basilica di San Francesco, Arezzo

La ricerca, si concentrò proprio nel rinvenimento della vera Croce. Questa è una storia memorabile, raccontata da alcuni resoconti di IV secolo e poi confluiti nella Legenda Aurea (LXIV; CXXXII) e raffigurata in alcuni meravigliose opere d’arte, come negli affreschi di Agnolo Gaddi nella basilica di Santa Croce a Firenze (1380-90) e di Piero della Francesca nella basilica di San Francesco ad Arezzo (1452-66). Anche nella basilica di Santa Croce in Gerusalemme di Roma, sono rappresentate le storie della vera Croce negli affreschi dell’abside eseguiti da Antoniazzo Romano e Marco Palmezzano tra il 1492 e il 1495.

Antoniazzo Romano, Storie della Vera Croce (fine XV secolo) abside della basilica di Santa Croce in Gerusalemme, Roma

Elena, come racconta la tradizione, riuscì a farsi indicare il sepolcro di Cristo e a trovare la croce ricorrendo ad alcuni stratagemmi. Ne trovò tre. Qual era quella autentica? Provò a toccare con esse una donna malata, e con una di esse il corpo riacquistò salute. La croce di Cristo era stata identificata, le altre due dovevano essere quelle dei ladroni. Particolare interessante è che la croce sia stata trovata accanto al sepolcro: quindi secondo queste tradizioni molti oggetti sarebbero stati tutti riuniti insieme presso la tomba del Signore. Si parla infatti anche del contestuale ritrovamento dei chiodi, così come del Titulus Crucis

La vera croce fu divisa in tre parti: il frammento più grande rimase a Gerusalemme, un secondo fu donato a Costantino che la portò nella nuova capitale, Costantinopoli, odierna Istanbul, e il terza fu destinato a Roma.

Reliquie riunite nel palazzo imperiale

Elena espose in una cappella del suo palazzo, il Sessorianum, le sacre reliquie, compreso il frammento di croce.  La Basilica di Santa Croce a Roma è quindi un lembo di Gerusalemme nell’Urbe. Fu costruita e ampliata partendo da una cappella fondata sulla terra portata dalla Terra Santa. È uno scrigno di reliquie e di opere d’arte. Tutto è concepito per risultare un inno al simbolo più riconoscibile e sacro di tutta la cristianità.

La facciata come la vediamo oggi risale al XVIII secolo, sotto il pontificato di Benedetto XIV, progettata dagli architetti Domenico Gregorini e Pietro Passalacqua. Nel tempo ha subito alcuni rimaneggiamenti, come la cappella delle reliquie, alla fine del percorso della Via Crucis, allestita in epoca moderna per accoglierei sacri oggetti che prima erano conservati in un ambiente umido e inadatto. Tra le reliquie, oltre al Titulus Crucis ci sono alcuni frammenti della Croce di Cristo custoditi in una stauroteca, cioè un reliquiario a forma di croce, come recita la sua etimologia dal greco, stauròs, cioè croce, e theke, che significa raccolta, collezione.

Un prezioso reliquiario

La stauroteca custodita a Santa Croce in Gerusalemme è una preziosa croce dorata opera di Giuseppe Valadier, degli inizi del XIX secolo. Il prezioso reliquiario fu commissionato dalla duchessa spagnola di Villehermosa all’architetto per sostituire la precedente, confiscata nel 1798. E’ in argento dorato e lapislazzuli, con figure di angeli volanti e la Vergine ai piedi della croce.

Frammenti della croce nel mondo cristiano

Schegge del preziosissimo legno si trovano non solo a Santa Croce in Gerusalemme o a San Pietro, nel reliquario di San Giustino, ma in moltissimi altri luoghi in Italia, Europa e oltre. I più famosi si trovano a Notre Dame de Paris, nel Duomo di Pisa e a Santa Maria del Fiore a Firenze. In una catechesi del 348, Cirillo di Gerusalemme sostiene che “tutta la Terra è piena delle reliquie della Croce di Cristo”, e in ancora  che “…il santo legno della Croce ci porta una testimonianza, visibile tra noi in questo giorno, e che da questo luogo adesso si è diffusa nel mondo intero, per mezzo di coloro che, nella loro fede, ne asportano dei pezzi”. Seguire le diverse strade delle varie donazioni e dei  trasferimenti non è facile, ma lasciano spazio ad alcune riflessioni.”Se tutti i pezzi rintracciabili [della croce] fossero radunati insieme, formerebbero un bel carico per una nave, benché l’Evangelo affermi che una sola persona fu in grado di portarla. Che sfrontatezza, quindi, riempire tutto il mondo di frammenti che richiederebbero più di trecento uomini per trasportarli!”, disse Calvino, teologo riformatore del cristianesimo protestante nella prima metà del XVI secolo. Anzi questa considerazione fu uno dei motivi principali del suo dissenso anticattolico. Per lui le reliquie erano frutto di superstizione.

I frammenti di croce noti non bastano a fare una croce intera

Di contro, Rohalt de Fleury dopo un minuzioso lavoro di catalogazione di tutti i frammenti conosciuti della Vera Croce, notava che il loro volume complessivo era pari a un cubo di 16 cm di lato, cioè 0,17 metri cubi di una croce intera di quasi 4 kg, nel caso fosse stata fatta con del legno più pesante, come l’olivo. Quindi i frammenti noti, messi insieme, non formano una croce reale, fatta a misura di un uomo, e tanto meno quella di Cristo, che doveva essere del tipo più alto – e quindi più pesante – come si evince dai Vangeli (Mc 15,36; Gv 19,28-29): quando Cristo ebbe sete e il sodato gli bagnò le labbra con acqua e aceto, cioè con la posca, la bevanda dei soldati romani, lo fece fissando la spugna inzuppata “in cima a una canna”. La croce di Cristo era visibile fin da lontano perché il palo verticale, lo stipes, su cui era posto il patibulum, ovvero la trave orizzontale, era molto alto.

Il culto delle reliquie non è legato alla materia in sé

La riflessione si ferma a comprendere il valore, per il credente, delle reliquie, che non si limita all’oggetto in sé e neppure alla sua integrità. E’ sufficiente che un frammento sacro venga a contatto con un oggetto anonimo per trasmetterne sacralità. Una trasmissione che ha permesso la frammentazione degli oggetti sacri e anche dei resti mortali dei santi e dei martiri. In questo modo è spiegato perché parti anatomiche diverse, appartenute a un santo,  si trovano in luoghi diversi ed esposti alla devozione dei fedeli. Sono testimonianze spirituali vive e per tanto avulse dal concetto materiale di integrità.