La critica di Zuppi alla politica: “Ha interessi modesti ed è ignorante: dovremmo diffidarne ma ne siamo vittime. Così democrazie più fragili”

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“Uno dei problemi di oggi è proprio il divorzio tra cultura e politica, non solo per i cattolici, consumatosi negli ultimi decenni del Novecento, con il risultato di una politica epidermica, a volte ignorante, del giorno per giorno, con poche visioni, segnata da interessi modesti ma molto enfatizzati. Dovremmo diffidare di una politica così, ma spesso ne finiamo vittime, presi dall’inganno dell’agonismo digitale che non significa affatto capacità, conoscenza dei problemi, soluzione di questi. Cioè, il tradimento della politica stessa!”. È la forte denuncia fatta dal cardinale Matteo Maria Zuppi, presidente della Conferenza episcopale italiana e arcivescovo di Bologna, reduce, come inviato di Papa Francesco, dalla missione per la pace in Ucraina che lo ha visto recentemente a Kiev, Mosca e Washington e che avrà come prossima tappa Pechino. Il porporato ha aperto, con una lunga e densa prolusione, il convegno Il Codice di Camaldoli che si svolge al Monastero di Camaldoli, in provincia di Arezzo, alla presenza del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Il Codice di Camaldoli è un documento programmatico elaborato in Italia esattamente ottant’anni fa, nel luglio 1943, da un gruppo di intellettuali cattolici. Lo scopo fu quello di fornire una base unitaria che potesse guidare l’azione nell’Italia liberata. Da esso, infatti, trassero ispirazione la Democrazia Cristiana e la stessa Costituzione repubblicana.

“Francesco – ha ricordato Zuppi – afferma: ‘Per molti la politica oggi è una brutta parola… E tuttavia, può funzionare il mondo senza politica? Può trovare una via efficace verso la fraternità universale e la pace sociale senza una buona politica?’. Oggi la democrazia appare infragilita e in ritirata nel mondo. Ecco un campo cui i cristiani devono applicarsi, interrogandosi su come deve essere la democrazia nel XXI secolo, vivere quell’amore politico senza il quale la politica si trasforma o si degenera. Bisogna mettere a fuoco attorno a questa emergenza così decisiva, esperienze, tradizioni, visioni, idee, risorse reali, anche se disperse. In questa prospettiva, sarebbe importante una Camaldoli europea, con partecipanti da tutt’Europa, per parlare di democrazia ed Europa. I padri fondatori hanno avuto coraggio, rompendo con le consolidate logiche nazionalistiche e creando una realtà mai vista né in Europa né altrove. Nella pace, bisognava rendere solidali le democrazie. Sarebbe importante che i cristiani europei tornassero a confrontarsi perché l’Europa cresca, ritrovi le sue radici e la sua anima, si doti di strumenti adeguati alle sfide”.

La genesi del Codice di Camaldoli, come ha sottolineato Zuppi nel suo intervento, avvenne in un periodo drammatico per l’Italia, durante il secondo conflitto mondiale e alla vigilia della guerra civile. “Il 19 luglio 1943 – ha ricordato il presidente della Cei – avvenne il terribile bombardamento di San Lorenzo a Roma e il 25 il Gran Consiglio del fascismo segnò la fine del regime. Il Codice nacque in uno dei momenti più bui della lunga notte della guerra. Dobbiamo constatare che la pace non è mai un bene perpetuo neanche in Europa. Questa consapevolezza dovrebbe muoverci a responsabilità e decisioni! Anche allora c’era un Papa che – come oggi Francesco – parlava senza sosta di pace: Pio XII. Perché la posizione dei papi del Novecento – tutti – è farsi carico del dolore della guerra, cercando in tutti i modi vie di pace, curando le ferite dell’umanità e favorendo la soluzione dei problemi. Pio XII credeva nella pace e si pose con forza il problema del ‘dopo’: ricostruire la società e l’ordine internazionale. Lo fece tra l’altro attraverso i discorsi e i radiomessaggi, nei quali indicò il grande obiettivo: cercare la pace come fondamento di una convivenza civile liberata dall’odio e dai conflitti. Una grande costruzione collettiva, cui i cattolici – insieme a tanti altri – dovevano mettere mano da subito”. E ha aggiunto: “Il Papa saldò strettamente l’urgenza della pace e la scelta per la democrazia. Aiutare l’una rafforzava l’altra. E dovremmo ricordarci che l’infiacchimento della democrazia è sempre un cattivo presagio per la pace”. Parole da leggere anche alla luce della missione di pace che Francesco ha affidato proprio a Zuppi.

Il porporato ha sottolineato che “la tragedia della guerra richiedeva di fondare la convivenza nazionale e internazionale su basi solide. La guerra, infatti, opera sempre distruzioni profonde, non solo materiali ma morali, azzerando ogni patrimonio di relazioni stabili, di regole condivise, di fiducia reciproca. Papa Francesco, mentre chiede la pace presto, opera per preparare un ‘dopo’ senza la guerra. Se vuoi la pace prepara la pace! Significa promuovere una visione che attragga verso un mondo differente e che mobiliti passioni ed energie per costruirlo, ma anche organismi e modalità in grado di mantenerla. ‘In ogni guerra ciò che risulta distrutto è lo stesso progetto di fratellanza, inscritto nella vocazione della famiglia umana’. Le encicliche Laudato si’ e Fratelli tutti ne sono i pilastri, intimamente unite tra loro. Non c’è cura della casa comune se non impariamo a riconoscerci e a trattarci da ‘fratelli tutti’. Finiremmo per distruggerla e per distruggerci. Bisogna risvegliare gli sguardi e le menti, per superare il ‘circolo vizioso’ per cui tutto diventa impossibile. Ecco perché Francesco insiste sulla pace anche quando sembra difficile o sulla fraternità anche quando dilaga l’estraneità. L’insistenza sugli obiettivi massimi sfida il senso comune che, insegna Manzoni, resta nemico del buon senso. Francesco mostra che ‘il realismo della speranza’ muove assai di più di tante valutazioni. E non si può parlare di pace senza parlare della giustizia! Cercare la pace è compromettersi per trovare la giustizia, ma non in astratto, fuori dalla storia, simbolica, ma quella che garantisce sicurezza”.

Il presidente della Cei ha risposto anche ad alcune domande che vengono rivolte all’istituzione ecclesiale: “C’è chi chiede alla Chiesa di promuovere o favorire incontri, riflessioni tra cattolici su temi civili. Non mancano occasioni e questioni. Capisco l’esigenza e sono disponibile ad aiutare iniziative di questo tipo, proprio perché senza interessi immediati, personalistici o di categoria. I credenti devono avere il coraggio, nel rispetto delle diverse sensibilità, di interrogarsi dialogando e ascoltandosi, che vuol dire ispirarsi al Vangelo nella costruzione della comunità umana. Lo devono fare singolarmente, ma anche insieme, perché solo attraverso un lavoro comune possono mettere a fuoco ‘principi dell’ordine sociale’, per usare il linguaggio del Codice. I protagonismi indeboliscono se non sanno scegliere l’umiltà del confronto e del pensarsi insieme! E quanto è necessario raggiungere una ‘massa critica’ più solida e visibile, coinvolgendo anche il terzo settore e le forze sociali che rappresentano la ricchezza di riflessione e di impegno diffuse nel tessuto profondo delle nostre comunità”.

Infine, il cardinale ha toccato un tema tornato negli ultimi anni al centro del dibattito, ovvero in che modo debba esprimersi la presenza dei cattolici in politica. “Le idee del Codice di Camaldoli – ha spiegato Zuppi – hanno camminato sulle gambe dei partiti. Oggi la situazione è molto diversa. Non ci sono partiti d’ispirazione cristiana e, più in generale, partiti organizzati di stampo novecentesco. Questo non deve certo diventare un alibi per non cercare nuovi modi di fare politica o per fare politica svincolati da principi, valori e contenuti. Se non troviamo le mediazioni necessarie chi interpreta le esigenze, le orienta e sa indicare risposte nella complessità della vita? La disaffezione dalla politica non può non interrogarci. La Chiesa ha un atteggiamento diverso nei confronti delle iniziative culturali e di quelle politiche: Pio XII è stato all’origine del Codice di Camaldoli, ma la Dc è stata fondata da De Gasperi. Ma la Chiesa è attenta a ciò che avviene sul piano politico e sa riconoscere ciò che ha valore e ciò che non lo ha”.

Da qui, il presidente della Cei ha ricordato che “da anni la Chiesa chiede a tutti i governi che chi fugge da grandi povertà, da pericolo grave o di morte, sia accolto come fratello o sorella, con risposte che siano all’altezza dell’umanesimo vera identità del nostro Paese. Guai a dilapidare quelle che sono le caratteristiche più profonde e vere del nostro Paese! Da anni chiediamo una politica di sostegno della natalità e di difesa della vita, tutta, dal suo inizio alla sua fine, nelle sue fragilità e debolezze. Siamo consapevoli – come ha detto Francesco – che il futuro demografico dell’Italia ha bisogno dell’apporto degli emigrati. Natalità e accoglienza si completano, non si oppongono. Questo deve avvenire in modo costruttivo e positivo, che diano dignità alle persone e chiarezza di diritti e di doveri. Penso a coloro che vivono in condizioni di povertà, stimati essere in Italia il doppio che in Europa. Un’attenzione particolare va rivolta agli anziani in questo grande caldo: la scorsa estate 60mila anziani sono morti per il caldo, di cui 18mila in Italia, un triste primato”.

Per Zuppi “le visioni dei cristiani in politica possono essere più o meno condivise, ma tutti sanno che i principi e posizioni che propongono, non esprimono l’interesse della Chiesa, ma il bene di tutti. La Chiesa non ha altro interesse. È davvero di tutti e per tutti. Ecco perché l’impegno dei cattolici – quando è sincero e generoso – è di per sé de-polarizzante e rappresenta un antidoto alle tossine che inquinano la democrazia. Si parla di irrilevanza dei cattolici nella politica italiana. L’irrilevanza è non fermarsi accanto all’uomo mezzo morto della parabola del buon samaritano, nella via tra Gerico e Gerusalemme. L’amore, in quanto tale, non può essere irrilevante. Può essere umiliato e anche crocifisso”. E ha concluso: “Oggi siamo in una stagione in cui si sente il bisogno di una responsabilità civile maggiore. Per l’Italia, per l’Europa, per il mondo: tutto è incredibilmente connesso. Una ripartenza? Certo, non si può restare inerti. Non si può restare chiusi nel proprio ‘io’: bisogna avere il coraggio del noi! Fosse un ‘noi’ che discute, diverge, ascolta, propone. Siamo, come allora, travolti dalla tempesta della guerra. Nessuno può dire che non ci riguarda. Le conseguenze sono per tutti. Lo abbiamo capito, purtroppo ad intermittenza, lo dimentichiamo facilmente, ma – come disse Francesco – siamo tutti sulla stessa barca!”.

Twitter: @FrancescoGrana