Andrea De Angelis – Città del Vaticano
Dieci anni e un giorno. La Libia prova a scrivere il suo futuro lasciando alle spalle un decennio di divisioni, conflitti, vittime e crisi sociale: quello successivo all’uccisione del suo leader storico, Gheddafi. Lo fa con una prima volta andata in scena il 21 ottobre. A Tripoli infatti si è tenuta la conferenza di stabilizzazione della Libia. Non era mai accaduto negli ultimi dieci anni che un vertice internazionale per la pace nel Paese si tenesse sul territorio libico.
Obiettivo 2022
Hanno partecipato all’incontro ben 15 ministri degli Esteri, oltre ai rappresentanti di Unione Africana, Unione Europea, Lega Araba e Nazioni Unite. A fare gli onori di casa il governo transitorio di unità nazionale del premier Abdelhamid Dbeibah, nominato a marzo da un forum creato dall’Onu in seguito all’accordo di cessate il fuoco gestito da Russia e Turchia dopo l’offensiva sferrata su Tripoli dal generale Khalifa Haftar. L’iniziativa è stata fortemente voluta dal ministro degli Esteri libico, signora Najla al Mangoush, che al termine dell’incontro ha sottolineato quali sono i due punti chiave per l’imminente futuro del Paese: elezioni il 24 dicembre e via tutti i mercenari stranieri. L’obiettivo, dunque, è di dare un nuovo volto alla Libia già con l’inizio del prossimo anno.
Elezioni e mercenari
Nel suo discorso di apertura, il premier Dbeibah ha assicurato che il governo sta facendo tutto il possibile affinchè le elezioni presidenziali e legislative si svolgano il 24 dicembre, come previsto, e ha sottolineato come sia fondamentale che inizi anche la ricostruzione civile e militare. “La vostra presenza è la prova che siamo sulla strada della pace”, ha detto Dbeibah, il quale ha sottolineato come sia stato mandato un forte messaggio positivo a chi vorrà investire sullo sviluppo economico della Libia. Le parole del premier sulle prossime elezioni sono però in contrasto con le dichiarazioni attribuite in settimana dalla stampa locale al leader del Consiglio presidenziale ad interim, Mohamed al-Menfi, favorevole invece ad un rinvio delle elezioni fino al raggiungimento di una vera riconciliazione nazionale. Sui mercenari, il ministro al Mangoush, ha sottolineato come “l’unica strada sia il rispetto del principio di non ingerenza”, perché la presenza di combattenti stranieri “è una minaccia per l’intera regione”. Alla fine del 2020 le Nazioni Unite hanno fatto una stima dei combattenti stranieri presenti in Libia, pari, quasi un anno fa, a 20mila unità.
Le Nazioni Unite in Libia
Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha votato lo scorso mese all’unanimità l’estensione della Unsmil, la missione dell’Onu in Libia, la cui durata è così prevista fino al 31 gennaio 2022. L’intenzione è quella di non abbandonare il Paese in un periodo particolarmente delicato, viste le imminenti elezioni. Questo mese, invece, la Commissione d’inchiesta indipendente delle Nazioni Unite ha denunciato, nel suo primo Rapporto dopo un anno di lavoro, gravi violazioni dei diritti umani nel Paese africano dal 2016 ad oggi da parte di attori libici e stranieri, statali e non statali. Alla denuncia si unisce nel Rapporto anche un appello al governo perché sia fatta giustizia e non si ripetano simili abusi.
Quali gli scenari futuri?
Dunque a questo punto ci si chiede quale futuro si può tracciare per la Libia, in quale direzione andare e con quale partecipazione eventuale di altri Paesi. Di certo – afferma Gabriele Iacovino, direttore del Centro Studi Internazionali – ad oggi ci sono dei segnali positivi, perché per la prima volta in dieci anni c’è stata una conferenza internazionale per la stabilizzazione sul Paese a Tripoli, un “dato questo che potrebbe apparire scontato, ma non lo è affatto”:
“Il Paese – afferma Iacovino – solo oggi riesce a garantire una sicurezza tale da ospitare dei ministri stranieri”. I nodi restano però molti. “Innanzitutto – spiega – ci sono presenze di militari e combattenti stranieri sul territorio, che le Nazioni Unite hanno stimato essere 20mila. Un’enormità rispetto ai numeri delle varie milizie libiche”. Poi c’è la questione delle influenze straniere “che soffiano sulle varie parti politiche e non del Paese, in modo che queste influenze possano tradursi in reali interessi”.
Si può pensare ad una Libia senza influenze straniere e se sì quanto tempo ci vorrà? “Un pronostico è molto difficile, anche perché – sottolinea ancora il direttore del Cesi – la partita si è molto modificata nel corso degli anni. Iniziata sotto l’ombrello della Nato, oggi vede protagonisti Paesi come la Russia o le monarchie del Golfo”. Per la regione la partita “resta molto importante, anche perché – aggiunge – è una delle prime crisi regionali senza la presenza statunitense ed in questo senso il risultato finale potrà essere un po’ la cartina tornasole di quelli che saranno i futuri equilibri regionali”. Infine il voto, un passaggio storico. Ci sono dei progressi reali per la popolazione o siamo ancora alle promesse? “In questo la Libia è un caso un po’ anomalo perché, nonostante l’instabilità, la forza sociale ed economica del Paese ne ha risentito fino ad un certo punto. Non siamo dinanzi a crisi come quelle che stanno affrontando Siria e Yemen, di certo – conclude Iacovino – il cittadino esce sempre sconfitto da situazioni come queste, dove le elezioni potranno essere sì un segnale di stabilizzazione, ma in un contesto dove si è parlato e si parla sempre di influenze straniere e mai della società civile libica”.