Andrea De Angelis – Città del Vaticano
Diecimila sono le persone nei pressi della stazione, settanta i chilometri che separano Leopoli dalla Polonia, due i gradi di questa rigida fine d’inverno. Leopoli da giorni è diventata una città dell’accoglienza, dove migliaia di uomini, donne e bambini ucraini arrivano dopo ore o giorni di fuga dalle città invase dai russi. Si scappa dalle bombe, dalle case distrutte, dai lutti, ma anche dalla fame e dalla sete, come nel caso di Mariupol. Da mercoledì 2 marzo alcuni membri della Comunità Papa Giovanni XXIII si trovano a Leopoli. Sono lì per dare il loro contributo ai rifugiati, perr comprendere cosa sta accadendo, per costruire non solo l’accoglienza, ma anche la pace. Tra loro c’è anche Alberto Capannini, Responsabile di Operazione Colomba, Corpo nonviolento di pace della Comunità.
Cosa sta accadendo in questo momento a Leopoli?
Siamo arrivati qui ieri, ci siamo recati subito alla stazione centrale della città dove sono raggruppate le persone. Credo siano almeno diecimila, tra quelle dentro e fuori della stazione. C’è chi aspetta un treno per andare in Polonia. Fa freddissimo, c’è la neve, ora sono due gradi. Queste persone cercano di arrivare in qualunque modo in Polonia per poi proseguire anche in altri Paesi europei.
La maggior parte di questi rifugiati sono donne e bambini.
Sì, anche se gli uomini sono molti perché accompagnano mogli e figli fino al confine, per poi tornare indietro, sapendo che qualcuno andrà a prendere donne o bambini dopo che avranno attraversato il confine a piedi, tra la neve. In Polonia ci sono dei centri di accoglienza. L’Ucraina si sta svuotando, c’è chi parla già di un milione di persone andate via. In ogni paese, in ogni villaggio in questi 70 chilometri che separano Leopoli dalla Polonia ci sono gruppi di persone armate con fucili da caccia, bombe fatte al momento. Questo fa pensare che ci sia il timore di un’invasione russa anche qua, nella parte occidentale del Paese.
Perché è importante essere lì oggi?
Credo che molti di noi, tra cui io, hanno passato diverso tempo in aree di conflitto perché niente può sostituire la presenza sul posto. Vedere, stare e parlare con le persone. Ieri sera, nel posto in cui dormo, è scattato l’allarme e sono sceso nei sotterranei. Una ragazza scappata dal fronte mi chiedeva se ci rendiamo conto di quello che sta succedendo, di quanto sia importante non lasciare solo il popolo ucraino.
Cosa rispondere, dunque?
Io credo che la risposta dell’Europa non possa essere militare, sfidare cioè una potenza come la Russia in una escalation militare. Ovviamente è inaccettabile che la Russia occupi militarmente l’Ucraina, con le bombe si alimenta solo l’odio. Nessuno ha il diritto di fare la guerra. La risposta dell’Europa deve essere diversa, può diventare una superpotenza dell’accoglienza, della gestione dei conflitti in maniera diplomatica. Questi momenti così duri sono quelli in cui si definisce l’identità delle persone, chi si defila, chi viceversa fa di tutto per costruire la pace e chi, invece, usa le armi per invadere. Credo sia fondamentale che gli Stati europei e i singoli cittadini prendano una posizione.
All’Udienza generale del 2 marzo Papa Francesco ha ringraziato i polacchi per l’accoglienza dei rifugiati ucraini. A Leopoli si respira già questa gratitudine verso chi accoglie, mista naturalmente al terrore, al dolore, alla rabbia?
La prima senzazione che si registra stando qui, la prima impressione è che le persone scappate dal fronte sono persone distrutte. Un ragazzo a cui ho chiesto quando è scappato, mi ha risposto che non sa quantificare i giorni. Non si rende conto bene di quanto accade, perché l’impatto con la violenza distrugge. L’altra impressione è che parliamo di profughi europei, che sanno dove cercano rifugio, che conoscono cioè l’Europa. C’è una solidarietà vera, penso che l’accoglienza si debba a tutti. Se non si accoglie perdiamo la nostra umanità. Qui si respira un clima di accoglienza, ma anche di difficoltà per chi scappa dall’Ucraina magari con documenti non regolari, persone che provengono dall’Africa o dal Medioriente. Certamente è un momento di difficoltà, ci chiamano tante persone in cerca di aiuto. Si cerca chi può accogliere, magari di far rintracciare i profughi con parenti e amici. Si opera non solo per riparare i danni della guerra, ma anche per fare in modo che la guerra non ci sia più. Non è possibile accettare ciò che è indegno e vergognoso.