La Chiesa sinodale non è una piramide ma casa per “vocazioni di pari dignità”

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Don Dario Vitali, coordinatore degli esperti teologi al Sinodo, è intervenuto alla 12.ma Congregazione generale per illustrare il punto B3 dell’Instrumentum laboris, dedicato alla rapporto tra le varie componenti della Chiesa, tra responsabilità e autorità, in ottica sinodale

Francesca Sabatinelli – Città del Vaticano

In una Chiesa sinodale la partecipazione non può essere singola ma di tutti, come indicato dal Concilio Vaticano II, ed è in momenti drammatici come quelli che si vivono in questi giorni che “l’umanità ha bisogno di una testimonianza forte e convinta di una Chiesa che sia segno e strumento di pace tra i popoli”. Il reverendo Dario Vitali, coordinatore degli Esperti teologi al Sinodo, interviene alla 12.ma Congregazione generale per illustrare l’Instrumentum laboris/B3: “Partecipazione, compiti di responsabilità e autorità. Quali processi, strutture e istituzioni in una Chiesa sinodale missionaria?”

Il Popolo di Dio

La Lumen gentium fa assumere “una fisionomia precisa” ai temi della partecipazione, laddove si parla del Popolo di Dio prima ancora della gerarchia, il che – spiega Vitali – fa franare la “piramide ecclesiologica costruita lungo i secoli”, indicando che “il titolo più grande di appartenenza alla Chiesa non è essere Papa, o vescovo, o prete, o consacrato/a, ma figlio di Dio”. “Affermare la pari dignità di tutti – è l’indicazione – non significa negare le differenze: la Chiesa è il corpo di Cristo, vivo e bello per la varietà dei doni, dei carismi, dei ministeri, delle vocazioni”. È questo un principio espresso dal Concilio, che così rompe “un rapporto asimmetrico di autorità-obbedienza che strutturava la Chiesa piramidale”, rovesciando il rapporto tra i due soggetti e mettendo “il sacerdozio comune prima del sacerdozio ministeriale”, riconoscendone “la diversità complementare, che li rende irriducibili l’uno all’altro”. Il Popolo di Dio torna così “finalmente ad essere soggetto attivo della vita ecclesiale”. Sinodalità e concetto di communio si identificano, aggiunge Vitali, “a patto di comprendere la Chiesa come Popolo di Dio in cammino”, poiché è dentro la Chiesa sinodale che “trovano cittadinanza tutte le dimensioni della communio: la communio trinitaria, la communio fidelium, la communio Ecclesiarum, la communio sanctorum”. Al “servizio di questa Chiesa” stanno i Pastori, “in una communio hierarchica regolata dal servizio dell’unità del Vescovo di Roma”.

Il processo sinodale in uscita e in entrata

Il modulo B.3 – è la spiegazione di Vitali – indicherà il percorso per “avviare il rinnovamento dei processi, delle strutture e delle istituzioni in una Chiesa sinodale missionaria, in una progressiva recezione del quadro ecclesiologico disegnato dal Concilio Vaticano II”. È sulla relazione tra “il Popolo di Dio, il collegio dei Vescovi e il Vescovo di Roma”, che si fonda la Chiesa sinodale in quanto “Chiesa dell’ascolto”, che riconosce e garantisce le rispettive funzioni dei diversi soggetti del corpo ecclesiale. “Nel processo sinodale il Popolo di Dio, il Collegio dei vescovi e il Vescovo di Roma esercitano le loro specifiche funzioni ecclesiali, componendo in unità dinamica la sinodalità, la collegialità e il primato”. Il processo sinodale è in uscita quando il Vescovo di Roma, per sua prerogativa, chiama la Chiesa all’azione sinodale, convocandola, stabilendone il tema, aprendone il processo, accompagnandolo e concludendolo. Dalla convocazione si avvia il processo in entrata, “che coinvolge tutta la Chiesa e tutti nella Chiesa, a partire dalla Chiese particolari” e che chiama i vescovi alla “responsabilità di aprire il processo sinodale”, ciascuno nella propria Chiesa. Il vescovo che avvierà la “vera consultazione del Popolo di Dio”, prende così parte al processo sinodale svolgendo un “compito necessario ed insostituibile”. Di qui l’evidenza che non vi è “contraddizione tra dimensione sinodale e dimensione gerarchica della Chiesa: l’una garantisce l’altra e viceversa”.

La sinodalità per avviare le riforme istituzionali

Nel garantire il sensus fidei del Popolo di Dio da una parte e il discernimento dei Pastori dall’altra, il processo sinodale è “un luogo privilegiato di esercizio tanto della sinodalità che della collegialità”, dove “il discernimento delle Conferenze episcopali e delle Assemblee sinodali” non è atto “meramente pastorale”, bensì, ricorda Vitali, come indicato da Papa Francesco in occasione del 50.mo del Sinodo, è “espressione della collegialità episcopale all’interno di una Chiesa tutta sinodale”. Il Sinodo è luogo e spazio privilegiato “di esercizio della sinodalità”, che enfatizza il ruolo di tutti i soggetti, con caratteristiche peculiari tali da definire il processo sinodale “l’esercizio più compiuto della sinodalità nella Chiesa Cattolica”. Da qui si parte per “mettere mano a un ripensamento delle istituzioni ecclesiali”, attraverso l’indicazione di “criteri per la riforma” di carattere teologico e istituzionale. “Senza Sinodo – è la conclusione di Vitali – l’esercizio della sinodalità finirebbe per dissolversi in mille rivoli e creare un vero e proprio pantano, rallentando se non impedendo il camminare insieme del Popolo di Dio”. Il vero esercizio della sinodalità permetterà di pensare “alle necessarie riforme istituzionali, a processi decisionali che coinvolgano tutti, a un esercizio dell’autorità che sia davvero adatto a far crescere un Popolo di Dio maturo e partecipe”.