La Chiesa piange la fine del governo di Mario Draghi, ex allievo dei gesuiti. “E così – commenta monsignor Benoni Ambarus, vescovo ausiliare di Roma, sul suo profilo Twitter – anziché pensare al bene comune, oggi buona parte della classe politica ha dimostrato che pensa solo al proprio interesse, becero ed egoista. E così, ancora una volta, questa crisi la pagheranno le persone più deboli. Che tristezza”. Anche il gesuita Francesco Occhetta, che in passato ha sostenuto la candidatura del ministro della Giustizia, Marta Cartabia, a Palazzo Chigi, in un editoriale su Famiglia Cristiana scrive: “La scelta di Conte e del Movimento 5 Stelle di rimettere in discussione in nome del popolo la vita del governo Draghi non deve meravigliare. I populismi, infatti, sono come burrasche che si infrangono su tutto ciò che è governo e istituzioni. Sono movimenti storici ciclici che compaiono quando il popolo soffre e subisce crisi finanziarie, l’aumento della disoccupazione, flussi migratori, l’incremento delle spese militari, il coinvolgimento nei conflitti, la crisi della classe media, la corruzione della classe politica e la constatazione che le classi dirigenti da popolari diventano aristocratiche. È così riemersa una cultura populista che in molti hanno alimentato nei media e nei social, oppure hanno omesso di contrastare, Chiesa inclusa”.
Per il politologo gesuita “la realtà e la memoria storica hanno ceduto il passo alle credenze e alle emozioni. Solo così, in questo ‘eterno presente liquido’, è possibile essere prima populisti e poi europeisti; filorussi e, poco dopo, favorevoli alla Nato; statalisti e poi liberali; alleati della destra e poi della sinistra. La cultura populista si traveste da Robin Hood mentre agisce con le intenzioni dello sceriffo di Nottingham, strumentalizzando il popolo che ha la responsabilità di avergli affidato una delega in bianco”. Padre Occhetta è convinto che “in mancanza di una legge elettorale proporzionale, è urgente un accordo di sistema strategico, non politico, tra la destra e la sinistra per garantire che il Paese rimanga nel quadro costituzionale e negli accordi internazionali presi e sia in grado di affrontare i grandi temi sociali dal lavoro al sostegno di famiglie e imprese. È il segno della scissione tra demos (popolo) e kratos (potere) che ha screpolato il cristallo della democrazia”.
Alla vigilia della crisi di governo, era intervenuto il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, rivolgendo un appello alla responsabilità della classe politica: “Dobbiamo metterci tutti a lavorare insieme. E non dividerci”. E aveva aggiunto: “Credo che nello scenario attuale più un governo è stabile, più riuscirà a fare fronte alle tante sfide che si pongono e che sono davvero epocali, che nessuno poteva immaginare. Anche questa guerra nessuno poteva immaginarla, ma è successo. Da questa guerra poteva derivare una crisi generalizzata, alimentare o dal punto di vista dell’energia, quindi evidentemente quando c’è qualcuno che ha in mano le redini della situazione, pur con tutte le difficoltà che ci sono perché nessuno ha la bacchetta magica, questo facilita certamente la stabilità”.
Gli aveva fatto eco il cardinale presidente della Cei, Matteo Maria Zuppi: “Guardiamo con grande preoccupazione alla situazione politica che si sta determinando e che rischia di sovrapporsi ad una fase di crisi più generale che sta già incidendo in modo pesante sulla vita delle persone e delle famiglie”. Per il porporato “la guerra in Ucraina e le sue temibili conseguenze; l’inflazione a livelli eccezionali che richiede continuità e tempestività di interventi urgenti; le pandemie che non smettono di colpire; il lavoro mortificato dalla precarietà e dalla generale incertezza sono elementi che impongono chiarezza di decisioni e una forte concertazione con le parti sociali e con l’Europa. Il confronto dialettico e il pluralismo sono una ricchezza irrinunciabile della democrazia ancora di più in vista delle prossime naturali scadenze elettorali, ma in un momento come questo conviene avvenga nel massimo della convergenza e della stabilità per terminare l’avvio di interventi decisivi sui quali da mesi si sta discutendo e che condizioneranno i prossimi anni. Per questo ci auguriamo che vi sia uno scatto di responsabilità in nome dell’interesse generale del Paese che deve prevalere sulle pur legittime posizioni di parte per identificare quello che è necessario e possibile per il bene di tutti”.
Posizioni totalmente condivise dall’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la vita e consigliere spirituale della Comunità di Sant’Egidio fondata da Andrea Riccardi, nominato dal ministro della Salute, Roberto Speranza, presidente della Commissione per la riforma dell’assistenza sanitaria e sociosanitaria della popolazione anziana. “Con un’iperbole, ma non tanto, – aveva dichiarato il presule al Corriere della Sera alla vigilia del voto di fiducia al Senato – direi al presidente Draghi che, tra le varie ragioni, ci sono anche quattordici milioni di anziani che vivono in Italia a chiedergli di restare”. Aggiungendo: “Mi auguro comprenda quanto sia essenziale che resti. Ci sono responsabilità più grandi delle nostre condizioni e sensibilità personali. Capisco tutte le difficoltà, ma è importante che il presidente del Consiglio e il governo, in un momento difficile come questo, possano continuare a svolgere la loro opera”.
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