L’evangelizzazione nel Paese si svolge spesso in condizioni pericolose. Così il cardinale Ambongo che ringrazia dinanzi al Papa per il dono degli operatori pastorali. Un prete parla della sfida a essere “testimoni della giustizia in un mondo che affonda nella corruzione e nelle condanne arbitrarie”; una suora vede nel Pontefice il buon samaritano giunto a lenire le ferite in una terra di martiri; un seminarista ricorda le difficoltà create dalle “chiese del risveglio”
Antonella Palermo – Città del Vaticano
L’opera di evangelizzazione in Repubblica Democratica del Congo si svolge “in condizioni spesso difficili e talvolta pericolose”. Lo sottolinea il cardinale Fridolin Ambongo, arcivescovo di Kinshasa, nell’incontro del Papa con i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i seminaristi presso la cattedrale “Notre Dame du Congo” . La presenza del Pontefice, sottolinea, riaccende i motivi di speranza e proietta nel futuro con “maggiore determinazione e dedizione”.
Testimoni di carità e giustizia in un mondo sfruttato
“Vivere l’impegno sacerdotale e religioso nel Congo di oggi comporta enormi sfide”, precisa il porporato che, tuttavia, si dice convinto dell’indefettibile attaccamento al Signore, della fedeltà ai valori evangelici e della gioia di servire e accompagnare il Popolo di Dio nella sua ricerca di una maggiore dignità come “garanzie di una vita sacerdotale e religiosa autentica e vera, gioiosa e appagante”. La visita di Francesco porta uno slancio e una vitalità nuova alla missione della Chiesa nel Paese. Lo dice don Léonard Santedi rivolgendosi al Papa. È una visita, quella del Successore di Pietro, che incoraggia i sacerdoti a rispondere con zelo e spirito di sacrificio, generosità e sollecitudine alla chiamata del Signore nelle periferie esistenziali del mondo. Il sacerdote si fa portavoce del desiderio di essere “testimoni della giustizia in un mondo che affonda nella corruzione e nelle condanne arbitrarie” e che preferisce il tribalismo e le “cricche”. Don Léonard rinnova il desiderio di “essere testimoni della carità e della solidarietà in un mondo che sfrutta i piccoli e persegue interessi egoistici”. Poi torna a dire delle condizioni disumane in cui troppe persone vivono. “Scoprire nei volti sofferenti dei poveri il volto di Cristo richiede da parte nostra una più grande coscienza del nostro dovere di Pastori”, aggiunge. Da qui la richiesta al Pontefice di intercedere in favore della riconciliazione e della pace nel Paese per denunciare i crescenti squilibri tra il Nord e il Sud del mondo. Promette, a nome del clero locale, azioni pastorali in favore dell’ecologia integrale, “della famiglia come santuario della vita, dell’educazione come laboratorio di umanizzazione e cammino verso un nuovo umanesimo”. L’invocazione, infine, ai beati Marie-Clémentine Anuarite e Isidore Bakanja ancora una volta “per un Congo nuovo, un Congo di riconciliazione, di giustizia e di pace”.
Suor Alice: una terra di martiri che il Papa viene a soccorrere
E, nella significativa Giornata per la vita consacrata, si leva la testimonianza di Suor Alice Sala, che insieme a uomini e donne di più di 300 Istituti di Vita Consacrata e Società di Vita Apostolica, e di nuove Comunità, accoglie il Papa vedendo in lui il Buon Samaritano “venuto a soccorrere un popolo dimenticato a livello internazionale”. Anche lei insiste sull’oltraggio alla terra e alle risorse congolesi saccheggiati da soggetti stranieri che, dice, “lasciano mezzo-morti sulla strada” la popolazione. Esempio di fraternità e di sinodalità, il Papa è colui che avvolge in bende le ferite e aiuta l’azione del Signore nel guarirle. “Visto che il Congo è una terra di martiri, di omicidi e di guerre intrattenute e finanziate da fuori, chiediamo alla Santità Vostra di essere il nostro portavoce nel mondo affinché il bene del popolo abbia precedenza sull’interesse per le nostre ricchezze naturali”. Suor Alice esalta la bellezza di questo Paese che, nonostante le ingiustizie cui è sottoposto, è una “terra benedetta da Dio, con una popolazione generosa, che ama la preghiera, ripiena di vitalità e di speranza”. E aggiunge: “Ecco perché noi non ci scoraggiamo, perché crediamo in Cristo risorto”.
Le “chiese del risveglio” mettono in crisi l’identità cattolica
Prende la parola Don Divin Mukama a nome di tutti i seminaristi che hanno fatto tesoro degli inviti del Papa nel rendere i luoghi di formazione spirituale ed ecclesiale luoghi per crescere in umanità. Ogni giorno i seminaristi fanno del loro meglio, confida Divin, per essere pieni di zelo apostolico, disposti a condividere le gioie e le sofferenze di tutto il Popolo congolese. Anche lui ripete che le violenze non risparmiano queste case portando con sé “crisi di ordine morale, economico e sociale. In tale contesto, i seminaristi sono dei veri segni di speranza”. Cita, infine quella che definisce la proliferazione delle chiese pentecostali, le cosiddette “chiese del risveglio” che, spiega, pongono un serio problema in relazione alla crisi d’identità cattolica. “A questo, associamo la dipendenza dalle reti sociali, il cui abuso provoca l’inquinamento mentale dei giovani. I seminaristi non ne sono risparmiati”. L’impegno è di costruire, insieme una Chiesa che sia veramente sinodale, che cammina alla sequela di Cristo, che si presenta come la Via, la Verità e la Vita.