Antonella Palermo – Città del Vaticano
Vescovi italiani a confronto per elaborare un progetto di rilancio delle aree interne della Penisola, che ne fermi il progressivo spopolamento e il definitivo declino economico e sociale. E’ l’obiettivo che si pongono i vescovi di tutta la dorsale interna italiana, non solo del Sud, in un evento che si svolge a Benevento il 30 e il 31 agosto, nel solco del cammino già intrapreso dai presuli della diocesi nella primavera del 2019, con il documento “Mezzanotte del Mezzogiorno? Lettera agli Amministratori”. E’ un tema che da anni vede in prima linea, tra gli altri, l’arcivescovo di Campobasso-Bojano, monsignor Giancarlo Bregantini, che precisa – ai nostri microfoni – come proprio La terra alleata sia stato il primo dono del Sinodo diocesano (2016-2020) e costituisca la premessa di ogni ulteriore riflessione in merito. “Se poniamo al vertice la terra – spiega il presule di origine trentina – le altre realtà si coniugano benissimo”.
Molise: spopolamento progressivo
L’ultima fotografia dell’Istat sulla popolazione residente nella ventesima Regione italiana, in ordine di nascita, registra un calo di 687 unità: da 296.547 al primo gennaio 2021 a 295.860 a fine febbraio. Mancanza di lavoro, di attrattiva in un territorio che sarebbe ricco di potenzialità e carico di storia ma che non riesce a trovare in maniera omogenea un pieno riscatto economico e sociale. Ne deriva quella che Bregantini definisce “una lagna” ancora più dannosa se non si trasforma in capacità progettuale:
Quali sono le vostre aspettative dall’incontro a Benevento?
L’incontro si prefigge di stimolare a guardare con simpatia e non con indifferenza le aree interne raccogliendo la provocazione biblica di Bartolomeo e della sua esperienza con Gesù. “Cosa può venire mai da Nazareth?”. Proprio da lì viene la salvezza. Analogamente, le nostre aree interne sono delle piccole Nazareth, decisive per lo sviluppo culturale e spirituale delle nostre terre. Non si può farne a meno. Il Molise ne ha tante. Se noi daremo vigore alle aree interne libereremo anche le periferie da una eccessiva presenza di persone. Ci sarà un nuovo equilibrio.
Il confronto tra le Chiese locali e gli amministratori è già stato avviato da qualche tempo. In base alla sua esperienza, può dirci qualcosa in merito ai frutti che finora ha prodotto?
Sono parecchi. Innanzitutto la riscoperta del turismo lento. E anche la riscoperta dei borghi, che sono diversi dal ‘paesello’. Il borgo parla, ha una storia. E’ importante rivalorizzarlo. Alcuni anni fa abbiamo realizzato, in vista delle elezioni, un fascicoletto con dieci petali come fosse un fiore. Ogni petalo una realtà: la Chiesa che diventa il cuore del borgo, le strade per accedervi, la terra rivalutata, l’industria che fa sviluppare le realtà locale, le scuole custodite, gli immigrati accolti e valorizzati, la salute del luogo curata, il turismo, la famiglia e i giovani. Questo è il nostro sogno: che questi dieci petali possano sbocciare. Del resto, radicarsi vuol dire incarnarsi in un territorio.
Da un lato, si tratta di frenare lo spopolamento rilanciando l’economia, dall’altro è necessario anche evitare sfruttamenti del territorio come gli scempi edilizi. Molte aree non solo sono state lasciate a se stesse ma conservano le ferite di una edilizia non finita che duole molto…
E’ vero. Ma anche qui c’è un tremendo errore culturale. Si dice: io non amo la mia terra perché penso che sia pesante. Dobbiamo guardare a Nazareth con gli occhi di Giuseppe e Maria che la scelgono Nazareth. Non deve essere una condanna vivere in un paese. A questo proposito sta rilanciandosi la Pastorale rurale, che è molto sviluppata in Francia, per esempio, dove c’è un dipartimento specifico che organizza anche molti convegni sul tema. Se noi sapremo usare stima per queste zone, prossimità verso le loro culture, pietà popolare valorizzata e formazione, apporteremo un volano di sviluppo. La pastorale rurale è la pastorale del futuro. La realtà delle aree interne e delle città sovrappopolate bisogna considerarle integrate.
Per fare ciò è essenziale potenziare le vie di comunicazione, un tasto dolente anche per la sua Regione…
Purtroppo è vero. E aggiungo che non c’è nemmeno una precisa programmazione dei fondi europei. Fare una bella strada a quattro corsie e la cura delle stradine interne è uno degli aspetti indubbiamente negativi. Dobbiamo tuttavia fare una politica attiva, così il politico sarà capace di ascoltare la voce che viene dal basso. E’ questa la questione fondamentale e la Chiesa può contribuire a questa coscientizzazione. Ci sono anche esperienze virtuose. Per esempio, per noi è di grande consolazione la rinascita di un piccolo borgo che si chiama Castel Del Giudice, di trecento abitanti, che tramite una saggia amministrazione, ha rovesciato i parametri negativi. Hanno valorizzato la terra creando tanti ettari coltivati con alberi di mele, bambini non ce ne sono allora al posto dell’asilo c’è una casa di riposo per anziani, hanno trasformato una stalla in casa per ospitare turisti, hanno messo in piedi un birrificio. Se tutti i luoghi avessero questa consapevolezza, allora gli abitanti non sarebbero solo lagnosi. Trasformare la lagna in progettualità. Questo creerà futuro.
Qual è il ruolo delle università in questo processo di consapevolezza e promozione?
L’università ha un grande ruolo. Anch’essa, però, poco spinge per le nuove colture. Venendo dal Trentino, vedo che le aree arboree, per esempio, sono decisive per le aree interne, anche perché hanno una importante funzione di contenimento del terreno franoso. Si imporrebbe un cambio che è innanzitutto culturale. Il grano, molto diffuso, è tutto sommato una coltura ‘comoda’ a cui si ricorre comodamente. L’università dovrebbe contribuire a mettere in atto una svolta in questo senso. E’ possibile cambiare il volto del Molise: meno grano e più alberi.
Le aree interne sono per lo più aree a rischio sismico. Anche Papa Francesco è tornato in questi giorni a infondere coraggio per accelerare la ricostruzione. La macchina è ancora troppo lenta…
La macchina è troppo lenta perché si aspetta dall’alto. Se confidiamo in amministratori capaci e onesti che sanno creare reti di solidarietà e sviluppo progettuale, come è avvenuto in Friuli, allora ce la faremo. Se noi crediamo che la soluzione stia in grandi apparati burocratici regionali o nazionali è troppo poco. Sono i Comuni le realtà che possono prendere in mano la loro sorte. E’ il principio di sussidiarietà che genera la solidarietà e che pone la prima pietra del bene comune.