Maria Milvia Morciano – Città del Vaticano
La stazione del mercoledì della I settimana di Quaresima si svolge nella seconda delle grandi basiliche romane, il tempio mariano per eccellenza, che tornerà anche nel giorno di Pasqua, alla fine del cammino penitenziale.
Si tratta di un luogo tangibilmente sacro in ogni minimo elemento che lo compone. Un accordo di forme, colori e spiritualità dove sperimentare il senso autentico della fede, ma in modo vertiginoso, ineffabile, come di fronte a un’apparizione. Non è soltanto la sua bellezza a colpire, ma il sentimento di chi ha creato tutto questo: sentiamo che ogni artista vi ha lavorato e creato con un senso di profonda partecipazione, con commozione e amore. D’altra parte come non condividere l’ammirazione e la devozione per una Donna che è Madre del Cristo ed è giorno per giorno allo stesso tempo Madre di ciascuno di noi? La basilica è un inno a Lei e alla sua Maternità come ad esempio nelle reliquie che ricordano la Nascita, la cuna del Bambino conservata nella cripta, o nel primo presepio scultoreo della storia, quello di Arnolfo di Cambio, risalente al 1291, ora nel Museo annesso. In questa basilica non esiste binomio tra vita e morte, tra nascita e rinascita: qui c’è solo vita. Una vita infinita piena di luce: quella che soltanto possiamo immaginare sia simile al paradiso.
Profonda devozione dei Papi
Per questo motivo possiamo comprendere perché i romani siano tanto devoti a questa chiesa e chi non lo è lo diventi. Papa Francesco ne è molto legato, al punto di concludere ogni viaggio qui, a ringraziare. Una devozione già profondamente testimoniata dai Papi precedenti, come Pio XII e san Giovanni Paolo II.
La Salus Populi Romani
Il 27 marzo dell’anno scorso, nel momento più doloroso della pandemia Covid-19, abbiamo tutti negli occhi e nel cuore Piazza San Pietro e Papa Francesco solo, nel buio gonfio di pioggia, mentre prega il crocifisso di San Marcellino e la Salus Populi Romani, quest’ultima custodita nella basilica. Le due sacre immagini tornano sempre nei momenti più difficili e ci si rivolge loro con la preghiera di essere protetti, come fece anche san papa Gregorio Magno per scongiurare la peste che imperversava nel 590.
La Madonna con Bambino, Salvezza del popolo romano, questa la traduzione dal latino, è chiamata l’icona bizantina, datata comunemente tra V e XIII secolo. Sopportò numerosi ritocchi e per questo è difficile attribuirle una datazione più precisa. Secondo il Pontificale romano, Elena, madre di Costantino, l’avrebbe trasferita da Costantinopoli a Roma e quindi, secondo questa fonte, sarebbe ancora più antica e risalirebbe al IV secolo. All’inizio chiamata con l’appellativo di Regina Coeli, ebbe diverse collocazioni e molto presto ritenuta miracolosa – è anche considerata immagine acheropita, cioè non dipinta da mano umana e realizzata da san Luca – trovò l’attuale sistemazione nel 1613, nella Cappella Paolina o Borghese.
La Basilica
Torniamo alla basilica, se è possibile riassumere in poche righe millenni di storia tanto ricca. La Papale arcibasilica maggiore arcipretale liberiana di Santa Maria Maggiore è chiamata anche semplicemente Liberiana perché ritenuta fondata da papa Liberio, in seguito a un miracolo inusuale quanto romantico, puro come il suo colore, riprodotto anche oggi attraverso una cascata di petali bianchi: una nevicata ad agosto, il 5 del 352. Tracce storiche risalgono al papa successivo, Sisto III, tra il 432 e il 440, un anno dopo il Concilio di Efeso che aveva riconosciuto la Theotòkos, la divina Madre di Dio.
La pianta attuale ricalca la fase più antica ed è tra le basiliche romane quella che per impianto si avvicina di più all’originale paleocristiana: tre navate divise da colonne di spoglio e capitelli di stile ionico, illuminate da ventuno finestre per lato, successivamente tamponate. A questo periodo si deve l’importantissimo ciclo di mosaici con scene dall’Antico e Nuovo Testamento sulle navate laterali, dei quali, dopo i rifacimenti settecenteschi, se ne sono conservati solo ventisette. La loro importanza è nel filo rosso che lega temi stilistici più antichi di età imperiale con quelli paleocristiani. Sull’arco trionfale si dipanano altri mosaici splendidi nel loro fondo oro, ma più stereotipati, dove sono rappresentate scene dell’Infanzia di Cristo e soprattutto tratte dai popolarissimi Vangeli Apocrifi. Ogni scena è stata ben studiata e scelta quale dimostrazione visiva dei concetti propri del sopra citato Concilio di Efeso e allo stesso tempo per affermare il primato della Chiesa romana nel mondo cristiano.
Ai conseguenti abbellimenti, come quelli nel XII secolo con i pavimenti cosmateschi e il portico della facciata, poi distrutto dai rifacimenti scenografici effettuati dal Fuga nel XVIII secolo, seguirono gli interventi per il giubileo del 1300 sotto il pontificato di Niccolò IV, con l’aggiunta del transetto e una nuova abside rivestita dai mosaici di Jacopo Torriti nel 1295, con l’immagine dell’incoronazione della Vergine che campeggia al centro, secondo uno schema di matrice bizantina, inscritta in un cerchio sostenuto da angeli.
Fanno ali alcuni santi: Pietro, Paolo e san Francesco a sinistra e Giovanni Battista, Giovanni Evangelista e Antonio a destra. Le figure più piccole appartengono a quelle di papa Niccolò IV e al donatore, il cardinale Colonna.
Il campanile
Il campanile romanico, scandito da coppie di bifore, risale agli anni 1375-1376 con un rialzamento successivo nella metà del XV secolo. Svetta più alto di tutti su Roma. Quasi un riferimento simbolico dello sguardo Materno e vigile sulla città di Maria.