La basilica dei Santi XII Apostoli: la memoria e la bellezza

Vatican News

Maria Milvia Morciano – Città del Vaticano

Nel rito romano della Chiesa cattolica, le stagioni dell’anno sono segnate da quattro tempora. Tra la prima e la seconda domenica di Quaresima cade quella di primavera. Questi periodi sono accompagnati  dalla preghiera, dalla penitenza, dall’elemosina e da un simbolo che rappresenta la primizia del periodo. In quello di primavera, che cade proprio in questi giorni, ci sono i fiori. La grande basilica dei Santi XII Apostoli nel Foro Traiano bene poteva accogliere lo svolgimento degli scrutini, cioè la preparazione degli ordinandi, sacerdoti e diaconi, nel “venerdì delle Quattro Tempora di Primavera”.

La chiesa dei Santi XII Apostoli, basilica minore, sorge nel rione Trevi, a pochi passi da Piazza Venezia e via del Corso. Sembra essere l’unica chiesa romana a essere stata costruita senza sfruttare strutture di epoca romana. La prima costruzione si ebbe sotto Giulio I, nel IV secolo, che la chiamò con il suo nome, Basilica Iulia. Nel secolo successivo, il Liber Pontificalis  la cita con il nome di titulus apostolorum. 

Nel VI secolo fu costruita sulla prima una nuova basilica con pianta a croce greca, quale ex voto del generale Narsete, sotto il pontificato di Papa Pelagio I. A questo Papa, intorno al 560, si deve il trasferimento a Roma delle reliquie degli apostoli Filippo e Giacomo dai territori dell’Impero Romano d’Oriente.

La chiesa fu progettata con ampi spazi e ricchi marmi di spoglio, provenienti probabilmente dal Foro di Costantino piuttosto che dal Foro Traiano. Già Adriano I, nell’VIII secolo, in una lettera a Carlo Magno, descriveva l’ampiezza della chiesa e la ricchezza dei suoi mosaici. Il terremoto del 1348 la distrusse. Di questa fase oggi possiamo ammirare un leone reggicandelabro in marmo, sotto il porticato a destra, sulla cui base si legge molto bene la firma dell’artista, † Bassallectus. Si tratta di uno dei Vassaletto, forse il capostipite, celebre famiglia di marmorari romani, attivi tra la seconda metà del XII secolo e tutto il XIII.

Nel 1474 Sisto IV concesse la basilica ai Frati minori conventuali che tuttora la officiano. Nel 1475, per volere del cardinale Giuliano della Rovere, futuro Papa Giulio II, furono intrapresi lavori di restauro. La facciata venne arricchita da un portico a nove arcate eseguito da Baccio Pontelli e tre anni dopo ancora nuovi interventi furono eseguiti da Giuliano da Sangallo.

Gli angeli musicanti e il Cristo di Melozzo da Forlì


A Melozzo da Forlì fu dato incarico di dipingere l’Ascensione di Cristo nello spazio absidale, datata al 1480 circa, i cui frammenti vennero staccati durante i rifacimenti del XVIII secolo.  Ora nove frammenti con angeli sono esposti nella Pinacoteca dei Musei Vaticani (uno si trova al Prado di Madrid), mentre Cristo è nel Palazzo del Quirinale. Gli angeli di Melozzo sono tanto celebri quanto meravigliosi: splendide figure composte e serene, vestite di colori diversi sul fondo azzurro del cielo, suonano strumenti musicali dell’epoca, volgendo uno sguardo estatico, quasi tutti come verso un unico punto. Il Cristo, soprattutto, ispirò Michelangelo per la realizzazione degli affreschi della Cappella Sistina, nella prospettiva da sotto in su.

La basilica attraverso il tempo

 
L’intera chiesa fu completamente rimaneggiata dagli architetti Francesco e Carlo Fontana e infine da Nicola Michetti, per volere di papa Clemente XI nel 1702. La facciata fu completata da Giuseppe Valadier nel 1827.

Entrando colpisce la pala dell’altare maggiore, la più grande di Roma, che sappiamo in corso d’opera negli anni  1715-16, con il martirio dei Santi Filippo e Giacomo, opera di Domenico Maria Muratori, composizione complessa e affollata, ispirata alle opere del Domenichino.  Anche la volta è una stupefacente opera del Baciccia, con il Trionfo dell’ordine francescano, del 1707, dove possiamo ritrovare la tecnica illusionistica dello scorcio da sotto in su che abbiamo già visto nell’opera di Melozzo, ma qui in chiave trionfalmente barocca.  

La mano di Antonio Canova


All’interno del nartece, sulla sinistra, possiamo ammirare la stele funeraria dedicata all’incisore Giuseppe Volpati, opera di Antonio Canova, di gusto squisitamente neoclassico.

Allo stesso scultore, nel 1787, si deve anche il potente monumento funerario a Papa Clemente XIV. Sotto il sarcofago sul quale siede il Papa, con il braccio sollevato in un gesto ammonitorio e il volto severo, terribile, stanno le personificazioni della Temperanza e dell’Umiltà. Si tratta ancora di un’opera giovanile dell’artista dove però è percettibile lo sviluppo straordinario della sua attività posteriore. 

I santi apostoli Giacomo il Minore e Filippo


Nella cripta, realizzata soltanto tra il 1869 e il 1871 da Luigi Carimini, riposano i corpi mortali di due apostoli, titolari della basilica, Giacomo il Minore e Filippo, assieme ad altri martiri. Le loro spoglie erano state ritrovate nel 1873 e sottoposte a ricognizione nel 1879. La cripta è un gioco di penombre, tra cappelle e ambulacri, colonne e statue, che pur nello spazio ristretto ricrea l’illusione di un labirinto circolare. Sembrerebbe di attraversare antiche necropoli paleocristiane, in realtà si tratta di imitazione dell’antico: i dipinti a tempera sono ispirati alle catacombe suburbane di San Callisto e di Domitilla.  

La Cappella Bessarione, una scoperta inaspettata


Di scoperta relativamente recente, avvenuta casualmente nel 1959, in un interstizio confinante con Palazzo Colonna, è la cappella di Bessarione, con affreschi attribuiti a Melozzo da Forlì e ad Antoniazzo Romano, con scene relative alle storie di San Michele Arcangelo. I contorni delle figure e dei paesaggi sembrano quasi incisi e riempiti di colori vividi, con un effetto fastoso, simile a quello delle maioliche rinascimentali.