A colloquio con il nunzio apostolico in Ucraina che ha trascorso la festa nella città in colpita dagli attacchi russi
Svitlana Dukhovych – Città del Vaticano
Eccellenza, Lei aveva trascorso Natale con la comunità cattolica di Kharkiv, una delle città più colpite dagli attacchi russi. Adesso per la Pasqua si è recato a Zaporizhzhia, un’altra città che viene bombardata quasi ogni giorno. È una coincidenza, oppure è una Sua scelta di celebrare le feste più significative con coloro che sono sotto il costante pericolo di vita?
Sì, è una scelta, una scelta che è importante già per me stesso perché per pregare durante queste feste così importanti come Natale e Pasqua, veramente io desidero pregare soprattutto con la gente che guarda la preghiera con l’anelito, con uno slancio di spirito proprio assoluto, perché non hanno un’altra possibilità, nessuno li salverà, tanto è forte il terrore della guerra. E so che anche per i cattolici di queste zone ravvicinate al fronte militare è significativo che si stia insieme a loro. Anche perché a Zaporizhzhia, a Kherson, ma anche a Kharkiv arrivano meno aiuti umanitari. Per esempio, qui sono molto attive anche le organizzazioni cattoliche che ricevono, tra l’altro, il supporto del Santo Padre stesso attraverso il suo Elemosiniere, il cardinale Krajewski. Quindi, per me è anche un modo per toccare con le mani come arriva questo aiuto, come viene distribuito. Ho potuto anche vedere la quantità di persone che ha bisogno di aiuto addirittura in una città come questa Zaporizhzhia, e ho visto negli occhi le persone che ricevono un pezzo di pane e qualcosa da accompagnare il pane: loro sono veramente grati perché non hanno nulla. E siccome molti di loro hanno perso il lavoro perché le fabbriche non funzionano a causa della guerra e quindi il numero di persone che hanno bisogno di questo aiuto cresce. Quindi è importante per me e penso che ancora più importante per i cattolici che vivono qui.
Come sono state le celebrazioni di Pasqua? Chi ha incontrato e come è l’atmosfera a Zaporizhzhia e, in particolare, tra i cattolici?
Ho incontrato anche la comunità greco-cattolica, però solo brevemente perché la Pasqua per loro arriverà più tardi, nel mese di maggio. Quindi ho dedicato più momenti di preghiera ai romano-cattolici e sono state celebrazioni molto vissute, molto raccolte perché appunto non c’è altro sostegno che possa servire. E quindi per loro Pasqua diventa ancora più importante rispetto alle terre dove c’è pace, perché nel tempo di guerra c’è grandissimo rischio di cadere nella disperazione umana, anche psicologica perché le brutalità, le difficoltà sono tante. Ci sono addirittura le incomprensioni perché, per esempio, ho incontrato anche i volontari da vari territori e dicono che nelle loro terre la comprensione a volte non è corretta, è veicolata dalla propaganda. E arrivano qui e trovano una realtà diversa, molto più toccante, molto più vissuta e poi vogliono tornarci in Ucraina perché vedono che la propaganda politica a volte proprio dimentica queste necessità, si concentra sulle cose minime che non si vedono e non vedono le cose più importanti. E sono rimasto molto soddisfatto del modo in cui abbiamo potuto pregare insieme: in un modo in cui veramente desideriamo che sia il Signore la nostra luce, che in tutto sia Lui la nostra Resurrezione, sia Lui la nostra pace.
Volevo chiederLe se c’è stato qualche passaggio nelle celebrazioni pasquali che Le è sembrato più appropriato per la situazione attuale che vivono le persone lì?
Per me personalmente è stato molto toccante il momento iniziale della Veglia Pasquale e siccome il rito inizia con le luci spente. Questo buio veramente rievoca la guerra e quindi rimane una sola luce accesa – il cero pasquale, Gesù che risplende nelle tenebre. Per me è stato questo il momento veramente toccante, perché esso rende evidente che la guerra è stata inventata dagli uomini che osano, adducono vari motivi per attaccare gli altri, senza chiedere al Signore che è il Creatore. Però comunque rimane la luce di Cristo accesa in mezzo a noi.
Non passa un giorno senza che non ci siano attacchi sulle città e villaggi ucraini, questo provoca sia la morte delle persone, sia la distruzione delle infrastrutture. Per non parlare delle perdite di vite al fronte. La morte grava sul Paese. In questa situazione quale senso hanno le parole: “Cristo è risorto”?
Queste parole sulla resurrezione di Gesù hanno un senso molto importante, direi molto più importante che non nelle terre di pace anche perché la vita prima o poi terminerà a causa della guerra o non della guerra e rimane, anche in mezzo alla guerra, questa luce che nessuno può spegnere, che nessuno è capace di togliercela. Quindi è proprio Gesù questa nostra certezza, il fondamento, anche la nostra speranza, perché le altre speranze praticamente non ci sono. Quindi è il senso fondamentale e si capisce con molta chiarezza nelle terre di guerra come questa. Per esempio, molto vicino alla cattedrale romano-cattolica di Zaporizhzhia è seppellito un signore che io conoscevo: l’avvocato Denys Tarasov che addirittura faceva parte del comitato tecnico dell’iniziativa del Santo Padre “Il Papa per l’Ucraina”. Quindi prima dell’attacco russo [ndr. su larga scala], lui si occupava delle questioni umanitarie, poi la guerra lo ha costretto a difendere il proprio paese e lui ha perso la vita. Quindi prima lo conoscevo da vivo, adesso conosco la sua tomba e altre persone così… Però anche quando si perde la vita in modo ingiusto, così aggressivo, rimane la resurrezione, quindi è un fondamento ancora più toccante proprio nell’epoca di guerra.
Papa Francesco durante il suo messaggio Urbi et Orbi ha fatto un appello di uno scambio generale di tutti i prigionieri tra Russia e Ucraina: tutti per tutti. Lei personalmente si impegna molto per la causa dello scambio di prigionieri. Secondo Lei, che significato ha questo appello del Santo Padre?
Abbiamo ascoltato questo appello del Santo Padre con molta non posso dire soddisfazione, perché soddisfazione arriverà se ci sarà un effetto, ma con molta attenzione e veramente in unione spirituale, perché anche qui per me stare nella terra di Zaporizhzhia significa anche stare nella terra dove siamo più vicini alle vite di tanti prigionieri. Per me sarebbe una Pasqua ancora più grande se io potessi andare a visitare i prigionieri. E quando il Papa fa l’appello perché ci sia uno scambio totale di tutti i prigionieri, questo non è un semplice appello, ma è un appello che riguarda tante vite, diverse migliaia di persone le quali non soltanto non hanno la possibilità di celebrare la Pasqua, compresi i due sacerdoti greco-cattolici che qui sono stati prelevati da Berdiansk che non è tanto lontano da Zaporizhzhia, perché è la stessa regione. Quindi il mio pensiero qui è ancora più intenso con loro e per loro: per questi sacerdoti non c’è neanche possibilità di celebrare Pasqua. Quindi è un appello veramente molto umanitario con cui il Papa si rivolge a tutti i credenti e non credenti, è anche l’appello per pregare perché il Signore apra i cuori di coloro che sono responsabili politici per veicolare davvero questi scambi di prigionieri. Qui aggiungerei anche le parole che il Santo Padre ha detto durante la Via Crucis del Venerdì Santo diceva che stando nelle terre lontane dalla guerra, a volte c’è il rischio di non piangere insieme a Gesù e pensare alla guerra da lontano. E proprio questo appello, espresso dal Santo Padre oggi, nel giorno di Pasqua, è un modo di essere vicini, veramente interessarsi concretamente di chi soffre di più e chi soffre di più sono loro: i prigionieri, i feriti e chi perde la vita in questa terribile guerra.
Eccellenza, Lei ha detto che per Lei sarebbe una Pasqua ancora più grande se potesse andare a visitare i prigionieri. Cosa voleva dire?
Certamente, il mio desiderio più grande rimane quello di poter visitare personalmente i prigionieri, quelli che non posso visitare. Qui in Ucraina io riesco a visitare, sono infatti riuscito a visitare i prigionieri russi che qui vengono detenuti. Invece, io so che il mio collega in Russia non riesce a visitare i prigionieri ucraini e nessuno dei rappresentanti della Chiesa riesce a visitarli, neanche fare visita ai sacerdoti greco-cattolici. Questo per me è un peso molto forte: sapere che le persone stanno nelle condizioni così difficili e anche il comandamento di Gesù – vai e visita tuo fratello che sta in prigione – proprio non è possibile adempierlo. E poi in quali condizioni rimangono loro? Tanti ex prigionieri liberati, scambiati mi hanno raccontato che questa è la fatica più grande: perdere la fiducia, perdere la speranza, la fede. Quindi so che per loro la fede è quasi l’unica cosa che rimane, però si vorrebbe anche toccare questa fede, incoraggiare, perché altrimenti la loro sofferenza rimane immane e invece non c’è questa possibilità di visitarli.