Gabriella Ceraso – Città del Vaticano
Andare in Ucraina nelle zone di guerra per portare aiuti alla gente e far sentire la vicinanza del Papa e di tutta la Chiesa: questa la missione che il cardinale Konrad Krajewski, prefetto del Dicastero per il Servizio della Carità, inviato del Pontefice, sta proseguendo per la quarta volta in terra ucraina seguendo tappe diverse fino al cuore del conflitto. Prima Odessa poi Zaporizhia, con l’intenzione di raggiunge Kharkiv.
Un giorno particolare
Oggi ci parla da Zaporizhia, in un giorno che non è come gli altri. “Oggi è un giorno particolare – dice – perché sono nove anni da quando il Santo Padre mi ha scelto come Elemosiniere e da quando sono stato ordinato vescovo”. Era infatti il 17 settembre 2013 quando ha ricevuto la consacrazione episcopale in una Messa celebrata presso l’Altare della Cattedra nella Basilica Vaticana, alla presenza di Papa Francesco. E proprio in questo 17 settembre, forte del mandato del Papa che lo ha inviato perché sia vicino e di aiuto concreto ai bisogni della gente che sta vivendo la tragedia assurda della guerra, insieme a due vescovi, uno cattolico e uno protestante, e accompagnato da un soldato, ha caricato il suo pulmino di viveri e si è inoltrato dove “oltre ai soldati non entra più nessuno” perché i colpi si fanno più fitti. È proprio lì che la gente ha più bisogno e aspetta una mano amica, aiuti e viveri.
La sparatoria
Così hanno incontrato le persone e hanno scaricato i viveri, ma alla seconda delle tappe previste è accaduto che il gruppo è stato raggiunto da colpi d’armi da fuoco e il cardinale, insieme agli altri, si è dovuto mettere in salvo: “Per la prima volta nella mia vita non sapevo dove fuggire … perché non basta correre, bisogna sapere dove”.
La consegna degli aiuti
Tutto alla fine è andato bene e gli aiuti sono stati consegnati fino all’ultimo, anche i rosari benedetti dal Papa: chi li riceveva subito li metteva intorno al collo. Un giorno particolare, in questo anniversario della sua consacrazione episcopale: un giorno di guerra che il cardinale definisce “senza pietà”, per la quale, come già nella sua ultima missione durante il Triduo pasquale aveva detto “mancano le lacrime e mancano le parole”. Oggi, ribadisce, “si può solo pregare” e ripetere: “Gesù confido in te!”.