Benedetta Capelli – Città del Vaticano
È un altro Venerdì santo. Papa Francesco, ieri all’Angelus, parlando della morte di Edwin, il senzatetto nigeriano ucciso dal freddo in strada, aveva ricordato quanto diceva San Gregorio Magno, che in “quel giorno non si sarebbero celebrate Messe” proprio perché, dinanzi alla morte di un povero, era “come il Venerdì santo”.
Oggi la comunità di tanti fratelli e sorelle che nasce in strada piange “Robertino”, cosi lo chiamavano. Fortunatamente non è morto per freddo e fortunatamente, negli ultimi tempi, aveva ascoltato la voce dei volontari e dopo tante polmoniti, si era trasferito al dormitorio di Binario 95 alla Stazione Termini. Qui si è spenta la sua vita, al caldo e non nell’indifferenza, la malattia che più uccide.
Una porta chiusa
A salutarlo stamani nella parrocchia San Pio X, nel quartiere romano della Balduina, c’erano le persone che gli sono state accanto dalla Comunità di Sant’Egidio, ai volontari di Natale 365, agli ispettori di polizia che proprio nella Piazza della Città Leonina hanno il loro ufficio. Ha presieduto il funerale il cardinale Konrad Krajewski, elemosiniere del Papa, concelebrando con il cardinale George Pell, monsignor Arthur Roche, segretario della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti e una decina di sacerdoti.
Il cardinale Krajewski ha scelto personalmente il brano del Vangelo di Luca, nel quale Gesù racconta la parabola di Lazzaro e del ricco Epulone, perchè “Roberto dormiva dempre davanti ad una porta chiusa”.
I calci al pallone
“Era una persona allegra, solare, nei pranzi che facevamo faceva ridere tutti”, racconta il cardinale Krajewski. Per questo, spiega, “era coccolato” da chi lo conosceva. Alcuni, in passato, gli avevano pagato anche una stanza in qualche bed and breakfast della zona intorno al Vaticano per passare la notte e per ringraziarlo così della sua spontaneità. Si faceva voler bene, “donava – fanno sapere dalla Comunità di Sant’Egidio – le maglie di alcune squadre di calcio che teneva nella sua valigia”. Il calcio, quello sì, era la sua passione.
Originario di Oppeano, paese del veronese nel quale sarà sepolto accanto ai genitori, aveva avuto un passato nell’Hellas Verona ma un infortunio gli aveva impedito di proseguire la carriera. Nell’esistenza di Robertino non sono mancati momenti difficili. Vivere in strada non è una scelta, “a volte – raccontano i volontari – era triste e si arrabbiava”. Oggi sarebbe felice di sapere che in tanti hanno voluto salutarlo, nonostante le restrizioni anti – Covid. Sarebbe felice di sapere che non è stato considerato “uno scarto”, ma una persona con la sua dignità, la sua bellezza e l’amore che anche un cuore graffiato dalla vita può generare.