Marco Guerra – Città del Vaticano
Lunedi 5 settembre è il giorno della visita da parte della premier serba Ana Brnabic al settore nord del Kosovo a maggioranza serba di Kosovska Mitrovica, gli altri comuni di Zvecan e Leposavic abitati sempre dalla comunità serba, e il monastero serbo ortodosso di Banjska, nel territorio di Zvecan. Alla delegazione serba si unisce anche Petar Petkovic, capo dell’Ufficio governativo serbo per il Kosovo, al quale più volte negli ultimi mesi la dirigenza di Pristina ha negato l’ingresso nel Paese.
In vigore nuove norme sui documenti
La visita è stata autorizzata dalle autorità di Pristina e arriva dopo le recenti tensioni con Belgrado, dovute alla nuova normativa kosovara sulle carte e le targhe dei cittadini della comunità serba in Kosovo. In pratica da giovedì 1 settembre in Kosovo sono entrate in vigore le nuove norme in fatto di documenti di identità e targhe automobilistiche per i serbi del Kosovo. Sui documenti è stato raggiunto un accordo tra Pristina e Belgrado con la mediazione di Ue e Usa, sulle targhe invece non vi è ancora nessuna intesa, con serbi locali e Belgrado che si oppongono all’obbligo di cambiare le targhe serbe con quelle del Kosovo. Per tale sostituzione i serbi hanno due mesi di tempo, fino al 31 ottobre.
Le tensioni di luglio
Sulla questione dei documenti l’accordo dei giorni scorsi prevede che serbi e kosovari possono circolare liberamente e attraversare la frontiera con le proprie carte di identità, senza dover presentare ulteriori autorizzazioni o permessi. Le autorità di Belgrado tuttavia hanno precisato, anche tramite appositi cartelli alla frontiera, che questo non significa un riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo. Intanto il premier kosovaro, Albin Kurti, in un video postato su Facebook in lingua serba ha ribadito l’appello ai serbi del Kosovo a procedere al cambio delle loro targhe con quelle kosovari recanti il simbolo RKS (Repubblica del Kosovo). Al momento la situazione rimane sotto controllo e non si sono registrate proteste né incidenti, come avvenuto a fine luglio quando i serbi attuarono blocchi stradali e barricate, cosa questa che indusse Pristina, su pressione di Ue e Usa, a rinviare di un mese l’entrata in vigore della norma sulle targhe.
Ungaro: rapporti attualmente in stallo
“Questa visita avviene nella cornice dei negoziati che si trascinano dal 2013 e i rapporti in questo momento sono in una fase di stallo, inoltre la guerra in Ucraina ha riportato i riflettori anche sull’area balcanica, perché la Serbia ha condannato l’aggressione di Mosca all’Ucraina ma si è opposta alle sanzioni contro la Russia. Belgrado è candidata ad entrare nell’Ue ma ha storici rapporti politici e colturali con Mosca e non ha intenzione nella Nato”, così Mauro Ungaro, direttore della Voce Isontina e giornalista esperto di Balcani, commenta il contesto dei rapporti tra Serbia e Kosovo, sullo sfondo della situazione geopolitica attuale.
Le questioni irrisolte
Ungaro ricorda poi che nel nord del Kosovo ci sono 50mila serbi e che le targhe e i documenti sono una questione di identità sentita dalle due comunità. “La questione delle targhe si trascina da anni è interessante che nei giorni scorsi il premier albanese Rama sia intervenuto per criticare la rigidità di Pristina, auspicando – spiega – che si giunca ad una mediazione come quella che si è trovata sui documenti di identità. Ci sono 60 giorni di tempo speriamo che le diplomazie trovino una quadra”. Secondo Ungaro, i due grandi nodi irrisolti sono lo status dei serbi in Kosovo e il riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo da parte di Belgrado, su questi due aspetti “le parti si parlano ma la soluzione dei problemi rimane in un limbo”, un limbo che dipende anche dalle diplomazie internazionale di “Stati Uniti, Unione Europea ma anche Russia e Cina”.