Chiesa Cattolica – Italiana

Kiev, un salesiano sotto le bombe: ”La Chiesa è vicina a chi soffre”

Federico Piana-Città del Vaticano

Dopo due giorni interi di coprifuoco- sabato e domenica scorsi- don Maksym Ryabukha, direttore della casa salesiana Maria Ausiliatrice situata alla periferia est di Kiev, questa mattina è uscito presto. Nelle vie della capitale ucraina, rese spettrali dalla furia dei bombardamenti, ha incontrato centinaia di persone che si sono riversate in strada con la speranza di poter portare a casa un tozzo di pane, un po’ di latte, qualche bottiglia d’acqua: il necessario per sopravvivere rintanati nei sotterranei, nei bunker eredità della guerra fredda, nei parcheggi interrati riadattati a nascondigli di fortuna.

Cibo ed acqua difficili da trovare

“Ho visto file lunghissime di gente che tenta di fare rifornimento di qualsiasi genere, perché non si sa cosa accadrà nelle prossime ore” riporta ai media vaticani don Ryabukha. “Si deve fare presto: alle 22 di questa sera non si potrà di nuovo circolare e domani mattina alle 7, quando si potrà tornare ad uscire, non è detto che si trovi ancora qualcosa da mangiare” spiega, preoccupato, il sacerdote.

Ascolta l’intervista a don Maksym Ryabukha,

Bombardamenti senza fine

La notte scorsa non ha fatto eccezione: il bombardamento su Kiev è continuato, martellante. “Anche se – dice don Ryabukha – è stato meno intenso delle altre volte. Alle 2.45, nel centro del capoluogo regionale di Chernihiv, è stato colpito un grattacielo di case popolari, fortunatamente non ci sono state vittime. Le situazioni più difficili, ora, sono in tre zone di Kiev: nei piccoli paesi a nord-ovest, nella parte sud e nella cittadina di  Kharkiv. Comunque, ormai, la gente si è abituata a dormire sempre nei rifugi”. 

L’Eucarestia in un bunker

La storia di un sacerdote che, nella città di Vyšhorod, a meno di 20 km da Kiev, celebra le messe in un bunker alla luce di una lampadina, è il segno tangibile, emblematico, che la Chiesa greco-cattolica non ha abbandonato i suoi fedeli e la popolazione. Ed è diventato anche simbolo di speranza. “Questo prete – racconta don Ryabukha- anche domenica scorsa si è riunito sotto la sua casa con un po’ di persone e ha celebrato l’Eucaristia, nonostante infuriasse la battaglia”.

Mai cancellata una celebrazione

Da quando è iniziata questa guerra, ricorda il salesiano, “non abbiamo mai smesso di celebrare le messe. Le trasmettiamo anche online, tramite i social. Ma non abbiamo mai smesso neanche di andare a fare visita alle famiglie, di stare accanto ai profughi. Ogni sacerdote, nelle proprie parrocchie, cerca di gestire, come può, l’aiuto concreto alle persone”.

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