Chiesa Cattolica – Italiana

Karram: vedo segni di speranza in un mondo sofferente

Su L’Osservatore Romano lungo colloquio con la presidente del Movimento dei Focolari: nonostante i drammi attuali mi danno fiducia la gente semplice, che compie gesti di pace ogni giorno, e i giovani come quelli della Gmg, che hanno entusiasmo e profondità

di Roberto Cetera e Beatrice Guarrera

«Fraternità, pace e unità: “sono tre parole tremendamente attuali. Oggi non è più l’epoca dei soli diritti individuali, né dei diritti sociali per una categoria: la nostra è l’epoca dei diritti e dei doveri dei popoli e dell’umanità”. Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari, pronunciava queste parole vent’anni fa e rileggendo oggi questo suo discorso non posso non commuovermi». A parlare è Margaret Karram, dal 2021 presidente del Movimento dei Focolari, diffuso in 182 paesi del mondo. Dalla sede operativa del Movimento, situata a Rocca di Papa, a pochi chilometri da Roma, la presidente si prende del tempo per riflettere con «L’Osservatore Romano» sul cammino della Chiesa in questo tempo e sul momento difficile che il mondo, dilaniato dai conflitti, sta attraversando. «Chiara — continua Karram — già allora ci indicava che per suscitare la fraternità bisogna vivere “un’unità, sempre nella diversità, nella libertà, costruita da persone e da popoli che siano veramente se stessi, portatori di una propria identità e di una propria cultura aperte e dialoganti con le altre”. Sono convinta che solo vivendo così possiamo costruire un mondo di pace. La pace», afferma, «è una realtà che tutti desideriamo ma, se guardo al mondo oggi, mi dico: “Che catastrofe!”. I conflitti in Ucraina, in Siria, in Terra Santa e in altri paesi dell’Africa e dell’Asia per me sono la sofferenza più grande».

«Io stessa ho vissuto in paesi in conflitto», racconta Karram, di famiglia araba palestinese con cittadinanza israeliana. Proviene, infatti, dal nord della Terra Santa e discende da quella popolazione palestinese che, dopo la proclamazione dello Stato d’Israele, non ha dovuto lasciare il territorio israeliano ma è stata integrata. Nel processo di crescita e ricerca della propria identità, Karram spiega che un ruolo importante lo ha giocato anche il Movimento dei Focolari, insieme alla formazione profondamente cristiana ricevuta in famiglia: «Oggi posso dire che la mia vera identità è essere cristiana. La mia patria spero che sia il Cielo e capire questo mi ha dato una libertà tale che non si può spiegare. Certo, soffro e piango per il mio popolo, specialmente in questo tempo», rivela con commozione. «La mia identità più vera è essere ciò che sono e compiere quella chiamata di Gesù di vivere per l’amore nel mondo, di vivere il Vangelo, che ci porta a voler costruire un mondo diverso. Ho tanti amici ebrei, israeliani come pure palestinesi. Cerco di non schierarmi da una parte e dall’altra».

Fra i tanti momenti di vita personale legati alla Terra Santa, Margaret ricorda bene che, quando vennero firmati gli accordi di Oslo tra israeliani e palestinesi, si trovava a Gerusalemme: «Ricordo le lacrime di gioia di quei giorni. Sembrava che finalmente la pace avesse trovato una strada, ma poi la situazione è cambiata. L’odio, gli interessi, l’ignoranza e la mancanza di incontro fra le persone hanno costruito tanti muri dentro i cuori, difficili da abbattere. Nonostante l’orrore che è davanti agli occhi del mondo in questi giorni, voglio credere ancora che sia possibile che i due popoli possano vivere insieme, nella libertà di entrambi. Da quando ero piccola, sognavo che nel mio paese si potesse vivere in armonia e in pace; volevo impegnarmi nel mondo civile per contribuire concretamente affinché ciò avvenisse. Poi ho conosciuto il Movimento dei Focolari e sono rimasta attirata dalla chiamata a spendere tutta la mia vita per costruire ponti di unità, soprattutto fra le tre religioni monoteistiche. Nel concreto sono tante le strade che abbiamo percorso e a cui anch’io ho partecipato attivamente; una di queste riguarda le numerose iniziative per educare le persone alla pace, fin dalla più giovane età. Non è un cammino facile ma il cambiamento avviene proprio quando nasce una mentalità nuova, dove ci si riconosce fratelli e sorelle».

«Il mondo non ha trovato ancora la soluzione per questo male della guerra», afferma Karram. «Migranti, povertà, cambiamento climatico, guerre: il mondo di oggi non è meglio di prima. Davanti a tutte queste sfide guardo alla Chiesa e vedo le tante domande dell’umanità, le risposte che mancano. Anche noi come movimento ecclesiale non siamo esenti dagli stessi problemi che la Chiesa vive. Un esempio è il calo di vocazioni che anche noi stiamo affrontando e che ci sta portando a fare un lavoro di attualizzazione della formazione delle nuove generazioni, e questo è senz’altro un bene. Poi, con immenso dolore per il male che le vittime hanno subito, stiamo affrontando la piaga degli abusi sessuali sui minori e di autorità che ha colpito anche il nostro movimento. Stiamo mettendo in atto corsi di formazione alla tutela integrale della persona per tutti i membri del movimento, per chi ha ruoli di responsabilità, percorsi di accompagnamento alle vittime. Insomma, il lavoro da fare nella Chiesa e nelle sue membra è tanto».

Un altro aspetto fondamentale, in questi tempi difficili, secondo Margaret Karram, è quello di «guardare alla dignità di ogni persona, a cosa vuol dire essere famiglia: ne parliamo molto ma poi spesso cediamo a uno stile di vita individualista. Come nelle guerre. Ognuno vuole per sé tutto, non guarda al bene dell’altro. Ma se non ci si rispetta, niente cambierà. Guardo il mondo e mi viene spesso da scoraggiarmi», confessa. «Da cristiana praticante mi chiedo: “Il mondo cambierà? C’è speranza?”. Trovo questa forza nel rapporto con Gesù, nella preghiera che mi dà il coraggio di andare avanti e continuare a chiedere a Dio di aumentare la mia fede. Ma la preghiera da sola non basta. Sperimento allora che, nella quotidiana difficoltà di vivere, c’è bisogno di agire e vedo che c’è speranza che un cambiamento avvenga». La presidente del Movimento dei Focolari sostiene che «il mondo e la Chiesa stanno andando avanti, verso qualcosa di molto positivo», come sperimentato nella recente partecipazione, in qualità di invitata speciale, al Sinodo dei vescovi in Vaticano. «L’esperienza recente del Sinodo — afferma Karram — mi ha caricato di nuova forza. Ho fatto esperienza di una Chiesa nuova, una Chiesa in cammino e in ascolto profondo di ciò che sta accadendo nel mondo. La sinodalità vissuta per un mese intero mi ha aperto nuovi orizzonti di come un mondo che appare indifferente, catastrofico, possa imparare a stare in silenzio, imparare ad ascoltare, lasciarsi interpellare non dalle affermazioni personali ma dal dono che ogni persona porta in sé, sia esso un cardinale, un presbitero, un uomo o una donna. Le diversità di cultura, di lingua, di stato sociale, non erano un ostacolo, anzi! Ho imparato quanto tutto ciò possa trasformarci».

Oggi, anche nella società, si sente molto di più la necessità di connettersi: «Da soli», osserva, «non ce la facciamo ad affrontare le criticità che viviamo ogni giorno; non ce la facciamo come singoli e spesso neppure come popoli. Basti guardare ai conflitti in corso: senza un intervento internazionale che si adoperi per evitare a tutti i costi l’allargamento dei combattimenti, non si trova la strada per una pace giusta, condivisa e rispettosa dei diritti universali della persona. Eppure, per quanto orrore ci circondi ora, sento che non posso disperare perché ci sono segni di speranza. Io li vedo: è la gente semplice che compie gesti di pace nel quotidiano a darmi speranza e poi i giovani. Loro sono una grandissima speranza! Come quelli che ho visto alla Giornata mondiale della gioventù a Lisbona». Era la prima volta a una Gmg per Margaret Karram: «Al di là dei grandi numeri dei partecipanti, ho visto questi giovani che vivono nel mondo di oggi, forse peggiore di quello che ho vissuto io. Eppure, ho visto il loro grande e contagioso entusiasmo, non solo per il fatto di essere insieme ad altri giovani. Ho visto la loro sete, ho toccato la loro profondità d’animo; una sete dell’infinito che definirei divina. Pensavo, invece, che i giovani fossero indifferenti a tutto. Mentre parlavo loro in due diverse catechesi – c’erano 7000 persone sedute sotto il sole – mi è rimasto impresso anche il silenzio. Come è successo anche durante la messa con il Papa e la straordinaria e indimenticabile Via Crucis. Ma soprattutto sono rimasta stupefatta nel vedere con quanta serietà e fede hanno vissuto l’adorazione eucaristica. Tutto ciò mi fa sperare, perché i giovani di oggi sono anche il futuro se noi li sosteniamo».

Quello dei giovani è un tema molto caro al Movimento dei Focolari. Racconta Karram: «La mia esperienza è che, più che parlare ai giovani, dobbiamo offrire a loro la nostra testimonianza. Noi li catechizziamo in diversi modi ma poi loro si sentono profondamente soli. Hanno bisogno di vicinanza, di persone che testimonino la fede con la vita, che siano coerenti con il Vangelo. Questa è la conversione che sento di dover fare nei confronti dei giovani, come persona adulta. Credo che, oltre a essere formati teologicamente, i giovani abbiano bisogno di tanta vicinanza e di tanto ascolto. Hanno una formazione tecnologica diversa dalla nostra, sono molto più veloci. Che cosa possiamo fare perché possano dare il loro massimo?», si chiede la presidente dei Focolari. La risposta è nella testimonianza: «Il tema che vogliamo approfondire quest’anno nel Movimento è proprio quello dell’annuncio. Il titolo che ho dato è Chiamati e inviati, perché non dobbiamo solo riempire, “innaffiare” l’altro, ma far sì che si sviluppi, in tutti i suoi talenti. Questo, però, è possibile solo se trova davanti a sé una persona che l’accoglie. Non siamo abituati ad ascoltare. Lo dico per me stessa: qual è il mio ascolto profondo? Salomone nella Bibbia non chiede a Dio la sapienza. In ebraico dice “Lev Shomea”, “un cuore che ascolta”. Non so: noi ascoltiamo con le orecchie o con il cuore? Dobbiamo trovare un nuovo linguaggio, cambiare il nostro modo di predicare, senza annacquare Dio e il suo messaggio. I giovani vogliono sentir parlare di Dio, ma dipende da come lo facciamo. Dobbiamo parlare di esperienze vitali, difficoltà personali e come ciascuno le vive».

Secondo Margaret, il linguaggio dell’annuncio va adattato ai giovani, ma anche “inculturato”, a seconda dei popoli con cui ci si confronta: «Questo riguarda anche il Movimento dei Focolari. È vero: è nato da Chiara Lubich, italiana, ma è arrivato fino ai confini della terra, in tante culture. Ancora troviamo difficoltà a comprenderci nel profondo, a cogliere il vero significato nei nostri discorsi, perché il carisma di Chiara è nato in Europa.  Me ne sono resa conto ultimamente, perché sono stata in Asia: Corea, Giappone, Isole Fiji, Australia, Indonesia. Lì ho visto come la Chiesa si è inculturata: anche la struttura stessa degli edifici, delle chiese, è diversa. In Indonesia, per esempio, erano a forma di tende. Sono entrata in una chiesa che era tutta aperta, senza muri intorno, e nel cortile c’era un tempietto con una statua che sembrava buddista. Il sacerdote ci ha spiegato invece che era il sacro cuore di Gesù: si salivano alcuni scalini per entrare in un piccolo locale con la statua di un uomo con la barba e con il cuore visibile. Era Gesù. Anche la Madonna aveva fattezze indonesiane». Dallo stupore della diversità bisogna però passare a porsi delle domande: «Dobbiamo chiederci — osserva Karram — come è possibile inculturare l’annuncio in quel popolo, in quella cultura. Un altro esempio, sempre durante lo stesso viaggio, lo abbiamo trovato alle isole Fiji. Alcuni uomini sono venuti ad accoglierci e abbiamo partecipato a un rito di benvenuto. Ci hanno chiesto di bere una bevanda, a base della radice di pepe, mentre un “araldo”, cioè un uomo della comunità locale che ci rappresentava, parlava a nome nostro al capo della tribù che ci ha accolto. È stato bellissimo. Questo rito, poi, è stato ripetuto anche alla nostra partenza, per consentirci di ripartire da quella comunità di cui ormai facevamo parte e augurarci un viaggio sereno e sicuro. Pensavo: chissà come Dio è felice nel vedere le mille sfumature dell’espressione della fede, la gioia di appartenere a una comunità. A volte nei nostri movimenti ecclesiali non valorizziamo o addirittura non teniamo conto delle nostre caratteristiche umane, perché è diverso e non siamo abituati. Durante il nostro viaggio invece ci hanno raccontato delle storie bellissime, di perdono per i nemici, di riconciliazione, di fratellanza in nome del Vangelo. Sono tornata rafforzata nella fede».

Sono moltissimi, inoltre, gli sforzi del Movimento dei Focolari per crescere nel dialogo e nel rispetto fra tutti, insieme ad altre organizzazioni anche di altre religioni. «Anche nella mia terra — spiega Karram — il Movimento ha organizzato incontri tra ragazzi israeliani e palestinesi che a Gerusalemme non parlano neppure la stessa lingua. Durante questi incontri sono nate amicizie tra le ragazze ebree e quelle palestinesi e dunque, forse, abbiamo educato i giovani a fare esperienza che la guerra non è l’unica soluzione».

La convivenza con membri di altre fedi, sperimentata da Margaret Karram quando era bambina, è stata dunque un banco di prova per riuscire ad accogliere la parte più “interreligiosa” del carisma della fondatrice del Movimento dei Focolari, Chiara Lubich. «Il carisma che Chiara ha ricevuto non riguarda soltanto la Chiesa cattolica», sottolinea Margaret: «Il Movimento, infatti, lavora molto nell’ecumenismo e nel rapporto con le altre religioni. Quando nel 1977 Chiara vinse il Premio Templeton, i membri delle altre religioni andarono a congratularsi per la sua testimonianza di fede. Così, dopo il 1977, ha capito che doveva aprire la prima casa del focolare a Gerusalemme, per tessere un dialogo con ebrei e con musulmani. In Algeria abbiamo membri del Movimento che sono musulmani. Non vogliono convertirsi al cristianesimo, ma seguono la loro fede. Ci sono anche buddisti che vivono la loro religione ma si sentono in sintonia con noi, per costruire una società più fraterna, per lavorare per la pace. Abbiamo anche portato avanti dei simposi religiosi a Roma, a cui molti hanno partecipato».

Per il futuro, l’impegno è quello di favorire sempre più l’incontro tra religioni, tra popoli, tra individui, perché, conclude Karram, «quando ci incontriamo scopriamo che siamo tutti umani, siamo tutti necessari per l’altro».

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