Su L’Osservatore Romano il ricordo del teologo evangelico di Amburgo scomparso lunedì scorso all’età di 98 anni, un punto di riferimento nel cammino della Chiesa nell’affrontare le sfide contemporanee
di Riccardo Burigana
Poche settimane dopo aver compiuto il suo 98° compleanno il teologo Jürgen Moltmann ha lasciato questo mondo, che ha arricchito, in modo significativo e unico, con la sua riflessione e con la sua testimonianza, seminando, in tanti uomini e donne, non solo cristiani, la speranza gioiosa nella luce di Cristo per riformare la Chiesa e cambiare il mondo.
Nato ad Amburgo nel 1926, Moltmann venne drammaticamente coinvolto nella Seconda guerra mondiale tanto da essere arruolato nel 1943 a 16 anni; per lui la guerra finì quando si arrese, nel 1945, al primo soldato britannico che incontrò al fronte dove era stato spedito nelle ultime settimane del conflitto. Iniziò così per Moltmann il tempo della prigionia: spostato da campo a campo, dal Belgio in Inghilterra dove ebbe modo di cominciare a conoscere le efferatezze della dittatura nazista, finì in un campo, vicino a Nottingham, dove, anche per la presenza dell’associazione ecumenica internazionale di giovani cristiani, scoprì le ricchezze della riflessione teologica, come era solito ricordare. Il suo ritorno ad Amburgo, dove erano evidenti, più che altrove, le distruzioni morali e materiali della guerra, spinse Moltmann sulla strada di un impegno diretto nella vita della Chiesa nella convinzione che questo fosse necessario per ricostruire la speranza per coloro che erano «sopravvissuti» tanto che, dopo l’esperienza dell’incontro ecumenico a Swanwick, in Inghilterra (il primo dopo la guerra al quale vennero invitati anche dei giovani tedeschi come segno concreto di riconciliazione) decise di iscriversi all’università di Gottinga dove era viva l’eredità di Karl Barth e della Chiesa Confessante che si era opposta al nazismo. Conclusi gli studi, nel 1952, con il dottorato, dopo una esperienza pastorale, nel 1958 iniziò la sua carriera accademica, che lo portò a insegnare prima all’università di Bonn (1963) e poi a Tubinga (1967) dove gli studenti hanno avuto modo di ascoltare le sue coinvolgenti e appassionate lezioni fino al 1994.
Negli anni del Vaticano ii maturò in lui l’idea di un ripensamento della teologia che lo condusse alla redazione della Teologia della Speranza, uscito nel 1964, «per restituire alla cristianità la sua speranza autentica per il mondo»; fin da questa opera per Moltmann la speranza della fede cristiana è la speranza nella resurrezione di Cristo crocifisso tanto che fede e speranza devono essere vissute e declinate insieme proprio non tanto per consolare quanto per definire un impegno concreto e quotidiano per rendere la Chiesa e il mondo evangelici. Teologia della speranza: questo libro, tradotto in numerose lingue (in Italia venne pubblicato nel 1970) ha così profondamente segnato il dibattito teologico, aprendo prospettive completamente nuove non solo nella Chiesa tanto che, nella Germania Est, il volume venne proibito proprio per la valenza sociale che aveva, anche se altrove venne accusato di essere il manifesto di una teologia cripto-marxista. Il successo di questo volume fece di Moltmann un personaggio pubblico che cominciò a spendersi, oltre i confini della Germania, per una riforma della Chiesa, radicata sulla riconciliazione con Dio, spesso accompagnato da sua moglie Elisabeth Moltmann-Wendel, teologa impegnata in prima persona nel ripensamento del ruolo della donna nella Chiesa, scomparsa nel 2016.
Negli anni, senza mai abbandonare ricerca e produzione scientifica, Moltmann è diventato un punto di riferimento nel cammino della Chiesa nell’affrontare le sfide contemporanee, con un pensiero sempre originale, alimentato da un costante confronto con la Parola di Dio e il patrimonio teologico, tanto da ricevere apprezzamenti e riconoscimento in ogni parte dal mondo, con il conferimento di dottorati honoris causa dagli Stati Uniti al Nicaragua, dal Sud Africa a Taiwan. L’impegno per il superamento delle divisioni tra i cristiani ha costituito un elemento centrale non solo nella sua produzione teologica ma nella sua stessa vita, come testimoniano gli scritti e i gesti con i quali ha voluto favorire riconciliazione e comunione; tra i molti incarichi, che è stato chiamato a ricoprire, particolarmente significativa è stata la sua partecipazione alla Commissione Fede e Costituzione del Consiglio Ecumenico delle Chiese, della quale è stato membro per 20 anni, dal 1963 al 1983. Nella Commissione ha offerto un contributo, soprattutto nella lunga stagione che ha condotto alla redazione del documento Battesimo, Eucaristia e Ministero, per l’individuazione dei temi con i quali promuovere una teologia per l’unità in grado di alimentare e sostenere il cammino ecumenico con una rilettura critica della pluralità delle tradizioni cristiane, con una valenza che andava oltre i confini confessionali: in questa prospettiva vanno letti i suoi più recenti interventi sulla cura del creato con i quali ha voluto indicare un campo privilegiato della testimonianza ecumenica per la salvezza del mondo e l’unità del genere umano. Le sue parole sulla Chiesa Una, nelle quali era costante il richiamo al fondamento trinitario, così come era stato definito a partire dal iv secolo, costituiscono un’eredità tanto feconda quanto attuale mentre i cristiani si avviano a celebrare il 1700° anniversario del Concilio di Nicea per vivere, insieme, la speranza che non muore.