Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
Tra gli italiani, la “fede dubbiosa” in Dio, in meno di 10 anni, ha superato quella certa, ma cresce il peso di “valori significativi” come famiglia, rispetto, giustizia, solidarietà, accoglienza, condivisione, lavoro, amicizia, sport ed onestà. La religiosità perde l’elemento di partecipazione alla Messa domenicale (-9 per cento dal 1995 al 2020, pre-pandemia) e diventa “più riflessiva, meditata e per questo più problematica”. Non è più solida, senza dubbi, “ma non è venuta meno”. Così il sociologo Roberto Cipriani, docente emerito dell’Università Roma Tre, presenta la monumentale ricerca “L’incerta fede. Un’indagine quanti-qualitativa in Italia” edita da Franco Angeli.
La religiosità in Italia, 25 anni dopo Palermo
Una ricerca quantitativa (3238 questionari) e qualitativa (164 interviste in profondità), iniziata nel 2017 e commissionata dalla Conferenza episcopale italiana, a 25 anni da “La religiosità in Italia”, indagine che fu diffusa prima del Convegno ecclesiale di Palermo del 1995. I dati raccolti fotografano lo “stato di salute” della religiosità nel Paese, sottolinea l’arcivescovo Nunzio Galantino, presidente dell’Amministrazione del patrimonio della Sede Apostolica, che da segretario generale della Cei ha visto nascere l’indagine. Un’opera fondamentale per la Chiesa italiana, spiega Galantino, perché “prima di attivare un piano pastorale occorre approfondire la conoscenza dell’ambito nel quale si intende operare”. E l’indagine condotta da Cipriani, Franco Garelli e molti altri collaboratori, “senza ignorare i numeri va oltre i numeri stessi”. Ecco che cosa monsignor Galantino ha detto a Vatican News al termine della presentazione:
Monsignor Galantino, una sua considerazione sui risultati di questa indagine…
Questa indagine a me in particolare pone degli interrogativi, e anche dei problemi. Innanzitutto a me piacerebbe che questa indagine venisse conosciuta, perché in genere solo chi conosce sa e solo chi conosce decide seriamente di investire energie in una certa direzione. Per cui questa indagine spero che venga presa sul serio, soprattutto da chi ha responsabilità nella Chiesa o comunque in tutte quelle dimensioni che sono tipiche dell’uomo contemporaneo.
Oltre alla quasi scontata diminuzione della pratica religiosa, dall’indagine emerge questo rifugiarsi nel privato, nella spiritualità, in una certa “religione dei valori”. Ma così non si perde completamente la dimensione comunitaria della fede?
Sì, una preoccupazione c’è, perché è importante che l’esperienza religiosa abbia una sua dimensione personale, individuale, chiamiamola privata, ma è importante che abbia anche una sua dimensione pubblica, proprio perché la dimensione pubblica dell’esperienza religiosa serve a caricare di senso e di significato quella privata. Altrimenti diventa un triste ripiegamento su sé stessi.
La Chiesa, invece, come si deve interrogare su questo calo continuo del consenso per l’istituzione ecclesiastica?
Secondo me deve interrogarsi innanzitutto per chiedersi cosa sta provocando questo calo di tensione e quindi anche di partecipazione. Stando attenti però anche a scoprire, a dare voce a tante dimensioni nuove, belle, che stanno sorgendo anche all’interno della Chiesa. Che probabilmente non ricalcano i vecchi paradigmi, però sicuramente oggi c’è chi vive l’esperienza religiosa, chi la vive con impegno, chi investe e chi si gioca la vita su questa realtà.
Questi dati sono pre-pandemia: i lockdown possono aver cambiato la situazione, averla aggravata, secondo lei?
Sicuramente la pandemia ha ridimensionato la partecipazione fisica alle nostre liturgie, alle nostre celebrazioni, ai nostri incontri. Non sono sicuro invece che la pandemia abbia allontanato le persone dalla dimensione religiosa come tale.
Su Papa Francesco c’è un consenso alto, quindi emerge la contestazione che appare sui social network per i suoi appelli all’accoglienza dei migranti?
Finché la contestazione al Papa viene fatta sul tema della immigrazione, è una contestazione fatta nei confronti del Vangelo. Perché alla fine non se l’è inventata il Papa la storia dell’accoglienza, e nemmeno qualche prelato un po’ particolare: riguarda il Vangelo e il Papa non può e noi non possiamo come Chiesa consentire ad un rallentamento di tensione rispetto a quello che, come ha ricordato domenica scorsa Francesco, sta succedendo in Libia. Ma sappiamo benissimo che non accade soltanto in Libia tutto questo. Quindi finché il Papa viene contestato per queste cose, vi dico la verità, mi fa piacere.
25 anni dopo, i favorevoli all’eutanasia sono maggioranza
Nell’ indagine qualitativa, il rapporto degli intervistati con la fede viene rivelato attraverso le dicotomie: vita/morte; felicità/dolore; vita quotidiana/festiva; rappresentazione di Dio/istituzione ecclesiastica. Un dato su tutti testimonia il cambiamento degli italiani in questi 25 anni, a proposito dell’eutanasia: Il 62,7 per cento è favorevole, e si pone in contrasto col magistero cattolico, mentre il 20,4 è contrario, e il 16,9 incerto. Nel 1995 i contrari erano invece la maggioranza, con il 42,7 per cento, gli incerti il 34,8 ed i favorevoli solo il 22,5.
Cipriani: l’effetto della socializzazione religiosa si vede nel tempo
L’elemento positivo che Roberto Cipriani sottolinea è invece “la persistenza della fenomenologia religiosa” che si canalizza e aggrega in movimenti, associazioni, comunità e perdura attraverso le generazioni, grazie ad una “socializzazione religiosa e valoriale”. Questa socializzazione pare “inefficacie a breve scadenza” su adolescenti e giovani, “ma dà i suoi frutti nell’età adulta e specialmente in quella avanzata”. Il sociologo bresciano nell’intervista integrale a Vatican News:
Professor Cipriani, in sintesi, come è cambiata la religiosità in Italia dal 1995 al 2020?
E’ una religiosità non più tanto formale, fatta di riti, di partecipazione alle celebrazioni, di presenza alla Messa domenicale, ma è una religiosità più riflessiva, più meditata e per questo diventa anche più problematica. Cioè sorgono i dubbi, non c’è più, almeno in linea di maggioranza, una fede bella, solida, senza difficoltà, senza dubbi. C’è una fede diversificata. Però non è venuta meno, perché comunque il problema si pone.
La sua ricerca fa emergere nel calo della pratica religiosa anche una nuova spiritualità. Di cosa si tratta?
Sono nuove forme, che a volte possono persino rasentare soluzioni di tipo magico, di tipo superstizioso. Ma non solo questo: si ricerca qualcosa di diverso. Per esempio: il significato dell’astronomia, il significato del rapporto con gli altri, il significato del condividere un’esperienza di tipo ludico, il significato del pregare in un modo diverso, il significato per esempio della musica e del canto. Sono molteplici, davvero innumerevoli, tutte queste nuove formule che diventano per certi aspetti un’alternativa rispetto al religioso tradizionale, ma per molti altri aspetti c’è una continuità, ci sono dei legami che vengono mantenuti. Nell’insieme, si può tutto riassumere con la spiritualità come ricerca di un sacro, magari anche diverso, che si trova in altre espressioni.
Ma in un mondo che è già abbastanza individualista, può questa spiritualità, che mi sembra abbastanza personale, conciliarsi con una vita comunitaria?
Non è detto che la spiritualità abbia solo un carattere solipsistico, fondato solo sul sé, sulla propria dimensione. In molti casi la spiritualità ha anche una dimensione comunitaria, basti pensare a certe forme di carismatismo, ad alcuni nuovi movimenti che sperimentano nuove strade, quindi non è sempre e necessariamente un fatto di tipo individualistico.
Ci può spiegare cos’è la “teoria dell’incerta fede” che lei formula per il futuro della religione in Italia?
E’ una fede, non del tutto stabile, non del tutto costante, altalenante, con slanci in avanti e slanci anche verso il passato. E comunque fa abbastanza leva sui valori, che diventano un punto di discussione. Proprio sulla base di questo, noi vediamo che l’”incerta fede” si sostanzia anche con una moralità fondata piuttosto sul soggettivo che non sul dar credito a quello che dicono gli altri a quello che dice, magari anche il sacerdote sull’altare, o il vescovo, o il Papa. Quindi una ricerca in proprio di una strada che non sia quella di tipo istituzionale.
Riguardo alle critiche a Papa Francesco per i suoi appelli per l’accoglienza dei migranti, che si trovano sui social network, hanno trovato un riscontro nell’indagine?
Certamente c’è qualcuno che critica Papa Francesco. Però devo dire che in linea di massima prevale un atteggiamento più allineato con il suo pensiero, forse anche perché presenta le questioni in modo affabile, gradevole, amichevole, cordiale. Però in linea di massima la popolazione italiana non è del tutto avversa a operazioni di accoglienza e di condivisione. C’è del soggettivismo, senz’altro, ma non pare essere questa la dimensione maggioritaria.
Anche l’attenzione che il Papa dà ai poveri, alla difesa del Creato, l’invito ad una nuova economia, è condivisa?
Questo passa, e direi che è una delle caratteristiche per le quali poi questo Papa piace. Poi non è detto che venga ascoltato in tutto e per tutto, però almeno su questi aspetti mi pare che abbia fatto breccia, che abbia creato un certo impatto.