Chiesa Cattolica – Italiana

Italia. In un clima di incertezze riaprono le scuole elementari e medie

Antonella Palermo – Città del Vaticano

Dal 7 gennaio, tornano a scuola 5milioni di studenti di elementari e medie. Si posticipa a lunedì 11, invece, la riapertura delle superiori, ma con differenze fra le Regioni. Davanti alle scuole, allestiti presidii in 19 città per chiedere l’apertura di tutti gli Istituti in presenza e in sicurezza.

La didattica a distanza ha dei limiti che si fanno sentire

Elena Camminati è dirigente scolastico nell’Istituto comprensivo Lodi 1, a Lodi, in Lombardia. Ancora nel cuore il dolore per la perdita del fratello don Paolo, morto per coronavirus a Piacenza, durante la prima ondata della pandemia. Eppure, pur a tratti in modo rocambolesco, l’Istituto non ha mai chiuso, di fatto, come del resto tutti gli altri Istituti comprensivi, tranne per due settimane tra ottobre e novembre, quando si sono registrati molti casi di contagio all’interno. La preside non ha mai smesso di lavorare, a ritmi intensissimi, cercando di tenere le fila di tutto.

Ascolta l’intervista a Elena Camminati

Come valuta il rinvio di quattro giorni della riapertura delle scuole superiori? Servirà e, se sì, a che cosa?

R. – La situazione è molto complessa, me ne rendo conto. La difficoltà ad avere un quadro preciso non ha favorito e non favorisce il sistema scolastico. So di colleghi che hanno rifatto l’orario e la modalità organizzativa anche quattro o cinque volte a seconda degli scenari che venivano prefigurandosi via via. E’ anche vero che, se quando le scuole si riaprono, si muovono 10milioni di persone, questo è evidentemente un problema. Per quanto vedo io, i contatti all’interno delle classi sono molto limitati, secondo me, ma tutto ciò che è il contorno complica. Tutto questo, rispetto all’efficienza e all’efficacia del sistema, è un problema perché i ragazzi hanno bisogno di stabilità, la programmazione ha bisogno di suoi tempi e modi. Io non sono molto ottimista, spero sia anche una percezione personale, ma non credo siamo ancora fuori dall’emergenza. I prossimi due mesi saranno ancora molto duri. Quattro giorni in più forse serviranno a riorganizzare i trasporti, perché quello sì è un grande problema – anche i miei plessi di primo ciclo saranno coinvolti – ma non so quanto saranno risolutivi nel medio termine.

L’ipotesi di sottoporre il personale scolastico alla vaccinazione, inserendolo nelle categorie prioritarie, potrebbe favorire una soluzione?

R. – Certo, perché il personale scolastico è a contatto con il pubblico, un tipo particolare di pubblico. Se questo personale si ammala – io oggi per esempio ho ben cinque docenti positivi al Covid-19 a casa ammalati, e si prevede dunque che ci rimarranno a lungo – questo complica le supplenze, le coperture. Sarebbe una buona forma di difesa la vaccinazione per tutti coloro che lavorano a scuola.

Come hanno lavorato finora i suoi insegnanti alle prese con la Dad, come hanno collaborato famiglie e studenti? Oggi, in base ai risultati prodotti, come definirebbe la didattica a distanza? E’ salutare?

R. – Sicuramente è una protesi. Si usa quando non se ne può fare a meno. Vero è che il programma di didattica digitale integrata che abbiamo messo a punto ci permetterà di utilizzare in futuro le modalità e gli strumenti che abbiamo imparato come sistema e di usarlo come un di più, di cui la scuola si è dotata. Ma la Dad ha in sé dei limiti che si fanno sentire. La scuola si fa – lo sappiamo da anni e anni – non solo trasferendo le conoscenze, ma facendolo dentro un clima di relazioni. Questo è molto ridotto stando ognuno a casa propria. Detto ciò, in questo momento non è possibile fare di più e meglio. Si utilizza questo sistema nel modo migliore possibile, facendo anche delle cose molto belle, devo dire, e di produrre cose anche molto innovative, ma non ci potrà certamente essere una sostituzione.

Ha constatato cambiamenti comportamentali tra gli studenti?

R. – E’ una cosa che registriamo un po’ tutti su noi stessi. L’isolamento forzato davanti a una tastiera non è una modalità ‘normale’ attraverso cui l’essere umano si può rapportare. I ragazzi in questa fase di crescita e di strutturazione della personalità ne risentono inevitalmente con delle forme che possono sfiorare alle volte nel patologico o con degli abusi di questi mezzi che bisognerà per forza di cose ricalibrare.

Una ricerca condotta da Ipsos per Save the Children ha evidenziato il calo di rendimento e il rischio di dispersione scolastica nell’ultimo anno, per ragazzi tra i 14 e i 18 anni. Ha potuto anche lei accorgersi di questo fenomeno?

R. – Non direttamente, ma ho avuto resoconti di questo tipo da parte di colleghi: il rischio di abbandono scolastico c’è soprattutto laddove ci sono situazioni più fragili, già socialmente ‘borderline’ dove si registra la non tenuta di un sistema che in qualche modo li controlla e li attira positivamente. Io non so valutare, tuttavia, quanto e come saranno affrontabili questi problemi. 

Exit mobile version
Vai alla barra degli strumenti