Michele Raviart – Città del Vaticano
Il presidente israeliano Reuven Rivlin ha cominciato questa mattina le consultazioni per la formazione di un nuovo governo in Israele, dopo il fallimento del tentativo di Benjamin Netanyahu, che non è riuscito a trovare una maggioranza alla Knesset al termine di un mandato esplorativo di 28 giorni.
Ricevuti Lapid e Bennett
Il primo ad essere ricevuto è stato il leader dell’opposizione centrista Yair Lapid, che ha chiesto a Rivlin l’incarico. Anche Naftali Bennett, capo del partito di destra Yamina, ex alleato di Netanyahu e che ha scelto di non sostenerlo dopo l’ultima tornata elettorale, è stato ricevuto da Rivlin e anche lui ha rivendicato la possibilità di guidare il futuro governo. Tutti i partiti dovranno inviare al presidente entro la giornata di oggi la loro scelta del candidato premier.
Verso un governo senza Netanyahu?
L’obiettivo è quello di avere il consenso di almeno 61 parlamentari su 120 e si profila la possibilità di un governo di unità nazionale senza il Likud, il partito di Netanyahu, che si troverebbe all’opposizione per la prima volta in 12 anni. “In qualche modo i giochi veri iniziano adesso, perché fin qui è andato tutto come previsto”, spiega a Vatican News Giorgio Bernardelli, giornalista esperto di Medio Oriente.
“È molto probabile che il presidente Rivlin assegni l’incarico a Yair Lapid, che è il leader del secondo partito più votato all’interno della Knesset, un partito laico e centrista, perché c’è in corso un tentativo di dare vita a un governo di unità nazionale composito, con schieramenti che hanno posizioni molto diverse su molti temi, ma che hanno come unico obiettivo quello di tenere fuori dai giochi Netanyahu”, spiega ancora Bernardelli. “È un governo che nascerebbe su un accordo tra Lapid e Naftali Bennett, leader del partito della destra israeliana molto vicino al mondo dei coloni, che si fonderebbe su una staffetta tra i due alla guida del governo, con Bennet inizialmente come primo ministro”, sottolinea, “è uno scenario di cui si parla da qualche giorno in Israele, ma anche questo è uno scenario davvero sul filo del rasoio”.
Una cultura fortemente proporzionale
In caso di mancato accordo la parola passerebbe nuovamente alla Knesset con il rischio, questo autunno, delle quinte elezioni parlamentari in due anni. Una situazione che pone il quesito della stabilità di governo del Paese e della sostenibilità della legge elettorale, con lo stesso Likud che non è riuscito a far passare una proposta di legge per l’elezione diretta del premier. “Il problema è abbastanza evidente, ma è anche un problema che è difficilmente risolvibile, perché Israele ha una cultura elettorale profondamente proporzionalista e, nonostante tutto quello che è successo negli ultimi due anni, non c’è nessuno che abbia apertamente parlato di introdurre in Israele un sistema elettorale maggioritario”, ricorda Bernardelli. “L’unica proposta sul tavolo, che è stato lo stesso Netanyahu ad avanzare, è stata quella dell’elezione diretta del primo ministro, ma questo non risolverebbe comunque il problema, per cui ci potrebbe essere il paradosso di un premier che vincerebbe le elezioni come capo del governo, ma senza una maggioranza in parlamento”.