Marco Guerra – Città del Vaticano
Si rafforza l’asse Iraq, Giordania ed Egitto. Domenica il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, il primo ministro iracheno Mustafa al-Kadhimi e il re giordano Abdullah si sono incontrati a Baghdad. Si tratta della prima visita di un capo di Stato egiziano nel Paese del Golfo, da quando Saddam Hussein invase il Kuwait nel 1990.
Accordi di cooperazione
La prima guerra del Golfo ruppe infatti le relazioni diplomatiche tra Iraq ed Egitto, migliorate negli ultimi anni grazie a numerosi incontri bilaterali. La visita di Sisi domenica, rientra in un terzo ciclo di colloqui tra Egitto, Giordania e Iraq finalizzati ad una più stretta cooperazione in materia di sicurezza, economia, commercio e investimenti. Negli ultimi anni, il governo iracheno ha firmato accordi di cooperazione nei settori dell’energia, della salute e dell’istruzione con entrambi i Paesi.
I progetti avviati e programmati
Domenica si è discusso di diverse aree di interesse regionale, compresi i recenti sviluppi sulla questione palestinese, la lotta al terrorismo e la cooperazione economica, ha precisato un comunicato della presidenza egiziana. “I leader – si legge ancora nella nota – hanno sottolineato la necessità di intensificare la consultazione e il coordinamento tra i Paesi sulle questioni regionali più importanti”. Al-Kadhimi, Sisi e Abdullah hanno tenuto un vertice ad Amman, in Giordania, l’anno scorso e dovevano tenerne un altro a Baghdad in aprile, ma tutto è slittato dopo un grave incidente ferroviario avvenuto proprio in Egitto. Il governo del Il Cairo ha firmato 15 accordi e memorandum d’intesa in settori tra cui petrolio, strade, alloggi, edilizia e commercio a febbraio, dopo che il gabinetto iracheno a dicembre ha approvato il rinnovo del contratto per fornire all’Egyptian General Petroleum Corporation (EGPC) 12 milioni di barili di greggio di Bassora per il 2021. L’Iraq sta inoltre anche progettando di costruire un oleodotto che dovrebbe esportare 1 milione di barili al giorno di petrolio iracheno dalla città meridionale di Bassora al porto giordano di Aqaba sul Mar Rosso.
L’attacco Usa alle forze filo Iran
Questo processo di cooperazione è sostenuto dagli Stati Uniti, che esortano l’Iraq a rafforzare i legami con le nazioni arabe per contrastare l’influenza dell’Iran sul Paese del Golfo. Tuttavia, non mancano nuovi elementi di frizione con Washington: oggi il primo ministro iracheno, al-Kadhimi, ha condannato l’attacco aereo statunitense contro gruppi armati sostenuti dall’Iran che avrebbe causato la morte di almeno sette combattenti. “Condanniamo l’attacco aereo statunitense che la scorsa notte ha preso di mira un sito al confine iracheno-siriano, che rappresenta una palese e inaccettabile violazione della sovranità e della sicurezza nazionale irachena”, si legge in una dichiarazione del suo ufficio. Il raid è stato confermato anche dal Pentagono che parla di “target scelti perché questi impianti sono utilizzati da milizie filoiraniane impegnate in attacchi tramite aerei a pilotaggio remoto contro il personale e le strutture americane in Iraq”.
Le azioni dello Stato Islamico
In queste ore torna farsi sentire anche lo Stato Islamico, rivendicando un attacco contro una centrale elettrica a nord di Baghdad, confermato anche dalle autorità irachene. L’Is è stato dichiarato sconfitto militarmente in Iraq nel dicembre del 2017 ma miliziani dello ‘Stato islamico’ continuano a operare con azioni lampo nelle regioni irachene centro-settentrionali.
Padre Thabit: tutto il popolo soffre la crisi economica
Sulle condizioni di sicurezza e la situazione socioeconomica abbiamo raccolto la testimonianza di don Paolo Thabit Mekko, sacerdote del villaggio di Karamles, nella piana di Ninive, il quale riferisce dei disagi alla fornitura di elettricità dopo l’attacco dell’Is alla centrale elettrica e alcuni precedenti attentati ai piloni delle linee elettriche. “I servizi non funzionano malgrado l’aumento delle tariffe domestiche – spiega il sacerdote – bisogna pagare anche se non arriva l’acqua per mesi. Si sono alzati tutti i prezzi e c’è ancora molta disoccupazione”. Don Thabit riconosce tuttavia un miglioramento delle condizioni di sicurezza per i cristiani, anche se molte aree sono ancora controllate dalle milizie delle varie etnie, “sono problemi che condividiamo con tutto il popolo e che non riguardano solo i cristiani, la situazione economica è grave per tutti” afferma il sacerdote che lamenta una mancanza di una visione chiara della politica per lo sviluppo del Paese.
[ Audio Embed ascolta l’intervista a Padre Thabit]
L’ associazione “Un Ponte Per”: finisca la contesa tra Iran e Usa
“La ripresa delle relazioni diplomatiche con altri Paesi della regione è sempre un fatto positivo ma questo non basta. L’Iraq è un Paese da 20 anni conteso tra l’Iran e gli Stati Uniti e se non finisce questa contesa non ci sarà mai pace”, spiega a Vatican News Fabio Alberti, fondatore di ‘Un Ponte Per’, associazione che promuove la pace in Iraq da oltre 25 anni.
Aiutare i giovani a cambiare l’Iraq
“Il bombardamento degli Usa sulle postazioni filo-iraniane è solo l’ultimo episodio – prosegue Alberti – l’esercito turco due mesi bombarda il nord”. Tuttavia, secondo il fondatore di ‘Un Ponte Per’ è possibile rilanciare la convivenza tra le varie componenti etniche del Paese che “sono state in pace per secoli”. “Il recente viaggio in Iraq di Papa Francesco è stato un elemento di grande speranza e i giovani iracheni sono da due anni in piazza per chiedere un cambiamento malgrado le feroci repressioni – aggiunge ancora il cooperante -. Vedremo se i risultati delle prossime elezioni imporrano un cambio di passo”. Alberti ritiene infine che l’Iraq dovrebbe essere libero di scegliere la propria strada senza essere obbligato a schierarsi in una logica di conflitto tra potenze, e auspica che “la comunità internazionale stia più vicino ai tanti giovani che chiedono di essere aiutati a cambiare il loro Paese”.