Federico Piana- Città del Vaticano
Sono trascorsi tre mesi esatti dal viaggio di Francesco in Iraq. Era la prima volta in assoluto che il Paese dell’Asia occidentale, travagliato da insicurezza sociale e politica, accoglieva un Pontefice. Quattro giorni, dal 5 all’8 marzo scorsi, nei quali si sono alternati momenti che rimarranno impressi per sempre nella storia, come la visita al Grand Ayatollah Sayyid Ali Al-Husayni Al-Sistani, l’incontro interreligioso nella Piana di Ur dei Caldei e la commovente preghiera in suffragio delle vittime della guerra a Hosh al-Bieaa di Mosul. Ma non potrà neanche scomparire dalla memoria collettiva del mondo l’abbraccio che il Papa ha dato alla comunità di Qaraqosh, nella cattedrale dell’Immacolata concezione, profanata nel 2014 e bruciata dalle milizie dell’Is.
Un messaggio da metabolizzare
Gesti, discorsi, esortazioni, che sono stati visti, ascoltati ed apprezzati da tutto il popolo iracheno, senza distinzione di appartenenza sociale o credo religioso. Un termometro per capire come stiano germogliando i semi di pace e fratellanza gettati dal Pontefice, è sicuramente il racconto di padre Karam Shamasha, parroco caldeo di San Giorgio a Telskuf, la cui parrocchia fu distrutta sette anni fa, primo luogo cristiano ad essere profanato nella Piana di Ninive. “In Iraq – dice- non è facile applicare il messaggio che ci ha lasciato Papa Francesco. La Chiesa sta cercando, con ogni mezzo, di proseguire la strada con le indicazioni del Santo Padre: amore verso l’altro, accoglienza, valorizzazione delle nostre differenze che sono una ricchezza per tutti. Per vedere concreti risultati ci vorrà, però, ancora molto tempo e tanti sforzi”.
Costruire ponti di comunione
Il dialogo resta lo strumento necessario, ineludibile, per tentare realizzare i desideri del Papa espressi in questo storico viaggio. Karam Shamasha ne è convinto a tal punto da affermare che “occorre continuare nel confronto politico-religioso, soprattutto facendo leva sulla fratellanza e sulla dignità umana. La cosa più importante è arrivare a condividere la nostra terra così carica di diversità. Bisogna costruire ponti di comunione avendo chiaro che il compito sarà arduo”.
Puntare sul senso di cittadinanza
Una soluzione, per mettere d’accordo le tante anime che danno vita ad un Iraq complesso ed articolato, si potrebbe trovare nella diffusione dell’idea che ogni iracheno dovrebbe sentirsi unito per il solo fatto di essere cittadino iracheno piuttosto che dividersi in una miriade di singoli gruppi religiosi. Avverte Karam Shamasha: “Se ci basiamo solo sull’identità religiosa rischiamo di avere maggior confusione. Questo, penso, sia il percorso giusto da intraprendere”.
I frutti nella Piana di Ninive
Poi padre Karam Shamasha conclude:” Qual è stato il frutto più importante che la visita del Papa ha portato nella mia Piana di Ninive? Ha fatto conoscere il Cristianesimo. Purtroppo nelle scuole e nella cultura irachena non c’è un’idea giusta del Cristianesimo. Il Santo Padre, invece, con i suoi gesti d’amore, ha comunicato a tutti che la nostra è davvero una religione di pace”.