Iraq, il Patriarca Sako: serve umanità e lavoro comune per il bene del Paese

Vatican News

Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano

“Non c’è sicurezza né stabilità in Iraq, questo attentato è solo l’ultimo esempio. E’ un problema morale: la corruzione e l’uccisione di innocenti sono atti immorali”. C’è sconforto nella voce del patriarca di Babilonia dei Caldei, il cardinale Louis Raphael Sako, che in questi giorni si trova in Kurdistan, a Erbil, per il ritiro spirituale del clero caldeo, dal 19 al 24 luglio. Sconforto per la nuova strage compiuta dal sedicente Stato islamico, ieri pomeriggio a Baghdad, con almeno 35 vittime e più di 60 feriti.

Il messaggio ai musulmani per la festa dell’Eid al-Adha

Nella Messa di questa mattina il porporato ha chiesto di pregare per i musulmani che festeggiano l’Eid al-Adha, la festa del sacrificio, per la pace e la stabilità in Iraq e per la Chiesa. Riprende forza quando gli chiediamo quali frutti stia portando il viaggio di Papa Francesco dell’inizio di marzo. “Ha cambiato la mentalità della gente – dice – ora c’è rispetto per la diversità, non si parla più di cristiani e musulmani, ma di iracheni, come fratelli e sorelle”. E quando parla del messaggio che ha inviato ai musulmani per la loro festa e chiede per l’Iraq “una classe politica al servizio del bene comune”.

Ascolta l’intervista al cardinale Louis Raphael Sako

Eminenza, cosa succede a Baghdad? Il cosiddetto Stato islamico continua a seminare morte?

Veramente è stata una strage, alla vigilia della festa dei musulmani. E’ una cosa tragica, ma non è la prima volta. Non sono stati membri dello Stato Islamico, ma anche nell’ospedale di Kerbala c’è stata violenza. C’è confusione, non c’è sicurezza, non c’è stabilità nel Paese. Penso ci sia un problema morale, non è solo un problema politico: la corruzione, uccidere gli altri per scopi diversi, è una cosa immorale. Bisogna ritornare alla moralità, all’umanità, ai valori umani, altrimenti dove va il Paese? Hanno anche fermato un uomo che ha provato a entrare in un altro ospedale con una bomba. E’ uno scontro fra sciiti e sunniti o tra sciiti e sciiti, una lotta per il potere e il denaro, perciò non c’è moralità.

A quasi 5 mesi dalla visita del Papa quali frutti vede nella vita dei cristiani e nella vita civile in Iraq?

Per la popolazione c’è un cambiamento della mentalità, c’è un rispetto per la diversità. Non si parla più di cristiani e musulmani, loro parlano degli iracheni come fratelli e sorelle e questo è il frutto più grande, per noi, della visita del Santo Padre. Ha cambiato un po’ la mentalità. Per il resto, a livello politico, ci vuole una classe politica che abbia un senso di responsabilità, la visione di uno Stato civile per la cittadinanza, che crei servizi.

Voi siete uniti, come Chiesa caldea in Iraq, a Erbil, per il ritiro spirituale annuale. Manderete un messaggio al Paese?

Sì, certo, alla fine dell’incontro. Siamo una settantina tra vescovi e sacerdoti, perché altri non hanno potuto venire a causa della pandemia o anche perché almeno un prete deve rimanere in parrocchia per le emergenze. Della Chiesa caldea siamo qui in una decina di vescovi per riflettere su come essere fedeli alla nostra consacrazione, davanti alle sfide che dobbiamo affrontare. Dobbiamo essere ponti per gli altri e non erigere barriere. Il Vangelo è aperto a tutti e noi, come consacrati siamo al servizio di tutti, non solo dei cristiani. Io ho anche mandato un messaggio per la festa di Eid al-Adha, la festa del sacrificio dei musulmani.

Che cosa ha scritto in questo messaggio?

Che bisogna ritornare alla fratellanza e poi alla moralità, per non perdere i valori morali. Altrimenti sarà come una giungla. La corruzione e questi attacchi, uccidere gente innocente: questo non va. Bisogna sacrificare gli interessi personali e pensare al bene comune, al bene di tutti, non solo un bene individuale un po’ egoista. In sintesi, il messaggio è fare tutto il bene che possiamo per gli altri.