Iraq, Francesco: beato non è essere un eroe ogni tanto ma un testimone sempre

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Adriana Masotti – Città del Vaticano      

Dopo una intensa giornata che lo ha portato da Najaf a Ur dei Caldei, Francesco rientra a Baghdad per presiedere la Messa con la comunità locale secondo il rito caldeo. La celebrazione si svolge nella cattedrale inaugurata dal Patriarca dei caldei Yusef VII Ghanima nel 1956, che può ospitare più di 400 fedeli. Ad accogliere Francesco è l’architettura illuminata dalle vetrate colorate: l’interno è organizzato in modo da rispettare le tre parti convenzionali delle chiese siriane orientali, ma in stile moderno. La parte riservata all’assemblea, il coro e l’altare con al centro un paliotto ligneo intagliato. Nella navata laterale destra c’è l’icona della Madonna Odigitria, in quella laterale sinistra quella di San Giuseppe con la squadra da falegname e il giglio, simboli di rettitudine e purezza, insieme a Gesù adolescente. La comunità caldea, i giovani, si sono preparati a lungo per questo momento e accolgono il Papa con i loro canti. Francesco e gli altri celebranti indossano paramenti bianchi.

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La Sapienza di Dio ribalta le categorie umane

La lingue che accompagnano la celebrazione eucaristica sono l’italiano, il caldeo e l’arabo e per le preghiere dei fedeli anche il sourath-aramaico dialetto, il kurdo, il turcomanno e l’inglese. Tre le parole chiave contenute nell’omelia che il Papa pronuncia in italiano e che sono suggerite dalle Letture: sapienza, testimonianza, promesse. “La sapienza in queste terre è stata coltivata da tempi antichissimi”, osserva subito Francesco. Oggi nel mondo, dice, assistiamo a una “disuguaglianza inaccettabile” tra chi ha più conoscenze e quindi opportunità e chi meno. Non è però della sapienza umana che parla il Papa, ma di quella lodata nel Libro della Sapienza che ribalta le categorie del mondo. Per Dio gli ultimi sono i privilegiati. Gesù, afferma Francesco, “completa questo ribaltamento nel Vangelo” annunciando le otto Beatitudini che Matteo riporta nel suo Vangelo.

Il capovolgimento è totale: i poveri, quelli che piangono, i perseguitati sono detti beati. Com’è possibile? Beati, per il mondo, sono i ricchi, i potenti, i famosi! Vale chi ha, chi può, chi conta! Per Dio no: non è più grande chi ha, ma chi è povero in spirito; non chi può tutto sugli altri, ma chi è mite con tutti; non chi è acclamato dalle folle, ma chi è misericordioso col fratello.

Gesù ha sconfitto la morte

La prospettiva di Gesù suscita un dubbio che il Papa esplicita: se vivo come vuole Gesù, che cosa mi viene? Ci guadagno o la sua proposta è perdente? Francesco risponde:

La proposta di Gesù è sapiente perché l’amore, che è il cuore delle Beatitudini, anche se pare debole agli occhi del mondo, in realtà vince. Sulla croce si è dimostrato più forte del peccato, nel sepolcro ha sconfitto la morte. È lo stesso amore che ha reso i martiri vittoriosi nella prova, e quanti ce ne sono stati nell’ultimo secolo, più che nei precedenti! L’amore è la nostra forza, la forza di tanti fratelli e sorelle che anche qui hanno subito pregiudizi e offese, maltrattamenti e persecuzioni per il nome di Gesù.

Il mondo si cambia con la testimonianza di ogni momento

Solo l’amore rimane, afferma nella seconda Lettura l’apostolo Paolo. Vivere le Beatitudini, prosegue il Papa, è rendere eterno ciò che facciamo, ma non richiedono gesti straordinari, piuttosto “la testimonianza quotidiana”. E prosegue:

Beato è chi vive con mitezza, chi pratica la misericordia lì dove si trova, chi mantiene il cuore puro lì dove vive. Per diventare beati non bisogna essere eroi ogni tanto, ma testimoni ogni giorno. La testimonianza è la via per incarnare la sapienza di Gesù. È così che si cambia il mondo: non con il potere o con la forza, ma con le Beatitudini.

L’amore è creativo e ricomincia sempre 

Parlando della carità, san Paolo ci sorprende: dice che essa “é magnanima” e il Papa commenta chiarendo che la parola “magnanima” nella Bibbia “racconta la pazienza di Dio” e ricorda che lungo la storia l’uomo ha tante volte tradito l’alleanza con il Signore, è caduto nel peccato, ma il Signore non si è stancato di lui e “ogni volta è rimasto fedele, ha perdonato, ha ricominciato”:

La pazienza di ricominciare ogni volta è la prima qualità dell’amore, perché l’amore non si sdegna, ma riparte sempre. Non si intristisce, ma rilancia; non si scoraggia, ma resta creativo. Di fronte al male non si arrende, non si rassegna. Chi ama non si chiude in sé stesso quando le cose vanno male, ma risponde al male con il bene, ricordando la sapienza vittoriosa della croce. Il testimone di Dio fa così: non è passivo, fatalista, non vive in balìa delle circostanze, dell’istinto e dell’istante, ma è sempre speranzoso, perché fondato nell’amore che “tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta”.

Le promesse di Dio e le nostre debolezze

Francesco invita ciascuno a chiedersi in che modo si comporti quando qualcosa non va: scappa, reagisce con rabbia? Ma nessuna di queste due reazioni risolvono i problemi. Gesù, invece, continua il Papa, “cambiò la storia con la forza umile dell’amore”. Se facciamo anche noi così, asserisce, “Dio realizza le sue promesse”. In ogni Beatitudine, infatti, alla testimonianza segue una promessa:

Le promesse di Dio assicurano una gioia senza eguali e non deludono. Ma come si compiono? Attraverso le nostre debolezze. Dio fa beati coloro che percorrono fino in fondo la via della loro povertà interiore. La strada è questa, non ce n’è un’altra.

I tanti testimoni preziosi davanti al Signore in terra irachena

Francesco si sofferma sul tema dei limiti umani e cita diversi esempi riportati nelle Scritture: Abramo e Sara nella loro vecchiaia, Mosè che si sente impacciato nel parlare, la Madonna stessa che  non ancora sposata “viene chiamata a diventare madre”. E Pietro che rinnega Gesù ma che poi confermerà i fratelli nella fede. Il Papa desidera incoraggiare quanti si sentissero incapaci o delusi e sottolinea che “Dio vuole compiere prodigi proprio attraverso le nostre debolezze”. Le parole conclusive sono di gratitudine al Signore perché proprio in terra irachena tanti hanno saputo vivere secondo le Beatitudini:

Cara sorella, caro fratello, forse guardi le tue mani e ti sembrano vuote, forse nel tuo cuore serpeggia la sfiducia e non ti senti ripagato dalla vita. Se è così, non temere: le Beatitudini sono per te, per te che sei afflitto, affamato e assetato di giustizia, perseguitato. Il Signore ti promette che il tuo nome è scritto nel suo cuore, nei Cieli! E io oggi Lo ringrazio con voi e per voi, perché qui, dove nell’antichità è sorta la sapienza, in questi tempi si sono levati tanti testimoni, spesso trascurati dalle cronache, ma preziosi agli occhi di Dio; testimoni che, vivendo le Beatitudini, aiutano Dio a realizzare le sue promesse di pace.

Il grazie del Patriarca Sako al Papa 

“La vostra presenza tra noi, come pellegrino che prega per un mondo più umano, più fraterno, più solidale, più pacifico ci riempie di speranza”: così il cardinale Louis Raphaël Sako, Patriarca di Babilonia dei Caldei, nel suo indirizzo di saluto al Papa al termine della celebrazione. Le sue parole dicono gioia e gratitudine. Il cardinale ricorda il messaggio di fratellanza, di speranza e di apertura che Papa Francesco ha portato con la sua visita e sottolinea la sua validità. “Sì, Santità, tutte le parti dovrebbero considerarsi della stessa famiglia, prendersi cura della casa comune e della solidarietà, e contribuire a uscire dalle crisi soffocanti come la pandemia del coronavirus, la povertà, l’emigrazione, l’estremismo, il terrorismo e i problemi ambientali. Per realizzare questo progetto vitale, è necessario un risveglio spirituale e morale”.

Una visita che conferma la vocazione dei cristiani in Iraq

Il Patriarca Sako si dice certo che la visita del Papa “incoraggerà gli iracheni a superare il doloroso passato, in vista della riconciliazione nazionale, della guarigione dalle ferite, della coesione e della cooperazione per la crescita, la pace e la stabilità, semplicemente perché sono fratelli diversi e cittadini della terra di Abramo, e perché l’Iraq è la loro casa comune”. Per i cristiani, prosegue, l’arrivo di Francesco è un’opportunità di conversione e di conferma della propria “identità irachena e cristiana”, e uno stimolo per capire che come cristiani “abbiamo una vocazione e una missione alla quale non possiamo rinunciare nonostante le difficoltà”.