Iraq, da Ur dei Caldei sui passi di Abramo

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Antonella Palermo – Città del Vaticano

Incastonata tra la visita al Grand Ayatollah Sayyid Ali Al-Husayni Al-Sistani a Najaf e la Santa Messa nella Cattedrale Caldea di San Giuseppe a Baghdad, la tappa di sabato 6 marzo del viaggio del Papa alla Piana di Ur per l’incontro interreligioso si preannuncia altamente suggestiva per lo splendore del sito e di grande portata simbolica per i richiami ai primordi dell’alleanza di Dio con l’uomo. Ur dei Caldei è il luogo legato alla figura di Abramo, e in virtù di ciò con forti connotazioni che riguardano il dialogo tra le fedi se si considera che anche gli ebrei e i musulmani guardano a lui come ad un modello di incondizionata sottomissione al volere di Dio (cfr. Nostra aetate, 3). L’auspicio, espresso il 29 giugno 1999 da Giovanni Paolo II nella “Lettera sul pellegrinaggio ai luoghi legati alla storia della salvezza”, di poter visitare nell’Anno Santo del 2000 anche Ur dei Caldei, non si realizzò a causa della guerra. A distanza di ventuno anni, Francesco si inoltra laddove nessun Pontefice è mai giunto. 

Il sito archeologico e le potenzialità culturali

Antichissima città della bassa Mesopotamia, situata 15 km a ovest dell’attuale corso dell’Eufrate, nel luogo ora detto dagli Arabi Tell el-Muqayyar, “il tumulo della pece”, a metà ottocento Ur venne subito identificata, grazie ad alcune iscrizioni rinvenute, con “Ur dei Caldei”, considerata la patria di Abramo. Una vera e propria spedizione archeologica si ebbe solo nel 1919, allorché H. R. Hall condusse là degli scavi, portando alla luce notevolissimi resti di età preistorica. Interrotti per mancanza di fondi, i lavori furono ripresi qualche anno dopo con missioni del British Museum e dell’Università di Pennsylvania. La direzione fu affidata a Leonard Woolley, il quale, nei dodici anni in cui il gigantesco cantiere rimase aperto (1922-1934), fece scoperte sbalorditive dissotterrando 16 tombe dell’élite di Ur; la più straordinaria è stata una ziqqurat molto ben preservata datata al III millennio a.C., quando faceva parte di un complesso di templi che servivano come centro amministrativo. Era uno dei grandi centri urbani della civiltà sumera e rimase una città importante fino alla conquista di Alessandro Magno. Nella sola provincia di Dhi Qar, oltre a Ur, ci sono 47 altri siti di grande valore archeologico. L’antico sito di Ur, Patrimonio dell’Umanità Unesco, è ricco di potenzialità per lo sviluppo socio-economico del Governatorato di Thi Qar. L’associazione Un ponte per ha avviato anche qui progetti per risollevare l’area dalla grave disoccupazione giovanile. “Sumereen” si propone di creare un accesso sicuro e sostenibile e di promuovere Thi Qar come destinazione turistica eco-compatibile, aumentando l’interesse dei visitatori sull’area. 

I riferimenti biblici

I non numerosi riferimenti si concentrano in Genesi dove l’espressione Ur dei Caldei ricorre soltanto due volte (nel capitolo 11 e poi nel capitolo 15 in relazione con la storia di Abramo). Anche nella preghiera di Neemia al capitolo 9 c’è un’altra menzione di questo luogo: da qui Abramo è stato fatto uscire dal Signore. Si potrebbe anche aggiungere un’altra ricorrenza laddove Giosuè, nel bellissimo capitolo 24 del libro, durante il racconto dell’alleanza a Sichem, fa memoria agli israeliti della storia dei Padri, e ricorda che Abramo è stato fatto partire dalla terra oltre il fiume: possiamo immaginare che sia proprio quello il riferimento geografico. Anche in quel caso si sottolinea la presa di distanza che Abramo ha vissuto rispetto agli dèi dei popoli che abitano oltre il fiume. Ma in che senso si può dire che il significato di Ur dei Caldei e più ‘teologico’ che ‘storico’? Risponde la biblista Suor Grazia Papola, docente di Sacra Scrittura all’Istituto di Scienze Religiose di Verona:

Ascolta l’intervista a suor Grazia Papola

Suor Papola avverte che in realtà non abbiamo la possibilità di ricostruire dal punto di vista di quella che noi intendiamo ‘storia’ la vicenda dei patriarchi. “Idealmente, nella finzione narrativa, per una cronologia che noi possiamo ritrovare nel testo biblico, dovremmo collocare grosso modo le vicende dei patriarchi intorno al 1800 a.C”, spiega. “E’ evidente che sarebbe impossibile pretendere di riconoscere e ricostruire gli avvenimenti di quell’epoca anche perché noi non abbiamo testimonianze archeologiche che possiamo attribuire ai personaggi di cui ci parla il racconto biblico e noi sappiamo anche che i Caldei sembra si siano affacciati nella vicenda storica intorno al 900 a.C., quindi molti secoli dopo”. Allora?

Il significato teologico del luogo

Il testo biblico è preciso quando dice che è il padre di Abramo, Terach, a partire da Ur diretto a Canaan, poi si ferma a Carran e poi riparte alla volta di Canaan. “Al narratore non interessava tanto informare sul viaggio di Abramo, farne una cronaca, darci con esattezza tutto il suo itinerario – spiega ancora la religiosa – ma inserire la vicenda di Abramo in un quadro che noi oggi diciamo essere un quadro di storia della salvezza. La vicenda, in sostanza, diventa significativa per la vita dei destinatari del racconto. E questo è un punto chiave per ogni lettura biblica. Quindi non è un racconto storico, sul piano dei documenti, però noi diciamo che è un racconto vero e teologico perché comprendiamo che il riferimento ai Caldei diventa importante in una determinata epoca della storia di Israele”. Il nome Caldei di solito si trova come termine che indica i babilonesi, il popolo protagonista della caduta del regno di Giuda e in particolare della caduta di Gerusalemme. “Quando si presenta Abramo come uscito da Ur dei Caldei, quindi, non è tanto l’interesse a capire se il nostro antenato ha lasciato quel luogo in termini esatti, probabili”, afferma Papola. Ciò che è importante è la possibilità di ricostruire la figura dell’antenato – il padre del popolo, colui che ha ricevuto la benedizione originaria e che raggiunge anche me – come uomo partito dal luogo che idealmente è il punto di partenza degli esuli che da Babilonia ritornano a Gerusalemme.

Abramo, paradigma dell’esule

Alla luce di ciò, Abramo diventa una figura modello per gli esuli. “E’ come se io ponessi all’origine della mia storia l’itinerario di un uomo che è stato decisivo per la mia vicenda rispetto al quale io posso riconoscermi e posso comprendere il significato anche della mia relazione di fede con il Signore”, spiega la religiosa. Come lui ha lasciato Ur dei Caldei, si è fermato a Carran e ha proseguito verso Canaan, così anche noi dall’esilio possiamo affrontare questo cammino in risposta a un appello di fede e accogliendo il dono della terra che in questo padre ci è stata destinata. Se si omettessero i riferimenti iniziali della storia di Abramo, si potrebbe pensare che abbiamo a che fare con uno dei tanti nomadi che abitavano nella terra di Canaan. E’ questo inizio della storia – che lo presenta proveniente da un’altra terra – l’elemento decisivo. “Abramo rappresenta l’ideale di chi sceglie di lasciare la Babilonia – nella quale si potevano avere anche delle occasioni dal punto di vista economico e in cui le città erano straordinariamente belle – e con coraggio si dirige nella terra che il Signore indicherà per abitarla in un modo assolutamente singolare”.

Abramo migrante

Guardando il testo ebraico, Abramo è un gher, un ‘forestiero’, che si identifica con il migrante di oggi. Questa condizione – precisa la biblista – viene vissuta in forza di un appello non semplice: lasciare il legame con il padre e la casa lo espongono ad aprirsi verso uno spazio vuoto, che nel suo caso sarà riempito dalla presenza del Signore e dal compiersi della promessa. Lasciare la propria terra determina per Abramo perdita di diritti, di tutela giuridica, di appoggio della sua parentela, delle garanzie di sicurezza, stabilità, certezza nella sussistenza. “Abramo non solo assume questo statuto ma lo manterrà, perché nella terra di Canaan abiterà restando sempre un forestiero”, sottolinea Papola. Il valore prezioso e simbolico che Abramo porta con sé è la capacità di intrattenere legami positivi con quanti abitano la terra senza esercitare nessun genere di sopraffazione, ma mantenendo anche un’altissima dignità.

Il valore ‘ecologico’ dell’abitare: sentirsi ospiti

“Vivere nella terra senza impadronirsene, senza usarla per il proprio interesse, ma custodendola sempre come una promessa, come un dono”, questo ci insegna Abramo con la sua vicenda. Egli acquisterà alla fine della sua vita un pezzo di terra, contrattandola con gli abitanti del luogo, e sarà il luogo della sepoltura di Sara e poi suo: come a dire – spiega Suor Grazia – che la terra la si possiede solo alla fine, solo da morti. Dietro il rispetto della terra c’è un principio ecologico importante: Abramo è vulnerabile ed esposto anche alla violenza altrui ma non si impossessa della terra. Vive questa dimensione a tale profondità che incarna entrambi i ruoli: di chi si lascia ospitare e di chi ospita. Qui Suor Grazia cita il bellissimo racconto del capitolo 18, in cui Abramo ospita tre figure misteriose che – dice – potremmo leggere come stranieri giunti da altrove e che Abramo accoglie con una generosità straordinaria, con una eccedenza incredibile ricevendo la promessa di un futuro.

L’autopresentazione di Dio

Nella terza ricorrenza di Ur dei Caldei nel libro di Genesi la formulazione si trova in una espressione nella quale il Signore si presenta ad Abramo (al capitolo 15).

“Io sono il Signore tuo Dio che ti ha fatto uscire da Ur dei Caldei e ti do in possesso questa terra”

Per il lettore biblico qui si evoca un’altra storia, quella dell’esodo, dall’Egitto, dalla casa di schiavitù. Insomma, “Abramo è anche l’anticipazione di un nuovo esodo e Dio colui che libera, fa uscire verso una nascita, verso una vita nuova, una vita piena connotata dalla libertà”.