Tiziana Campisi – Città del Vaticano
C’è una prospettiva per raggiungere un’intesa nei negoziati che riguardano l’accordo sul nucleare iraniano del 2015: lo ha detto ieri Joseph Borrell, alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, a margine dell’incontro dei ministri degli Esteri del G7 svoltosi in Germania. Il dialogo tra l’Iran e le potenze mondiali era sospeso da marzo, principalmente a causa dell’insistenza di Teheran sul fatto che Washington rimuovesse il Corpo delle Guardie rivoluzionarie islamiche dall’elenco statunitense delle organizzazioni terroristiche. “Questo genere di cose non può essere risolto dall’oggi al domani – ha affermato l’alto rappresentante Ue – ma diciamo che i negoziati erano bloccati e sono stati sbloccati. Il che significa che c’è una prospettiva per raggiungere un accordo”.
La missione dell’Ue a Teheran
Borrell ha riferito che un inviato dell’Ue si è recato nella capitale iraniana questa settimana e che i colloqui sono andati “meglio del previsto”. A Teheran si è intrattenuto alcuni giorni Enrique Mora, alto funzionario che coordina i colloqui a Vienna sul ripristino dell’intesa sul programma nucleare. In linea con Borrell, il ministro degli Esteri iraniano Hossein Amir Abdollahian, che su Twitter ha definito i nuovi colloqui “un’altra opportunità per concentrarsi sulle iniziative al fine di risolvere le questioni rimanenti”. Di diverso parere l’amministrazione Usa, che ha espresso apprezzamento per la visita di Mora, avvertendo però che “un accordo rimane tutt’altro che certo”. “L’Iran deve decidere se vuole continuare a insistere con le sue condizioni estranee che non hanno nulla a che vedere con il nucleare, o se vuol trovare un accordo velocemente”, hanno riferito fonti del dipartimento di Stato, dichiarandosi comunque pronte a trattare.
L’accordo sul nucleare iraniano
L’accordo internazionale sull’energia nucleare in Iran, raggiunto a Vienna il 14 luglio 2015 fra il Paese, i membri del Consiglio di Sicurezza dell’Onu e la Germania, e l’Unione Europea, è stato patrocinato e voluto dall’amministrazione Usa di Obama e accettato dall’allora governo iraniano di Hassan Rouhani. Prevede una serie di restrizioni al programma nucleare in Iran e l’accettazione di ispezioni internazionali ai siti nucleari, nel quadro di regole stabilite negli anni ‘70 dal trattato di non proliferazione nucleare. L’Iran, in pratica, ha accettato di eliminare le proprie riserve di uranio arricchito – elemento che serve per costruire bombe atomiche -, di ridurre di due terzi, nell’arco di tredici anni, le sue centrifughe a gas, di non costruire nuovi reattori nucleari (ad acqua pesante), per i successivi quindici anni, di arricchire l’uranio solamente fino al 3,67% in un solo impianto e di convertire altri impianti al fine di ridurre e limitare la proliferazione nucleare. In cambio, per il Paese, è stata pattuita la fine delle sanzioni economiche imposte dall’Occidente proprio a causa del programma nucleare. Nel 2016, con Donald Trump, gli Stati Uniti si ritirano dagli accordi. Il presidente Trump promuove il ritorno di sanzioni contro l’Iran, accusando il Paese di avere infranto lo spirito degli accordi, ritenendoli da rifare. Tutto ciò ha dato vita a un circolo vizioso di diffidenza e turbolenza geopolitica. Con l’elezione di Joe Biden c’è stato un cambiamento di rotta, l’approccio verso l’Iran è nuovamente cambiato ed è emersa la volontà di ravvivare gli accordi presi a Vienna.