“Io, vittima di violenze, ho perdonato i miei aggressori. Dal Papa grande speranza”

Vatican News

La testimonianza di una giovane fuggita anni fa da Goma a Kinshasa, dove è stata accolta dal Centro Dream, iniziativa di Sant’Egidio che da 11 anni offre cure gratuite a chi soffre nel corpo e nell’anima. Il responsabile Capparucci: “L’unica regola, qui, è l’amore”. Nel pomeriggio saranno con Francesco in nunziatura. A dare voce ai bambini dell’Est, la giovane Alina: “Racconteremo il lavoro per insegnare a costruire la pace da piccoli”

Salvatore Cernuzio – Inviato a Kinshasa

È troppo piccola Adisa (nome di fantasia), per aver dovuto subire delle sofferenze così grandi. Vittima di violenze di ogni tipo da parte dei ribelli a Goma, la sua città a Est della Repubblica Democratica del Congo, quando aveva poco più di 18 anni, ammalatasi a seguito degli abusi, ha visto la sua famiglia disperdersi nel nulla a causa della guerriglia. Le è rimasta la sorella. I banditi nelle foreste vicino Goma l’hanno violentata. Poi le hanno rapite entrambe insieme ad altri bambini. Non riesce a spiegare bene come, Adisa, ma lei e la sorella sono riuscite a scappare a Kinshasa chiedendo “aiuto e spiegazioni”. Le ha accolte la Comunità di Sant’Egidio all’interno di quel raggio di luce nel buio degli orrori che è il Centro Dream, iniziativa attiva da undici anni nella capitale congolese per offrire cure e sostegno, assolutamente gratuito, a chi soffre nel corpo e spesso anche nell’anima.

La sua prima testimonianza

Oggi Adisa di anni ne ha 23 e cammina a testa alta con il suo corpo minuto, che ricorda quasi quello di una bambina. “Je suis un activiste. Sono un’attivista”, dice a Radio Vaticana – Vatican News. È la prima volta che decide di raccontare la propria testimonianza. Mentre parla stringe nervosamente una penna in una mano e una mascherina nell’altra. Non cede mai durante il colloquio, interamente condotto da lei, senza alcuna pressione ma nella massima libertà di raccontare solo ciò che sente di condividere. Alla fine corre dai medici che la curano da anni e, abbracciata a un’infermiera, scoppia in lacrime di liberazione. “Sì, ma sono forte”, ci tiene a precisare, asciugandosi con il polso.

Il Centro Dream a Kinshasa

Nuova vita a Kinshasa

Lo si vede che è forte. E lo si sente, specie quando assicura di aver perdonato i suoi aggressori: “Sicuramente li ho già perdonati. La Bibbia ci insegna questo”. Adisa si dice infatti riconciliata con il suo passato, verso il quale non guarda mai perché ora c’è la “nuova vita”, lì, alla periferia di Kinshasa nel Centro Dream, dove racconta di lavorare come volontaria per i malati e per le donne che, più delle cure mediche, hanno bisogno di una parola. “Noi attivisti siamo il sorriso che viene dato a chi arriva per la prima volta, viene accolto per le prime analisi o per i farmaci. Parlo molto anche con le altre donne”.

Il dolore del passato, il sorriso del presente

“Sono venuta a Kinshasa a causa della guerra, siamo stati sparpagliati non c’era più nessuno che sapesse qualcosa degli altri”, racconta ancora Adisa, ricordando la sua storia. “Per più di sei mesi siamo stati nella foresta ed è stata una esperienza terribile. Hanno violentato mia sorella, e siamo dovuti scappare ancora una volta. Un giorno ci hanno preso insieme ad alcuni bambini e ci hanno portato via. Siamo fuggite e siamo venute qui a chiedere: ‘Dov’è Sant’Egidio? Dov’è la Comunità?’. Volevamo che qualcuno ci accogliesse”. E con Sant’Egidio, spiega ancora la giovane, “abbiamo trovato l’amore, qualcuno che si è preso cura del nostro corpo, degli abiti, del cibo”.

“Piano piano ho ripreso il sorriso, adesso sto ricominciando a vivere. Non è facile”. La preoccupazione è per i parenti ancora a Goma, anche se Adisa dice di non essere neppure sicura che siano vivi. “Abbiamo ritrovato dopo qualche anno mia madre che non riuscivamo più a trovare. Degli altri non so nulla”. I legami con la famiglia sono stati brutalmente interrotti, invece a Kinshasa si costruiscono giorno dopo giorno: “Qui adesso vivo nell’amore, quando vengo trovo il dottor Julienne, il direttore, che mi chiede come stai e comincio a ridere, perché sono contenta che qualcuno si preoccupi di me. Qui ho trovato una famiglia”.

La missione del Centro Dream

D’altronde è questa la vocazione del progetto Dream, nato undici anni fa alla periferia della capitale congolese: “Zona completamente priva di servizi sanitari, in particolare sull’HIV”, spiega il responsabile Stefano Capparucci. “Abbiamo mosso i primi passi dando farmaci e cercando in particolare di lavorare sulla prevenzione e la trasmissione verticale madre-bambino. In questi anni sono transitate 18 mila persone, una parte di loro è ancora in trattamento e ci sono persone con malattie croniche”.

“È un centro in cui si vive la gratuità”, dice Capparucci, indicando la scritta su ogni porta della struttura: “Ici tout est gratuit”. “Siamo orgogliosi”, afferma. Lo sarebbe pure Floribert Bwana Chuy, ispiratore del progetto, ucciso a 26 anni a Goma, perché si era opposto alla corruzione. “Qui tutto è gratuito perché la salute non ha prezzo, vogliamo dare ai nostri pazienti le stesse cose che vorremmo per noi stessi in Italia, cioè l’eccellenza”, dice Capparucci.

“Ici tout est gratuit”

In nunziatura con il Papa

Nel centro, a pochi chilometri dall’aeroporto di N’Dolo, al quale si arriva tramite una strada poverissima senza asfalto, trovano ospitalità tante persone che scappano dalla guerriglia.

Il Centro Dream è quindi il ponte tra i due eventi del pomeriggio del viaggio di Papa Francesco in Repubblica Democratica del Congo: l’incontro in nunziatura con le vittime dell’Est e, subito dopo, quello con i responsabili delle opere di carità. Rappresentanti del progetto di Sant’Egidio saranno presenti ad entrambi gli appuntamenti. “Siamo insieme dal Papa a raccontare come, a partire dalla salute dei più poveri, si costruisce la pace, perché essere in salute e aver garantita la propria vita è il primo elemento per costruire la giustizia”.

La voce dei bambini dell’Est da Francesco

Adisa non ci sarà con il Pontefice: è ancora troppo presto per lei avere un impatto con una simile esperienza, per quanto dice di essere entusiasta della presenza del Papa per “un futuro di cambiamento”. Ci sarà però a dar voce a lei e tutta la gente di Goma e delle altre città orientali, Aline Minani, 33 anni, responsabile delle Scuole della Pace di Sant’Egidio a Goma. A Francesco consegnerà dei disegni realizzati dai bambini: “Portiamo il messaggio dei bambini di Goma, di Kiwu, di Masisi, di Butembo, di Beni, di Kichanga e di tutte le città dove si vive una situazione estremamente preoccupante. Città in cui ci si sveglia e non si sa cosa può succedere per la grande insicurezza e i ribelli a pochi metri da noi”.

Costruire la pace da piccoli

Oltre ai disegni, dei bambini dell’Est verrà presentata al Papa la testimonianza e il lavoro delle Scuole della Pace: “Sono circa 550 bambini che educhiamo a vivere insieme, nell’amore, nella non violenza. Gli insegniamo a non abbassare le braccia, a tenere cioè alta l’attenzione per risvegliare sentimenti di pace. Siamo sicuri che questa pace verrà, il Papa ci dà speranza in questo e siamo sicuri che da quello che ci dirà possiamo prendere una testimonianza che aiuti nel nostro lavoro. E che porterà un po’ di luce”.

Aline Minanni, responsabile delle Scuole della Pace a Goma