Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
La complessa trattativa della Segreteria di Stato con il finanziere Gianluigi Torzi, per recuperare le mille azioni con diritto di voto della società che controllava il Palazzo di Sloane Avenue 60 a Londra, è stata al centro della terza parte dell’interrogatorio del Promotore di Giustizia aggiunto Alessandro Diddi a Fabrizio Tirabassi, per quasi sette ore nell’Aula dei Musei Vaticani. Si è consumata così la ventitreesima udienza del processo per i presunti illeciti compiuti con i fondi della Segreteria di Stato, ma l’ex funzionario dell’ufficio amministrativo della Segreteria di Stato, accusato di peculato, corruzione, abuso d’ufficio, truffa ed estorsione, uno dei dieci imputati, dovrà essere sentito ancora il 14 e forse il 15 luglio.
Per la prima volta in aula il promotore Diddi, rappresentante dell’accusa, oltre a proiettare sul muro dell’aula immagini di email e chat di whatsapp, ha fatto ascoltare una lunga registrazione, accompagnata dalla trascrizione, dell’animato incontro tra tre imputati, Tirabassi, il finanziere Enrico Crasso (consulente esterno della Segreteria di Stato, che ha registrato il colloquio, senza avvisare gli altri due protagonisti), e Gianluigi Torzi. Durante quell’incontro i primi due cercavano di convincere il terzo ad accettare non più di 5 milioni di sterline – l’offerta massima di monsignor Alberto Perlasca, diretto superiore di Tirabassi – per cedere alla Segreteria di Stato quelle mille azioni “golden share” e con esse il controllo sul Palazzo degli ex Magazzini Harrod’s.
L’udienza si è aperta alle 9.45 con una dichiarazione spontanea di Tirabassi, entrato in Segreteria di Stato nel 1987 a 22 anni come dattilografo, e poi divenuto esperto di economia e contabilità, per alcune rettifiche su dichiarazioni rese nell’udienza del 31 maggio, perché “dopo 5 ore di interrogatorio ero teso e confuso”. Ha voluto precisare, a proposito dello Share Purchase Agreement (Spa) – l’accordo col quale Torzi e il suo avvocato Nicola Squillace hanno di fatto tolto al Vaticano il controllo dell’immobile di Londra – di non essersi accorto che solo le mille azioni della società Gutt che Torzi si era riservato avevano diritto di voto, ma non le 30 mila della Segreteria di Stato.
“È quello che ho sempre dichiarato in memorie e interrogatori” ha assicurato, perché Tozzi e Squillace, “nella riunione di Londra del 20-22 novembre 2018, dissero che quelle azioni servivano solo per consentire a Torzi di avere un diritto di amministratore e a gestire la società”. Nessuno, né lui, né Crasso, né Perlasca, “pensava di doversi tutelare da Torzi, perché sembrava collaborativo con la Segreteria di Stato per uscire da una situazione delicata”, quella del fondo Athena di Raffaele Mincione.
Ad avvisare del problema-inghippo delle golden share, ha raccontato Tirabassi nella sua dichiarazione spontanea, è stato il 16 dicembre l’ingegner Capaldo, esperto del mercato immobiliare londinese e già collaboratore di Torzi, ma “fino al 19 non sospettammo per nulla che Torzi si sarebbe rifiutato di restituire le mille azioni con diritto di voto. Con Perlasca sospettammo che volesse usarle come sua garanzia, come strumento per avere il contratto di gestione dell’immobile promesso da Perlasca, quindi procrastinava la restituzione”. Capite le intenzioni di Torzi, monsignor Perlasca – ha riferito sempre Tirabassi – si rivolse allo studio legale londinese Mishcon de Reya per cercare di ottenere la restituzione delle azioni.
Prima della ripresa dell’interrogatorio del promotore Diddi, il presidente del Tribunale Giuseppe Pignatone ha chiesto all’ex funzionario della Segreteria di Stato perché a Londra a definire il passaggio dal Fondo di Mincione a quello di Torzi, sia andato Crasso e non un legale. Tirabassi ha spiegato che è stata una scelta di Perlasca, per la fiducia che aveva nel finanziere di Credit Suisse e “per risparmiare sulla parcella di un legale”. E poi Perlasca “all’inizio si fidava di Torzi”.
Tirabassi ha spiegato che Perlasca tendeva a non comunicare tutti i particolari delle trattative al sostituto della Segretaria di Stato monsignor Peña Parra “per non dargli il peso della cosa”. E ha ammesso che la lettera di procura che autorizzava Perlasca a firmare la contestata Spa per la divisione delle azioni, datata 22 novembre, era stata sottoposta e fatta firmare al sostituto solo il 26 novembre. Incalzato dalle domande di Diddi, l’ex funzionario della Segreteria di Stato ha ripercorso le successive tappe della trattativa con Torzi, che in un primo momento, oltre ad autonominarsi presidente della Gutt che controllava il Palazzo di Londra, nominò Tirabassi amministratore il 27 novembre ma senza un’assemblea dei soci, solo con una delibera.
E si arriva così alla riunione all’Hotel Bulgari di Milano del 19 dicembre, quella registrata da Crasso. “Era finalizzata ad una via d’uscita bonaria… con la cessione delle mille azioni ad un prezzo massimo di 5 milioni, a titolo dell’intermediazione svolta da Torzi per il trasferimento del Palazzo dal fondo di Mincione”. “Arrivò a chiedere fino a 15 milioni, o almeno 10 – racconta Tirabassi – diceva di aver dovuto sostenere tante spese, senza giustificarle”. Diddi lo ha incalzato chiedendo perché Torzi chiedeva di investire 50 milioni di sterline in un’obbligazione e un fondo legato a crediti sanitari in sofferenza, in cambio della cessione delle mille azioni, dicendo che Tirabassi “glieli aveva promessi”. Ma l’ex-funzionario della Segreteria di Stato ha negato questa circostanza.
L’interrogatorio di Diddi arriva al 22 dicembre e all’incontro col Papa chiesto da Intendente, il legale di Torzi, con Milanese, per manifestare il loro stupore che la Segreteria di Stato ad un mese dalla conclusione degli accordi non avesse ancora attivato il contratto di gestione. Davanti alla preoccupazione di Peña Parra, presente a questo incontro, Tirabassi ha ammesso di non aver capito il valore delle 1000 azioni con diritto di voto, e che era pronto ad accettare ogni decisione nei suoi confronti, per essersi “fatto raggirare da Squillace e da Torzi”. Alla fine prima Milanese poi Dal Fabbro, amico personale di Tirabassi, furono coinvolti nella trattativa con Torzi, che accettò 20 milioni di sterline, alla fine ridotte a 15, a maggio 2019, da accordi tra gli studi legali, per lasciare le azioni con diritto di voto.
L’udienza si è chiusa alle 18 ma il processo prosegue già domani, 8 luglio, con l’interrogatorio dell’imputato Nicola Squillace e il 14 luglio, con possibile prosecuzione il 15, ancora con Tirabassi. Il Promotore Diddi ha chiesto all’Apsa di poter acquisire agli atti il contratto di vendita dell’immobile di Sloane Avenue.