Marina Tomarro – Città del Vaticano
Un agricoltore morto e decine di feriti, almeno 86 fra gli agenti. È questo il bilancio degli scontri avvenuti ieri a New Dehli. Gli agricoltori dallo scorso novembre sono accampati alla periferia della città, per protestare contro la riforma agricola voluta dal governo. Una normativa che prevede la liberalizzazione del mercato. Infatti, queste nuove leggi deregolamentano il mercato finora protetto dallo Stato, liberalizzando i prezzi dei prodotti agricoli e aprendo al capitale privato. In questo modo i lavoratori della terra temono di perdere le loro attività, inghiottite dalle grandi multinazionali. I contadini, oltre a chiedere l’abolizione della riforma, rimproverano all’esecutivo di averla varata senza alcuna consultazione con il sindacato, respingendo un’offerta di sospensione per 18 mesi.
Le proteste non si fermano
I manifestanti avevano ottenuto l’autorizzazione dalla polizia a protestare con trattori, moto, cavalli, a piedi, a patto che si tenessero fuori dal centro, dove si teneva la parata militare alla presenza del premier, Narendra Modi. Ma alcuni di loro non hanno rispettato i patti, causando violenti scontri. Alcune stazioni della metropolitana sono state chiuse. Sospesi anche parte dei servizi internet. Vari manifestanti sono riusciti ad arrampicarsi sui bastioni del Forte Rosso, issando il vessillo dei Sikh. La polizia per ora ha fatto rientrare alla periferia di Delhi gli agricoltori, che restano però sul piede di guerra. “Ho promesso alla mia famiglia e agli abitanti del mio villaggio che non tornerò a casa fino a quando le leggi non saranno abrogate”, ha detto Jaspal Singh, un contadino del distretto di Gurdaspur nel Punjab. Intanto il Samyukta Kisan Morcha, la rete delle principali organizzazioni contadine, che da due mesi gestisce la protesta contro la riforma del commercio agrario, si è dissociato dai protagonisti delle violenze di ieri a Dehli e ha spiegato in un comunicato di “condannare questi eventi inaccettabili, dissociandosi dagli elementi antisociali che li hanno compiuti”.
L’appello della Chiesa
“Nel nostro Paese – spiega monsignor Peter Machado, arcivescovo di Bangalore – i contadini sono molto importanti, perché lavorano per produrre il cibo, che è indispensabile per tutti noi. Eppure sono molto poveri, soffrono molto e spesso hanno debiti, perché adesso, con l’avvento di tante industrie e di molte macchine che a volte vanno a sostituire il loro lavoro manuale, rischiano di vedere aumentare la loro indigenza. Noi, come Chiesa, cerchiamo di aiutarli attraverso una serie di iniziative sociali, ma non sempre è facile. Per questo chiediamo al governo di ascoltarli e cercare insieme una soluzione che vada bene per entrambi”.