Adriana Masotti – Città del Vaticano
Giovanni Battista Scalabrini è stato proclamato beato da San Giovanni Paolo II il 9 novembre 1997. Nato l’8 luglio 1839 e morto il 1 giugno 1905, fu vescovo della diocesi di Piacenza-Bobbio e fondatore di due Congregazioni: i missionari e le suore missionarie di San Carlo Borromeo, più conosciuti come scalabriniani e scalabriniane, ma a lui si è ispirato anche l’Istituto delle missionarie secolari scalabriniane, avviato nel 1961. L’intera Famiglia Scalabriniana sarà da oggi impegnata in un Anno di speciali iniziative per festeggiare i 25 anni dalla sua beatificazione, ma ancora di più per diffondere il suo pensiero e la sua opera in particolare a favore dei migranti, secondo le parole di Gesù: “Ero straniero e mi avete accolto”.
Scalabrini si è fatto tutto a tutti
Significative le parole con cui Papa Wojtyła presentava ai fedeli il nuovo beato: “Profondamente innamorato di Dio e straordinariamente devoto dell’Eucaristia, egli seppe tradurre la contemplazione di Dio e del suo mistero in una intensa azione apostolica e missionaria, facendosi tutto a tutti per annunciare il Vangelo. Questa sua ardente passione per il Regno di Dio lo rese zelante nella catechesi, nelle attività pastorali e nell’azione caritativa specialmente verso i più bisognosi”. L’Anno che si apre oggi è per la sua Famiglia soprattutto l’invito a seguirne le orme, a raccontare della sua passione per i migranti affinché altri sentano la stessa passione e intervengano, a tutti i livelli, nella Chiesa e nella società, per favorire l’accoglienza di quanti sono lontani dalla propria terra.
Suor Lina Guzzo: ciascuno ha diritto a una vita migliore
La scalabriniana suor Lina Guzzo, di origini venete, è vice postulatrice della Congregazione delle suore missionarie per la causa di canonizzazione del beato Scalabrini, vive oggi a Messina, ma in questi giorni è a Como per partecipare alle iniziative di inaugurazione dell’Anno Scalabriniano in programma oggi: la Messa solenne di apertura alle 10 e alle 15 la Messa con gli immigrati nella chiesa di San Bartolomeo, poi, a fine giornata, la recita dei Vespri in Duomo insieme alle religiose e ai religiosi della diocesi. Ai microfoni di Vatican News, suor Lina parla del significato di questo Anno, del carisma del beato Scalabrini, di come l’attenzione che aveva per i migranti prosegua attraverso la Famiglia Scalabriniana e ci offre la sua personale esperienza:
Suor Lina, Giovanni Battista Scalabrini è riconosciuto testimone esemplare di amore per Dio e per i fratelli. Vuol dirci chi è stato e che cosa c’è al centro del suo carisma?
Scalabrini è l’uomo della pace, l’uomo che osserva la realtà delle persone nel presente; un uomo di Chiesa, un uomo del sociale, sensibilissimo. Da lui abbiamo ricevuto questo carisma che è quello di dare attenzione alla persona, dalla nascita alla morte. Inizialmente questo vescovo della diocesi di Piacenza, ma un vescovo universale perché ha abbracciato il mondo, si è interessato di vari aspetti: delle mondine, dei sordomuti, dei migranti e della fede di queste persone. Ecco, quest’uomo è stato in una parola “poliedrico” cioè aperto a tutto, ma soprattutto a tutti.
Celebrare un Anno dedicato ad un fondatore, non è solo ricordare. Con quali intenzioni voi intendete viverlo?
Come Scalabrinani noi pensiamo che Scalabrini sia una figura che deve essere più conosciuta nel mondo, lui si è rivolto in particolare ai migranti e ai rifugiati, però il mondo deve sentire che quest’uomo è un attento padre di queste persone. Allora, quest’anno attraverso vari eventi, noi vogliamo ricordare il cristiano, il vescovo, l’uomo attento al sociale, colui che non ha aspettato che facessero gli altri, denunciava una situazione, ma poi si rimboccava le maniche. Noi vogliamo che sia riconosciuto il pastore, il padre dei migranti e l’apostolo del catechismo, e stiamo quindi escogitando varie attività non solo in Italia ma in tutti i cinque continenti dove noi viviamo, coinvolgendo soprattutto le Chiese locali, le parrocchie, le missioni e tutti coloro che vedono la situazione dei movimenti migratori, ma che devono sentirli con quella forza che Scalabrini ha avuto alla fine dell’800 e all’inizio del ‘900. Quindi noi vorremo testimoniare e proclamare tutto questo e portare alla sua devozione, infatti, desideriamo che venga anche riconosciuto santo, che venga canonizzato in un momento così particolare delle migrazioni come quello attuale.
Tema di quest’anno speciale è: “Fare patria dell’uomo il mondo”, sappiamo quante persone siano in cerca di una nuova patria. Il beato Scalabrini aveva cercato di dare risposta a questo problema….
Sì, è un tema molto forte. Altre volte lui diceva che per il povero “la patria è la terra che gli dà il pane”. Noi ci domandiamo: quando si arriverà a pensare che per mangiare, per non morire di fame, le frontiere devono cadere? Quando arriveremo a dire: io ho il diritto di spostarmi per vivere una vita tranquilla, una vita migliore e dire che dove trovo il pane, posso essere sereno e libero di pregare, libero di trovare ciò che serve al mia famiglia e per vivere nella società con un lavoro? Questo è il senso forte di “Fare patria dell’uomo il mondo”, cioè una libertà che è un sogno per chi parte dalla lontana Africa o dalla lontana Asia per arrivare in Europa rischiando: rischiando nel deserto, rischiando nelle prigioni, nell’attraversare il mare, rischiando poi di arrivare in Paesi ricchi e di non trovare un’accoglienza umana, dove uno si senta libero di esprimere quello che vive sempre nel rispetto delle leggi, certo. Questa è una grande preoccupazione per noi che siamo missionari con un carisma così attuale, ma dovrebbe essere la preoccupazione del mondo intero, a partire dai capi delle nazioni, perché non ci siano più queste disuguaglianze, perché non ci siano questi scartati, lasciati morire di fame, o non protetti nel vivere la propria fede. Noi siamo fortunati con Papa Francesco che non passa giorno che non dica parole come “migrante”, “attenzione”, “accoglienza”, “rispetto”. Parole che sono sprone per noi, ma anche per i politici, per i servizi sociali. Era questa l’intenzione di Scalabrini quando ha inviato alcune di noi, accompagnate da un missionario, in America: dare attenzione agli emigrati italiani nell’800 e far sì che dove si trovavano potessero vivere la propria fede.
E ora come portate avanti questa vostra missione, questo compito a fianco dei migranti di oggi?
Tutti noi della Famiglia Scalabriniana ci stiamo dando da fare. Personalmente da 56 anni io sono con i migranti e, negli ultimi anni, proprio in quel punto focale che sono i porti, nel porto di Reggio Calabria, dove arrivavano i migranti vivi e morti e si cercava di dare quel sorriso, quel piccolo sollievo a queste persone. Allora noi ora cerchiamo di portare avanti il carisma di Scalabrini attualizzandolo in base a quella che è l’evoluzione della mobilità, l’evoluzione anche della politica degli Stati, dei governi, delle leggi che vengono emanate, che vengono rispettate o non messe in pratica. Noi suore scalabriniane, in questo momento siamo nei grandi punti nevralgici, realizziamo dei progetti dove i migranti vivono nell’emergenza come i grandi campi profughi a Lesbo e ora in Mozambico. Personalmente sono stata lungo la frontiera francese, a Ventimiglia.
Voi offrite anche corsi e opportunità di formazione, ad esempio per le donne migranti, oltre che accoglienza immediata…
Certamente, è un punto importante questo: lì dove siamo, noi ci occupiamo di formazione. Cerchiamo di offrire corsi di italiano, corsi di preparazione al lavoro e poi diamo attenzione ai bambini e ai ragazzi con l’aiuto scolastico. Cerchiamo di favorire la formazione di queste persone perchè possano integrarsi nel mondo che riescono a raggiungere. Ed è una grande soddisfazione, quando ti dicono: “Guarda qua il mio diploma, guarda le mie chiavi di casa, guarda il mio contratto di lavoro ecc…”, questo è il raggiungimento di questa patria che è il mondo per ogni uomo che nasce. Perchè Dio ha creato il mondo per l’uomo, non l’ha creato per l’italiano o per l’americano, l’ha creato per tutti.
Suor Lina, lei diceva che ha lavorato con i migranti in arrivo in Italia. Che cosa ha sperimentato con loro?
Ho lavorato nel porto di Reggio Calabria e in Albania, questi sono stati due momenti forti, diciamo, con i migranti e lavoro con loro tutt’ora a Messina dove ora non ci sono sbarchi, ma comunità etniche e faccio esperienze interiori fortissime che sono una lezione. Non è una frase detta così per dire, ma io nei miei 56 anni di vita consacrata scalabriniana sto imparando più di quanto stia dando. Porto solo un piccolo esempio: dopo uno sbarco, in una fila dove i migranti attendevano di essere identificati, un ragazzo mi diceva: “ho fame, ho fame”. Erano 900 le persone sbarcate e io non ne avevo più di brioches o qualcosa da mangiare, ma il ragazzo che stava davanti a lui, un africano di lingua portoghese, mi fa: “mamma – loro dicono sempre mamma quando ci incontrano -, non ti preoccupare se lui ti chiede da mangiare, è giusto perchè è da tanti giorni che non mangiamo, però noi qui in questo momento mangiamo la libertà. Ecco quello che dà il senso della dignità della persona umana! Anche quello che ho vissuto in Albania, dove c’erano i rifugiati: 50 persone ospiti nella casa dove abitavo e 36 di questi al di sotto dei 16 anni. Sono tutte esperienze che mi aiutano a dire: Signore Gesù, tu hai fatto l’esperienza del rifugiato, fa che alla fine della mia vita io possa dire “ecco, quello che ho potuto l’ho compiuto, ma solo con la tua grazia e con l’esempio di queste persone venute da lontano, ma in cerca della libertà”.