In un bosco di noci, la cura della terra e delle ferite umane

Vatican News

Cecilia Seppia – Città del Vaticano

È il 2013 quando Hamidah, dalla Nigeria, arriva al Centro Nocetum. E’ sola, per giunta incinta, al settimo mese di gravidanza, ma del bimbo che porta nel grembo non sa nulla o meglio sembra non volerne sapere. Da poco, grazie ad un’associazione, è riuscita a venir fuori dal racket della tratta che per anni l’ha costretta a prostituirsi subendo violenze e torture di ogni genere. Il volto, giovane e bello, ha i segni di quello sfregio della dignità proprio di chi è vittima di schiavitù e una cicatrice profonda procurata dal suo “protettore”, il giorno in cui Hamidah è scappata. Negli occhi la paura, la rabbia, la solitudine. Non parla bene nemmeno l’inglese, non si fida di nessuno, è difficile da gestire. Gloria Mari, responsabile del Centro che sorge a sud di Milano, è la prima ad accoglierla. Insieme agli altri membri della comunità, cerca una via di dialogo e l’amore sembra essere l’unica percorribile. “Hamidah era sempre triste, spaventata, arrabbiata. Noi le abbiamo offerto un riparo e insieme abbiamo atteso il giorno del parto, cercando di trasmetterle la gioia di questa nascita imminente. Una sera sono iniziate le doglie, Hamidah stava male – racconta Mari – e così abbiamo chiamato l’ambulanza. Gli operatori sanitari mi hanno detto di salire a bordo e accompagnarla in questa corsa. Io mi sentivo inadeguata, capirai sono una geologa, vengo da tutt’altra formazione, non sapevo nulla di parti, ma loro sono stati perentori: ‘resti accanto a lei’. Per tutto il tragitto mi sono limitata ad abbracciarla, a tenerle la mano, e una volta in sala parto, ad incoraggiarla. Poi ad un tratto ho assistito al miracolo della vita: dopo qualche ora di spinte e fatica, è nata Vittoria, una bimba bellissima e mentre Hamidah la teneva stretta a sé, per la prima volta, l’ho vista sorridere. Niente ti ripaga quanto il sorriso di qualcuno al quale offri il tuo aiuto. Mi è venuto spontaneo ringraziare Dio per quel dono immenso, per la bellezza, dopo tante sofferenze e tanti orrori. Vittoria le ha cambiato il carattere, ma soprattutto le ha offerto una prospettiva di futuro. Nei mesi successivi Hamidah è rimasta con noi, ha voluto persino battezzare sua figlia e per quanto riguarda me, questa esperienza mi ha cambiato profondamente”.

Custodire e accogliere

Di storie come queste a Nocetum ce ne sono tante, come tanti sono gli ambiti in cui questa realtà, in modo sorprendentemente interconnesso, riesce ad operare: luogo di spiritualità, di custodia del Creato e insieme di accoglienza delle persone più fragili e “invisibili”, il Centro nasce dall’intuizione di suor Ancilla Beretta, nel 1988, a Cascina Corte San Giacomo, a sud di Milano, e traduce nei fatti quella “ecologia integrale”, auspicata da Papa Francesco nella Laudato si’, per coniugare la dimensione ambientale con quella sociale. Il nome lascia già intendere una vocazione che nei primi anni di attività non si era ancora manifestata: Nocetum è infatti il toponimo latino di un antichissimo bosco di noci che circondava l’attuale chiesetta dei Santi Filippo e Giacomo, cuore pulsante del Centro. “La storia di Nocetum – prosegue Mari – inizia proprio con la preghiera in questa piccola chiesa che veniva usata dai primi cristiani per sfuggire alle invasioni barbariche e alle persecuzioni. Come allora, anche nel terzo millennio continua a essere un rifugio per chi sfugge alla confusione, alla convulsione della città, ma anche a dare riparo a chi non ha più una casa, un tetto, come Hamidah, come tanti migranti che scappano dalle proprie terre, minacciati dalla guerra, dalla fame, dalla povertà; inoltre l’allora arcivescovo di Milano, il cardinale Martini, ci aveva dato un mandato ben preciso: ascoltare i bisogni della città. E così, con molto coraggio, e un poco di incoscienza, abbiamo affittato la Cascina Corte San Giacomo, all’epoca abbandonata e nel cuore di una zona di forte degrado sia ambientale sia civile, abbiamo iniziato a pregare e a progettare il futuro”.

Ora et labora

Immerso nel verde, via di accesso al ‘Parco agricolo sud Milano’, inserito nel Cammino dei Monaci, che hanno fatto la storia del Medioevo cristiano in Italia, ma con alle spalle i classici grigi palazzoni della periferia metropolitana, Nocetum nel tempo è divenuto un simbolo di coesione sociale e sostenibilità ambientale. “Venendo da una spiritualità che risente molto della vicinanza dell’abbazia di Chiaravalle e di altre realtà legate al monachesimo – riprende Gloria Mari – abbiamo sentito, negli anni la necessità di abbinare alla preghiera anche una fattibilità”. Insomma, accanto all’ora, anche il labora. E quello di questa comunità è un lavoro che non si ferma mai. Siamo per lo più orientati all’accoglienza di mamme e bambini, che arrivano qui da noi dopo segnalazione dei Servizi Sociali del comune di Milano, ma anche di persone fragili e più disagiate o in stato di messa alla prova. Siamo una comunità educativa e una cooperativa sociale; ci occupiamo di inserimenti lavorativi, sempre di persone svantaggiate, che permettono di portare avanti l’area produttiva di Nocetum: un ettaro di campo da coltivare, il nostro laboratorio, la cucina a chilometro zero, anzi a metri zero, perché a Nocetum, si cammina davvero tra le zolle, le erbe aromatiche, gli alberi da frutto. Coltiviamo e accudiamo gli animali insieme a professionisti e tirocinanti; produciamo tutto in modo biologico, non usiamo pesticidi o insetticidi e cerchiamo di essere sostenibili”.

Attenzione alle ‘pietre vive’

Il richiamo alla Laudato si’ qui a Nocetum è costante. “Noi cerchiamo ogni giorno di mettere in pratica l’ecologia integrale di Papa Francesco, assicura la responsabile del Centro. Tra l’altro questa enciclica risponde pienamente ad un interrogativo che noi ci ponevamo da tempo: la dimensione dell’accoglienza e dell’attenzione al povero, all’escluso e la tutela della Casa comune, davvero si possono parlare, possono comunicare tra loro? Oppure è solo un’utopia? Ha senso quello che stiamo facendo oppure è qualcosa che ci siamo inventati noi? Leggendo la Laudato si’ ci si è aperto il cuore anche per la dimensione ecumenica di cui il Santo Padre parla e che noi respiriamo e viviamo costantemente: chi lavora qui da noi, spesso non è credente, non è praticante, oppure appartiene ad un’altra religione, eppure la diversità trova unità nello scopo di un riscatto sociale e nella cura dell’ambiente. Forse alcune cose di questo testo le abbiamo previste, nel nostro piccolo le stavamo già mettendo in pratica, ma le sue indicazioni sono state cemento e spinta al tempo stesso. Una notte abbiamo accolto un gruppo di rom scampati ad un incendio che è avvenuto in diretta, davanti ai nostri occhi. La Cascina non era ancora ristrutturata, non sapevamo dove metterli, così abbiamo aperto la chiesetta, che è anche riscaldata e messo in terra materassi e coperte. Non tutti nel quartiere erano d’accordo con questo gesto. Ci dicevano: ‘ma questi puzzano, questi sono rom, bisogna stare attenti’. Invece attraverso questa esperienza, ho avuto la certezza che loro sono forse più figli di Dio di quanto non lo siamo noi, fanno parte della Creazione, esattamente come noi. Voglio dire che chi si riempie la bocca con messaggi che vanno nella direzione della tutela, della cura dell’ambiente, ma poi disprezza i poveri, non sta facendo un servizio al Creato. Al di là delle pietre nel senso stretto del termine noi dobbiamo avere attenzione alle pietre vive, alle persone, che formano la casa di Dio”.

Le altre attività

Oltre alla casa di accoglienza, Nocetum organizza percorsi didattico-educativi per scuole e gruppi, attività di volontariato ed iniziative per favorire l’integrazione e la coesione sociale, inoltre si fa promotore di progetti ed attività volte alla valorizzazione del territorio, anche in collaborazione con Caritas Ambrosiana. “Il nostro punto di partenza – ribadisce Mari – è sempre mettere al centro la persona. Stando in periferia veniamo spesso a contatto con gli scarti e gli scartati della società, non solo i poveri e i senzatetto, ma anche quanti, pur avendo uno stipendio a fine mese, non si ritrovano nella logica di una città che chiede sempre di più: più produttività, più efficienza, provocando lo sfaldamento della famiglia e dei legami affettivi. Padri che non sono mai a casa, bambini che praticamente vivono per strada. Quindi mettere in campo un’azione forte contro lo scarto e lo spreco, dando dignità alla persona, era per noi la risposta primaria. La nostra vocazione alla salvaguardia ambientale ci ha permesso inoltre di agire sul territorio restituendogli la sua bellezza originaria: abbiamo ripiantato alberi da noce, le rose, i fiori; sono state aggiunte altre specie autoctone da frutta per un totale di circa 160 alberi, oltre a numerosi arbusti per la produzione di piccoli frutti ed una porzione ad orto. E la gente si stupiva di questa bellezza diventata anche fucina di lavoro per donne a bassa scolarizzazione. Cerchiamo anche di insistere su quella che noi chiamiamo economia circolare, insegnando a smaltire correttamente i rifiuti, ad evitare sprechi, è una lezione quotidiana che parte però dalla testimonianza. Solo la testimonianza ti rende credibile!”

Il ‘pane’, primo elemento di coesione

“In questi anni abbiamo accolto persone dai cinque Continenti e abbiamo visto che un po’ tutte le donne, magari non conoscevano la lingua, avevano un credo differente, abitudini e usanze diverse che rendevano difficile la comunicazione ma tutte avevano familiarità col cibo, tutte sapevano cucinare qualcosa di tipico della loro terra. Così il cibo è stato l’elemento di aggregazione: da qui l’ortofrutteto, l’agricoltura sociale, la ‘Cucina Nocetum’, un servizio di ristorazione che riserva particolare attenzione alla provenienza dei prodotti e alla loro genuinità e che dà lavoro a diverse persone. L’apicoltura e la nostra bottega dove vendiamo il miele; e poi la distribuzione del pacco viveri che ci permette di incontrare e aiutare tanta gente, semplicemente dando loro da mangiare. Non molto tempo fa, dopo un periodo di permanenza con noi, una donna ci ha lasciato per essere trasferita da un’altra parte. Prima di partire cercava un modo per ringraziarci ma non aveva nulla da offrire. Alla fine ci ha detto: ‘datemi acqua e farina’. E ci ha preparato un pane tipico del suo Paese. La cosa che mi è rimasta impressa è che sulla forma di pane ha tracciato una croce, e lei era musulmana!”