Fausta Speranza – Città del Vaticano
Si sono aperti in Tunisia i seggi per il referendum popolare sulla nuova Costituzione voluta dal presidente Kais Saied. Gli oltre nove milioni di cittadini chiamati alle urne devono semplicemente esprimersi sull’approvazione o meno del testo proposto da Saied. Non è fissato un quorum, quindi la Carta passerà con la maggioranza di “sì” dei voti espressi, ha precisato la Commissione elettorale (Isie), aggiungendo che i risultati ufficiali saranno annunciati tra il 26 e il 27 luglio.
I timori
La nuova Costituzione, se approvata, concederà ampi poteri al presidente che eserciterà la funzione “esecutiva” con l’aiuto di un governo e avrà altresì una forte influenza sul piano legislativo e su quello giudiziario. Dall’opposizione e dalla società civile si sono levate voci di critica che esprimono il timore per una deriva autoritaria del Paese e che invitano a non recarsi alle urne o a votare no. A controllare le operazioni di voto ai seggi, che chiudono alle 22:00 (ora locale, le 23:00 in Italia), sono stati schierati 84.000 agenti. Poche invece le missioni degli osservatori internazionali: ci sono osservatori dell’Unione Africana, della Lega Araba, del Carter Center.
Alla base delle proteste, politica e carovita
Manifestazioni contro il carovita si registrano periodicamente dal 2018. In particolare negli ultimi mesi lo scontento per l’aumento dei prezzi alimentari e quello dei carburanti che investe molti Paesi si è esasperato. Di diversi aspetti che rendono la situazione complessa abbiamo parlato con l’arcivescovo di Tunisi, monsignor Ilario Antoniazzi:
Monsignor Antoniazzi ricorda che Saied è stato il presidente più votato nella storia della Tunisia, per sottolineare quante speranze la popolazione avesse riposto nella sua presidenza.
Il fattore economia
Ma – ricorda – l’economia è andata male e la gente da mesi e mesi non riesce a vedere la prospettiva di un futuro migliore. I prezzi sono aumentati e – ricorda l’arcivescovo – si fa sentire la crisi del grano perché anche la Tunisia è tra i Paesi che importano dall’Ucraina. C’è stato un momento – spiega – in cui è mancato il pane e questo non può lasciare la popolazione indifferente.
Diverse dinamiche politiche
Monsignor Antoniazzi parla della Costituzione soffermandosi sui timori di tanti, sull’ipotesi di una deriva dittatoriale e per il fatto che sono davvero tanti i poteri che si verrebbero ad assommare nella figura del presidente. A questo proposito, il presule ricorda che per molti anni i tunisini hanno vissuto democrazia e libertà di azione e di coscienza e dunque non intendono facilmente fare passi indietro. Oltre a questo individua però un altro motivo alla base di alcune manifestazioni: si tratta di proteste alimentate dai sostenitori dei partiti islamici che durante la presidenza di Saied hanno perso il potere che avevano acquisito. Sono diverse dunque le spinte – afferma l’arcivescovo – che fomentano le tensioni.
La Tunisia Paese pilota
A fine 2010 proprio dal Paese è partito il primo disperato gesto di ribellione – l’ambulante che si è dato fuoco – che ha messo in moto i vari movimenti denominati primavera araba. In Tunisia – ricorda l’arcivescovo di Tunisi – viene ricordata come la rivoluzione dei gelsomini, ma – sottolinea – purtroppo l’evoluzione non è stata proprio quella sperata. Secondo monsignor Antoniazzi alla rivoluzione è poi mancata una direzione, una leadership che indicasse una strada. Fa l’esempio di un cavallo in corsa che fa cadere il peso che porta e che non trova nessuno che lo indirizzi. Dal punto di vista della popolazione i partiti che si sono succeduti in questi anni sono stati deludenti. E – afferma – la situazione oggi secondo tante persone è senza speranza. Monsignor Antoniazzi parla di preoccupazione ricordando che la Tunisia è un Paese pilota per molti Paesi arabi e sotto certi punti di vista è una porta dell’Africa. La crisi fa paura – aggiunge – anche vista dall’Unione europea.
La risorsa giovani
L’arcivescovo di Tunisi ricorda che si tratta di una popolazione giovane e che moltissimi dei ragazzi sono laureati o comunque istruiti. Parla di un popolo che ama la libertà e la pace e che dunque vuole superare le crisi. Può farlo – ribadisce – proprio se si offrono opportunità alle nuove generazioni che rappresentano la speranza.