In Myanmar record di violenza e povertà in un conflitto senza fine

Vatican News

Secondo i dati dell’Armed Conflict Location and Event Data Project (ACLED), che analizza le statistiche sulle guerre nei cinque continenti, il Paese asiatico è il luogo più violento del mondo

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 Il Myanmar è il luogo più violento del mondo, secondo i dati rilasciati dall’Armed Conflict Location and Event Data Project (ACLED), organizzazione internazionale senza scopo di lucro, indipendente, che raccoglie, classifica e analizza dati sui conflitti in tutti i paesi e territori del mondo. Il conflitto civile, iniziato nel febbraio 2021 quando l’esercito ha rovesciato il governo democraticamente eletto, secondo l’ACLED ha causato la morte di almeno 50.000 persone, tra cui almeno 8 mila civili, e ha causato lo sfollamento di circa 2,3 milioni di persone (dati ONU). È un conflitto che Papa Francesco non manca di citare ei suoi appelli per la pace: “Non dimentichiamo il Myanmar e tanti Paesi che sono in guerra” ha chiesto nell’ultima udienza del 12 giugno.

L’Operazione 1027

Come ricorda l’agenzia Fides, mentre il fronte, ampio e articolato, della resistenza ha ottenuto successi significativi nelle aree di confine (strategiche anche per il commercio), il Myanmar centrale e le maggiori città restano roccaforte dei militari del regime. Sette mesi dopo la nota “Operazione 1027” – attacco da parte dell’Alleanza delle Tre Fratellanze e dei loro alleati – il conflitto prosegue cruento. L’Operazione 1027 ha avuto l’effetto di conquistare decine di luoghi chiave, costringendo alla resa di circa 4.000 soldati. L’offensiva si è allargata dallo stato Shan alo allo stato di Karenni, poi allo stato di Arakan e agli stati di Kachin, Chin e Karen.

Opposizione al regime frammentata

Secondo un’analisi condotta da “Myanmar Peace Monitor”, citata ancora da Fides, la resistenza ha conseguito successi strategici ma non ha una alleanza coordinata sotto il Governo di Unità Nazionale (NUG) come molti avevano auspicato. Ovvero il fronte della opposizione al regime è frammentato tra le Forze di Difesa Popolare (PDF), e le organizzazioni armate etniche che continuano a combattere con l’unico interesse unificante di rovesciare la giunta. Non esiste una struttura di comando coordinata, né un solido accordo politico.
Negli ultimi mesi si è assistito alla cattura di 55 città da parte delle forze della resistenza, tuttavia, l’affermazione secondo cui i militari controllano meno del 40% del Paese – si nota – appare una distorsione della realtà: infatti il Myanmar centrale, dal delta dell’Irrawaddy a Mandalay, rimane sotto il fermo controllo della giunta. A Naypyidaw, Yangon, Mandalay e nelle città principali, la vita è “normale”, anche se le forniture di elettricità sono al minimo.

Crisi economica e aumento della povertà

Il protrarsi del conflitto ha una grave incidenza sull’economia e sull’aumento della povertà. Nell’ultimo “Myanmar Economic Monitor” la Banca Mondale ha previsto che il prodotto interno lordo del Myanmar crescerà solo dell’1% nell’anno finanziario che si concluderà a marzo 2025. La situazione è notevolmente peggiorata nell’ultimo anno, da quando la giunta ha preso il controllo di molti dei più importanti valichi di frontiera del paese e delle rotte commerciali via terra verso Cina, Bangladesh e India. Sfollamento, perdita di posti di lavoro e di reddito hanno cancellato gran parte dei precedenti progressi nella riduzione della povertà, afferma il rapporto, segnalando “prospettive economiche molto deboli, con poca tregua per le famiglie del Myanmar nel breve e medio termine”. Inoltre Il piano di coscrizione obbligatoria, annunciato a febbraio dalla giunta nel tentativo di ricostituire i ranghi dell’esercito sempre più assottigliati, “ha intensificato la migrazione verso le aree rurali e all’estero, ampliando carenza di manodopera in alcuni settori dell’economia”, si afferma.

Dal colpo di stato del 2021, la comunità internazionale ha imposto sanzioni economiche per limitare la capacità dei generali militari di arricchirsi grazie alle risorse naturali e alle imprese sotto il loro controllo, ma i militari eludono le sanzioni vendendo legname anche di contrabbando, soprattutto verso India e Cina. La cattiva gestione dell’economia da parte dei militari ha provocato una crisi economica per gran parte della popolazione, provocando il raddoppio dei tassi di povertà rispetto a marzo 2020. Come afferma l’Alto Commissariato Onu per i Diritti umani, quasi la metà della popolazione vive ora in povertà e le popolazioni rurali sono a rischio di fame. poiché l’esercito impone ulteriori restrizioni all’accesso alle aree colpite da violenza e conflitto. Ad aggravare la situazione, le principali vie di rifornimento e i corsi d’acqua in tutto il Paese sono state bloccate, impedendo agli operatori umanitari di raggiungere 17,6 milioni di persone bisognose.