Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano
Era in viaggio verso la città di Myitkyina per ritirare aiuti in denaro a sostegno di famiglie povere senza lavoro, padre Colombano Labang Lar Di, quando – lo scorso 14 maggio – i militari dell’esercito del Myanmar l’hanno fermato e messo in manette. Il sacerdote cattolico della diocesi di Banmaw, nello stato Kachin, a Nord- Est, è uno dei tanti preti che, insieme a suore e religiosi, stanno portando aiuto a quella parte di popolazione inerme e indifesa che stanno partecipando al Movimento di disobbedienza civile (CDM) contro il colpo di stato militare avvenuto il 1° febbraio scorso.
In particolare padre Labang, secondo persone a lui vicine citate dall’agenzia Fides, in questo tempo ha aiutato numerosi civili, occupandosi di assistere e portare aiuti umanitari e scorte di cibo a quanti sono scesi in piazza o hanno aderito in qualche modo alla protesta, “operando in spirito di solidarietà e carità cristiana”.
Chiesa e società: un atto di intimidazione verso i cattolici
La notizia dell’arresto del sacerdote è subito divenuta virale sui social media, generando accese reazioni della società civile e nella Chiesa birmana che parlano di un ulteriore atto di violenza e intimidazione da parte dei militari nei confronti del personale cattolico e dei leader religiosi.
Secondo alcune informazioni circolate sul web, il prete avrebbe dovuto essere rilasciato, ma la parrocchia di Banmaw, dove il sacerdote svolge la sua missione, ha smentito le voci della liberazione.
Boicottaggio pacifico
Intanto in Myanmar larghe fasce di professionisti e lavoratori, la cui opera è vitale per l’economia del Paese, stanno guidando il Movimento per la disobbedienza civile (CDM) contro la giunta militare. Operatori sanitari e medici, banchieri, avvocati, insegnanti, ingegneri, funzionari pubblici di tutta la Nazione, hanno chiesto ai militari di ripristinare le istituzioni democratiche, rifiutandosi di tornare al lavoro. Un boicottaggio pacifico e non violento, spiega ancora Fides, che procede e si diffonde soprattutto grazie ai social media.