Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
Il padre di una catechesi “incarnata” nella cultura del suo tempo, il sedicesimo secolo francese, e un comunicatore che sapeva usare un linguaggio semplice, parole comuni, per avvicinare tutti alla dottrina cristiana. Così è stato descritto il beato padre Cesare de Bus, fondatore della congregazione dei Padri della Dottrina Cristiana, che Papa Francesco proclamerà santo il prossimo 15 maggio, nell’inaugurazione del percorso multimediale “Hereditas de Bus”, allestito nei locali della Casa Generalizia dei Padri Dottrinari, in via Santa Maria in Monticelli 29, a Roma.
Gli interventi nella Chiesa di Santa Maria in Monticelli
Protagonisti degli interventi che hanno preceduto l’inaugurazione, nella chiesa di Santa Maria in Monticelli, il cardinale Marcello Semeraro, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, il prefetto del Dicastero della Comunicazione Paolo Ruffini, e padre Sergio La Pegna, superiore generale dei Padri della Dottrina Cristiana. Il porporato, stretto collaboratore del Papa, ha ricordato le parole con le quali san Paolo VI ha sintetizzato l’eredità spirituale di de Bus, nato a Cavaillon, in Francia, nel febbraio 1544, e morto ad Avignone nel 1607.
San Paolo VI lo beatifica il 27 aprile 1975
Nell’omelia per la beatificazione, il 27 aprile 1975, in pieno Giubileo, Papa Montini spiegava che il sacerdote francese aveva cercato di “promuovere una catechesi accessibile, comprensibile, aderente alla vita, e accompagnare il ragazzo e l’adulto nella sua lenta ricerca di Dio”. E aveva tratteggiato, in francese, l’identikit del buon catechista, che, ha spiegato il cardinale Semeraro, “dev’essere uomo della Bibbia, uomo della Chiesa” e deve saper trasmettere la vera dottrina di Cristo. “Finalmente qualcuno che ci aveva visto giusto”, chiosava allora san Paolo VI.
Semeraro: un santo che sottolinea la priorità dell’annuncio
Il prefetto della congregazione della Cause dei Santi ha concluso sottolineando ciò che avvicina de Bus al beato Carlo Acutis che, nel nostro tempo, ha avviato, con la sua mostra sui Miracoli eucaristici via web, un nuovo modo di utilizzare nella catechesi i mezzi di comunicazione sociale. Ma devono essere strumenti, ha spiegato, “utili a portare il messaggio del Vangelo, non di sfogo del narcisismo del catechista”. Al termine del suo intervento, il cardinale Marcello Semeraro ha risposto ad alcune nostre domande.
Che cosa possono apprendere dal carisma del beato e futuro santo Cesare de Bus i catechisti di oggi?
Anzitutto riconoscere l’importanza della priorità dell’annuncio nella vita della Chiesa. C’è un antico assioma dell’apostolo Paolo: “Fides ex auditu”, chi ascolterà se non c’è chi parla? Anche il Papa riconosce oggi la priorità dell’ascolto. Ora la santità di Cesare de Bus ci riporta a questa priorità dell’annuncio nella vita della Chiesa. Ovviamente, essendo un santo, è uno che ha anche incarnato, e ha vissuto. Quindi come dire diceva san Paolo VI: “La Chiesa oggi ha bisogno di maestri, ma ancora più ha bisogno di testimoni”. E la cosa migliore è che gli stessi maestri, insieme con l’insegnamento, ci diano la testimonianza. Questa dimensione dottrinale, oggi che noi parliamo di priorità dell’evangelizzazione, è quella che ci viene ricordata da questo nuovo santo.
Ma i suoi figli spirituali, i padri dottrinari stanno anche cercando di attualizzare il suo messaggio anche ai tempi moderni, utilizzando internet e anche incarnando quindi la catechesi nel mondo di oggi?
Sì, appunto perché parliamo di un annuncio vivo e quindi di un annuncio che deve essere sempre incarnato nei tempi. Oggi soprattutto quando, come sottolinea il Papa, non abbiamo soltanto dei cambiamenti nel tempo, abbiamo proprio un cambiamento e quindi abbiamo bisogno di trovare linguaggi nuovi, linguaggi udibili, linguaggi efficaci, ma anche linguaggi che scaldano il cuore di chi ascolta. Forse in altre epoche si dava molta rilevanza al cervello, all’intelligenza, che non deve essere ovviamente trascurata. Ma la filosofia medioevale non diceva soltanto che noi amiamo ciò che conosciamo. Forse oggi è il tempo di riconoscere questo movimento inverso che è un cuore caldo, che ti convince e ti aiuta a camminare oltre. Ovviamente rimane sempre vero che non puoi amare, se non ciò che conosci.
Nel suo intervento ha sottolineato che anche Cesare de Bus non è nato santo. La sua è quindi una testimonianza di un giovane che pensava tutt’altro e che dopo ha avuto questo incontro…
Ho ricordato che non è stato un capovolgimento, quello di Cesare de Bus, ma è stata una riscoperta. E’ quella di cui anche molti di noi hanno bisogno oggi. La sua biografia dice che non era un dissoluto, era però “leggerino”, gli piacevano tante cose che magari potevano distrarlo. E questa consapevolezza, questo ritrovamento di sé, è una testimonianza bella: scoprire santi che come ogni cristiano non lo sono nati ma lo sono diventati.
“Usava parole comuni, non citazioni erudite”
Il prefetto del Dicastero della Comunicazione Paolo Ruffini ha ricordato che Cesare de Bus non sovraccaricava i suoi racconti di citazioni erudite, ma usava parole familiari e comuni, tuttavia adatte a suscitare l’attenzione. Un modo di parlare come quello che Papa Francesco chiede ai comunicatori cristiani, che non sia “artefatto”, “da laboratorio”, ma “libero dalle mode, dai luoghi comuni, dalle formule preconfezionate”. Così allora “risveglia le parole”. Che è il primo compito del comunicatore: risvegliare la scintilla di vita che c’è, per Francesco, in ogni parola.
Ruffini: ha saputo usare tutti i linguaggi del suo tempo
La predicazione del beato de Bus, per Ruffini, corrisponde quindi a quello che il Papa ci chiede oggi come comunicatori cattolici. “Ascolto, passione e creatività missionaria. Per trasmettere non un reperto storico ma una cosa viva: da cuore a cuore, da mente a mente, da vita a vita”. Ecco come poi Paolo Ruffini ha risposto a due nostre domande:
Lei ha detto che il prossimo santo Cesare de Bus è un modello per i comunicatori di oggi: perché?
Perché ha usato tutti quelli che erano i linguaggi del tempo e quindi dice a noi di usare tutti i linguaggi che il tempo ci mette a disposizione, come talenti che ci sono dati e perché si è posto il tema del parlare semplice, di parlare un linguaggio che potessero capire i bambini o le persone di qualsiasi fascia sociale e quindi ha pensato al catechismo come ad un incontro. E noi dobbiamo pensare alla comunicazione come ad un incontro: una comunicazione non solo di notizie, ma che è costruzione di una relazione alla luce del Vangelo.
Sia Paolo VI, nella omelia della beatificazione, che Papa Francesco hanno messo in risalto l’attualità di questo di questo santo. Ma come è possibile che un catechista vissuto quasi 500 anni fa possa essere d’esempio per i catechisti di oggi?
Perché ci dice dell’importanza del ministero del catechista e del catechismo non come un indottrinamento ma come un tirar fuori dall’incontro con l’altro, l’incontro con il Signore alla luce del Vangelo e del magistero che nei secoli ha costruito la comunità della Chiesa, la comunione dei santi e il cammino nel mondo della Chiesa. Per questo de Bus è profetico ed è attuale perché così è nata la sua vocazione, in modo attuale perché è legata a strumenti di comunicazione. Lui ha sentito la chiamata del Signore leggendo un libro e ascoltando il canto che proveniva da un convento di suore. Quindi un linguaggio universale come quello del canto e un linguaggio che ti interpella come quello della lettura: sono due strumenti di comunicazione.
Padre La Pegna: cura del creato per una catechesi incarnata
La data del 22 aprile, scelta per l’inaugurazione, non è casuale, ha spiegato padre Sergio La Pegna, superiore generale dei Padri della Dottrina Cristiana. “Con il lancio in occasione della Giornata Mondiale della Terra – ha detto – abbiamo voluto sottolineare che l’attenzione alla salvaguardia del creato è oggi un tema centrale per la realizzazione di una catechesi sempre più incarnata, che educhi alla giustizia, alla pace e alla custodia del creato, alla luce dell’Enciclica Laudato Si’”.
Il percorso multimediale “Hereditas de Bus”
“Hereditas de Bus” è il percorso multimediale che celebra l’eredità del catechista francese, attraverso testi, oggetti, ritratti, documenti e video, che ripercorrono i momenti più significativi dell’esperienza e dell’apostolato del futuro santo. Nelle due sale è possibile assaporare il carisma dell’uomo che, nella Francia della fine del sedicesimo secolo, decide di cominciare un’esperienza ecclesiale nuova con al centro la catechesi, attraverso linguaggi – come è stato sottolineato – facilmente comprensibili e coinvolgenti.
Apertura ufficiale al pubblico il 14 maggio
Il fil rouge del progetto, concepito e realizzato dalla società Mediacor di Torino, si articola lungo tre ambiti principali: la parola, le immagini, gli oggetti. Si parte dai pannelli esplicativi, in lingua italiana, inglese, francese e portoghese, che ripercorrono a tutto tondo la vita del beato, per poi passare ai dipinti che raffigurano Cesare de Bus nell’iconografia che si è diffusa nel corso dei quattro secoli. Ben narrate la storia e il carisma della congregazione attraverso un approfondimento video sulla vita del fondatore e sulla storia della congregazione. Infine, gli oggetti originali appartenuti al beato Cesare e arrivati a Roma grazie ai confratelli di Parigi. La mostra sarà aperta al pubblico dal 14 maggio, vigilia della canonizzazione di de Bus, con visite guidate condotte personalmente dai Padri Dottrinari.