di Lucia Capuzzi
Vanessa Nakate lo ripete spesso: non può esserci autentica giustizia climatica senza parità di genere, il grido della Terra e quello delle donne sono tutt’uno. Nei Paesi più poveri del Sud del mondo, queste rappresentano i due terzi della forza lavoro agricola, in Africa tale quota sfiora l’80 per cento. Sono, dunque, le prime a patirne le conseguenze. Incluse quelle più inattese. Vanessa Nakate ne è sicura e, ora, le recenti ricerche sull’impatto globale della crisi ucraina lo confermano: c’è un legame stretto tra riduzione dell’offerta di cibo, impennata dei prezzi e aumento dei matrimoni precoci. “Certamente i genitori, come le figlie, non vogliono che questo avvenga – assicura – ma quando a causa del clima i raccolti vanno male e il costo dei prodotti alimentari sale, la dote ottenuta dalla famiglia dello sposo è una delle poche alternative per sopravvivere”. Le donne snodo e soluzione per il cambiamento climatico. “Immagina che un allenatore di calcio debba affrontare una partita decisiva, che so… la finale dei Mondiali. Scenderebbe in campo con metà squadra? No di certo. E allora come possiamo vincere la sfida cruciale contro il riscaldamento globale contando solo sulla metà dell’umanità? Lo sguardo delle donne, la loro forza, la loro immaginazione sono determinanti per vincere. Altrimenti saremo sconfitti tutti”.
Vanessa Nakate, oggi 25 anni, è la fondatrice del movimento Rise Up climate che mira a far conoscere la voce degli attivisti africani e del Vash Green Schools Project. Ricorda quel venerdì del gennaio 2019 quando si era trovata in mezzo a una strada di Kampala con un cartello in mano. Accanto a lei c’erano i quattro fratelli – tutti più piccoli – i cugini e gli amici più cari. Le uniche persone che, nelle settimane precedenti, non avevano riso della sua idea di scioperare per il clima in Uganda seguendo l’esempio di Greta Thumberg. I compagni della facoltà di Economia con specializzazione in Gestione ambientale l’avevano considerata una “sciocchezza”. I vicini di casa una “perdita di tempo”. Ma Vanessa non ci aveva badato ed era andata avanti.
Negli occhi aveva l’immagine dei sobborghi della capitale trasformati in quartieri anfibi dalle alluvioni sempre più violente. Studiava per prendersi la laurea in Business Administration in Marketing presso la Makerere University Business School.E da studentessa curiosa e vivace, aveva rifiutato le risposte fatalistiche e aveva deciso di approfondire. Aveva così scoperto la portata del cambiamento climatico e i suoi effetti devastanti sull’Africa, il Continente che, con il 4 per cento di emissioni globali, meno ha contribuito a causarlo. “Mi è stato subito chiaro che quello era il tema centrale del presente e del futuro”, sottolinea. La consapevolezza l’aveva spinta all’azione. Per un momento, però, su quella via di Kampala, la ragazza, all’epoca ventunenne, aveva sentito la sua determinazione vacillare. Il foglio di carta fra le sue mani pesava come un macigno. Vanessa, però, non aveva ceduto: aveva fatto un respiro, e con uno scatto lo aveva sollevato, mostrando ai passanti la scritta: “Amore verde, pace verde”.
I Fridays for future erano arrivati in Uganda. Quasi quattro anni dopo, Vanessa Nakate è il volto africano del movimento. È stata una delle giovani attiviste per il clima che sono state scelte per parlare al raduno della COP25 nel 2019 in Spagna. E al fianco della svedese Greta Thunberg, ha pellegrinato per i vertici internazionali per chiedere ai Grandi della terra di fermare la corsa verso l’autodistruzione. Nel 2020, la Bbc l’ha inserita nella lista delle cento donne più influenti del pianeta mentre le Nazioni Unite l’hanno nominata “Giovane leader per gli obiettivi di sviluppo sostenibile”. L’anno dopo, è finita nella copertina della rivista Time e nell’elenco dei Time100Next. La popolarità sembra quasi imbarazzare Vanessa, una ragazza schiva, pacata e riflessiva. Anche quando utilizza parole forti, lo fa senza rabbia. “L’ira inquina il messaggio. Nessuno presta orecchio alle invettive. E sarebbe un peccato sprecare l’occasione, invece, di raccontare quanto accade e quanto possiamo fare per invertire la rotta”.
Con questa convinzione, Vanessa Nakate dedica lunghe ore allo studio. “Sono un’autodidatta della questione climatica. È grave che nelle scuole e nelle università non si insegni quasi nulla al riguardo”. Proprio per diffondere maggiore consapevolezza, ha trasformato la propria esperienza in libro – Aprite gli occhi. La lotta per dare voce al cambiamento climatico (Feltrinelli) – tradotto nelle lingue principali e uscito anche in Italia. “Ciò che ho sempre voluto è far risuonare per il globo il grido dell’Africa. E delle sue donne”, dice scostando i lunghissimi capelli d’ebano pettinati in sottili treccine. Già, le donne. Proprio da loro, che sono le prime linee degli effetti delle crisi economiche e sociali, e che soffrono sulla propria carne i drammi della guerra, della siccità, dell’impoverimento idrico, può venire la spinta al cambiamento. “Sono le mani femminili a provvedere al cibo e all’acqua per la famiglia. Le donne, dunque, sono le prime ad accorgersi della loro diminuzione a causa del cambiamento climatico. Non è una questione teorica, è un dramma quotidiano. È in gioco il futuro dei loro figli. Dei nostri figli, di tutti noi.
Ecco perché le donne, insieme ai giovani, sono il motore del movimento per la cura del pianeta”, afferma la giovane, impegnata ora nel Green schools project, programma che si propone di installare pannelli solari in 24mila scuole ugandesi. Vuol dire che ci sarà l’illuminazione, che prima era insufficiente, e sarà ecologicamente sostenibile. Gli istituti potranno liberarsi dalle lampade a cherosene e dalla dipendenza dai combustibili fossili, carbone e legna, e dalla anidride carbonica emessa dalle stufe. Gli esperti dicono che questo genere di azioni è cruciale in tutto il continente africano, dove la domanda di elettricità è destinata a raddoppiare entro il 2030. Vanessa Nakate pensa che 24mila scuole sembrano tante e invece “sono ancora poche”. “Ma è un primo passo nella giusta direzione – conclude -. L’importante è camminare. Non possiamo adattarci all’estinzione”.